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Commentary

Libia: troppa fretta, signor Moreno Ocampo

Arturo Varvelli
13 giugno 2011

L’azione della Corte Penale Internazionale (Cpi) contro il leader libico Muammar Gheddafi sembrerebbe all’apparenza un incredibile autogol. Si dichiara al dittatore, che si vorrebbe lasciasse il paese, che lo si perseguiterà comunque, ovunque andrà. In pratica lo si dissuade ulteriormente – come se ce ne fosse bisogno – ad abbandonare la battaglia e lo si incentiva a resistere prolungando il conflitto civile e l’agonia dell’intero paese. Ogni ipotesi di un suo esilio – diverse in queste settimane quelle prese in considerazione dai mediatori - diviene difficilmente perseguibile.
Ma il procuratore Luis Moreno-Ocampo, alto magistrato della Corte Penale Internazionale sembra stia perseguendo chiaramente questa strada: Muammar Gheddafi avrebbe ordinato ai suoi soldati stupri di massa. Ma non è tutto, perché lo stesso Moreno-Ocampo ha annunciato di avere le prove di rapimenti, torture e scomparse forzate, messe in atto su ordine del leader libico. Secondo il procuratore della Cpi, è stato lo stesso Gheddafi a dare l’ordine degli stupri di massa come forma di punizione per la popolazione libica che si opponeva al suo potere.
La Corte Penale Internazionale, organo giurisdizionale penale internazionale autonomo del sistema delle Nazioni Unite, può essere adita sia da uno Stato che ha sottoscritto lo Statuto di Roma, sia dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sia dal procuratore della Corte Penale Internazionale, che agiscono di propria iniziativa. L’intervento in Libia da parte della Corte Penale si è distinto per l’eccezionale rapidità, in contrasto con i tempi solitamente lunghi d’intervento. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adito la Corte con la risoluzione 1970 del 26 febbraio del 2011, pochi giorni dopo l’inizio delle rivolte in Libia portando i primi elementi di prova di fronte al Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dispone di questa prerogativa in virtù dello Statuto della Corte Penale Internazionale, ma non ne aveva fatto uso, tranne che in un’unica occasione, nell’ambito della crisi del Darfur mediante la risoluzione 1593 del 1° aprile 2005.
Già il 3 marzo, pochi giorni dopo la risoluzione Onu che indicava la Libia come perseguibile, Ocampo aveva provveduto a dichiarare colpevoli di crimini contro l’umanità otto cittadini libici, fra i quali figuravano, oltre a Gheddafi, il figlio Saif al Islam e il capo dell'intelligence Abdullah al Senoussi. Solo da pochi giorni i primi giornalisti indipendenti erano entrati in Libia e le notizie di crimini contro l’umanità (al di là delle false notizie pubblicate da Al Jazeera su inesistenti fosse comuni) erano tutte da accertare. Proprio da questa considerazione è facile comprendere allora come l’accusa della Cpi sia anche una misura strumentale all’azione militare della coalizione. Intendiamoci, Gheddafi in passato (più che negli anni recenti) ha esercitato il suo potere senza alcuno scrupolo e sarebbe corretto accertare sue responsabilità. Tuttavia la velocità dell’azione contro Gheddafi ha il chiaro scopo di contribuire a screditare il nemico, lo stesso dittatore che la comunità internazionale, l’Europa e gli Stati Uniti hanno contribuito a rendere nuovamente un interlocutore presentabile nell’ultimo decennio. L’accusa di crimini di guerra – insieme alla necessità di proteggere la popolazione – funge da discriminante nel comportamento dei paesi occidentali, una giustificazione posticcia della politica schizofrenica nei confronti della Libia di Gheddafi: dall’immagine del Gheddafi riformatore moderato, aperto all’Occidente, a quella del Gheddafi “mad dog” del Mediterraneo. Ora Gheddafi, secondo fonti della Nato, citate dalla Cnn, sarebbe da considerarsi – in base alla risoluzione 1973 – un “obiettivo legittimo”.
In realtà Gheddafi non è cambiato, è cambiato invece il contesto internazionale. La giustizia internazionale ora lo persegue, ma verrebbe da chiedersi dove fossero gli Ocampo nel 1996 quando la repressione di una rivolta nella prigione di Abu Salim si trasformò nel massacro di 1.270 oppositori libici. Su quella vicenda vi potrà essere sicurezza e certezza della colpevolezza, sull’uso del Viagra nei presunti stupri di massa un po’ meno.

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Autori

Arturo Varvelli
Research Fellow

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