Che la crisi in Libia abbia un valore importante per l’Egitto è cosa risaputa ai più, così come è altrettanto noto che il paese giochi un ruolo rilevante nelle dinamiche del conflitto. Quel che però sfugge è il perché di questa rilevanza e, soprattutto, quale è il quadro congiunturale che ha portato Il Cairo ad impegnarsi così attivamente in Libia.
Al di là delle radici culturali prossime, specie tra le tribù dell’ovest egiziano (Siwa e Farafra) e quelle dell’est libico in Cirenaica, nonché delle dinamiche storico-politiche strettamente interconnesse che hanno coinvolto i due paesi fin dal secondo dopoguerra[1], la Libia ha sempre rappresentato un territorio estremamente importante per l’Egitto. Tale rilevanza è cresciuta notevolmente in anni recenti, quando il conflitto civile libico si rivelato un terreno ideale per determinare le ambizioni geopolitiche egiziane.
Sin dal 2014, ossia dall’inizio della presidenza di Abdel Fattah al-Sisi e dall’avvio dell’“Operazione Dignità” in Libia da parte del generale Khalifa Haftar, l’Egitto ha puntato ad assumere un ruolo indispensabile all’interno degli scenari di crisi nel Mediterraneo allargato: dalla Libia a Gaza, dalla Siria alle questioni energetiche nel Mar del Levante, finanche alla gestione, in compartecipazione con l’Unione europea, per quel che riguarda i flussi migratori irregolari sull’asse sud-nord della direttrice dell’Africa orientale. In particolare, la Libia rappresenta per l’Egitto l’anello di congiunzione geostrategico tra le più incandescenti situazioni all’interno del complesso panorama mediterraneo.
Non è un caso, quindi, se le ultime evoluzioni libiche, emerse fin dalla fine del 2019[2] e proseguite con l’appuntamento di gennaio di Berlino, siano in parte legate a quanto sta andando in scena nel Mediterraneo orientale e nel Mar Rosso e al ruolo assunto dalla Turchia, accusata da tempo dal Cairo di contribuire, insieme al Qatar, a destabilizzare l’intero Medio Oriente. Anche se ufficialmente l’Egitto supporta in Libia una soluzione puramente politica e all’interno di una cornice multilaterale gestita dalle Nazioni Unite, ufficiosamente il paese ha invece spesso operato sottotraccia supportando militarmente[3] e finanziando economicamente le imprese di Haftar. In questo caso la posizione egiziana mira a tutelare la molteplicità dei suoi interessi in Libia (energia, economia, sicurezza e lotta al terrorismo)[4], supportando in maniera pragmatica il generale della Cirenaica, in quanto ritenuto lo strumento ideale per veder attuata tale strategia.
Una posizione articolata ma emersa chiaramente anche durante la conferenza di Berlino (19 gennaio 2020), quando Il Cairo, diversamente da Abu Dhabi e Riyadh – altri due grandi sponsor del generale libico –, ha chiesto ad Haftar di accettare la tregua proposta dalla Russia. Il fragilissimo accordo di Berlino è stato poi rinnegato dal generale libico, che, pochi giorni dopo, ha dato avvio ad una serrata serie di bombardamenti su Tripoli e sull’aeroporto internazionale di Mitiga, sempre nei pressi della capitale. Il rifiuto del generale va innegabilmente inquadrato nelle scelte e nelle finalità politiche che Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti intendono perseguire nel paese. Se, da un lato, la decisione assunta da Haftar a Berlino ne ha rafforzato l’immagine di “uomo forte”, perché è ancora una volta intorno a lui che girano i termini di un potenziale accordo e tutti i possibili sviluppi politici e militari della Libia, dall’altro ha indirettamente provocato uno scontro diplomatico con l’Egitto, che invece avrebbe voluto una firma della tregua tattica da parte del generale. La decisione di Haftar sarebbe maturata già in coincidenza dell’incontro avuto a Mosca con al-Sisi e Vladimir Putin (13 gennaio); in quell’occasione il leader libico aveva annunciato la sua ferma intenzione di rigettare la proposta russa[5], forte del sostegno saudita ed emiratino, che invece chiedevano di mantenere inalterate le operazioni militari per la conquista di Tripoli. L’iniziativa aveva mandato su tutte le furie l’Egitto che, a sua volta pressato dalla Russia, spingeva per un compromesso tra le differenti posizioni del variegato fronte pro-Haftar.
La scelta del generale non solo ha confermato l’esistenza di un ampio ventaglio di posizioni nel suo campo politico e militare, ma ha esposto negativamente Il Cairo ad una condizione di debolezza e dipendenza politica dal leader libico, confermando al contempo la forte insoddisfazione egiziana per la gestione fallimentare dell’offensiva militare su Tripoli, iniziata nell’aprile dello scorso anno. A ciò, non per ultimo, si aggiunge un’insofferenza personale di al-Sisi verso gli atteggiamenti e l’estrema volubilità di Haftar, che mirano a favorire uno sganciamento libico dall’opzione egiziana per abbracciare strumentalmente la linea oltranzista dei regni del Golfo. Una situazione, questa, che se esasperata rischierebbe non solo di indebolire l’immagine egiziana nel suo vicinato strategico, ma anche di minare qualsiasi prospettiva di politica estera indipendente del Cairo rispetto a Riyadh e Abu Dhabi. Altresì, nell’ottica libica un possibile allentamento dei legami con l’Egitto sarebbe utile per ridurre l’influenza, nonché la dipendenza immediata e di lungo termine dall’ingombrante vicino.
Di fatto, un raffreddamento nei rapporti tra Il Cairo e Bengasi sfavorirebbe concretamente l’Egitto che, sebbene sia riuscito ad assumere un ruolo determinante in Libia, svolgendo una importante funzione di condizionamento delle dinamiche politiche all’interno del complesso risiko di alleanze, non è riuscito tuttavia a guadagnarsi quella tanto ricercata postura di indispensabilità per gli sviluppi, presenti e futuri, del conflitto. Un riflesso che rischia di indebolire le stesse ambizioni egiziane in tutto il quadrante mediterraneo-mediorientale, dove da tempo Il Cairo ha un confronto serrato contro Ankara. In questo senso, la Libia è il nuovo fronte di scontro tra al-Sisi e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. E un Haftar poco allineato con l’Egitto potrebbe esporre quest’ultimo a dover subire l’ennesimo ridimensionamento politico in favore della diade saudito-emiratina, ingabbiandone ulteriormente ambizioni e prospettive geopolitiche nel Mediterraneo allargato[6].
In conclusione, possiamo affermare che la partita libica è un terreno cruciale per le sorti dell’Egitto, ma il suo successo è strettamente dipendente dalla volubilità estrema del generale Haftar. Pertanto, nonostante i dissidi più o meno pronunciati tra Il Cairo e Bengasi, Haftar rimane la migliore carta disponibile, seppur imprevedibile, nel mazzo di carte egiziano.
[1] Basti pensare alle iniziative annessioniste dell’est libico da parte di Nasser negli anni Cinquanta-Sessanta o le proposte di unione politica avanzate da Gheddafi a Sadat negli anni Settanta. Altrettanto rilevante fu la breve guerra del 1977 tra Egitto e Libia, combattuta lungo il lungo confine comune, e la distensione dei rapporti avvenuta negli anni Novanta, quando la Libia ha investito molto in Egitto in turismo, edilizia e agricoltura, creando migliaia di posti di lavoro per i transfrontalieri egiziani.
[2] In questo caso si fa riferimento all’accordo di demarcazione dei confini marittimi tra Turchia e Governo di accordo nazionale (Gna) (novembre 2019) e all’escalation conseguente che ha portato dapprima ad una ripresa degli scontri tra le opposte fazioni libiche (dicembre 2019) e, successivamente, alla decisione di Ankara di inviare dei consiglieri militari, uomini e mezzi in sostegno del Gna (gennaio 2020).
[3] Un ruolo chiave lo gioca la base aerea di Siwa, nel Deserto Occidentale egiziano. Fin dalla seconda metà del 2014, l’area è divenuta un hub per il supporto militare alle milizie comandate da Haftar, funzionando da retroterra terrestre per il supporto logistico e da copertura aerea per i contingenti a terra (anche egiziani) impegnati nelle operazioni al fianco degli haftariani.
[4] Per maggiori dettagli sugli interessi egiziani in Libia si veda: G. Dentice, “Libia: Egitto e Haftar ai ferri corti?”, Commentary, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale(ISPI), 30 gennaio 2020.
[5] “Libya’s Haftar leaves Moscow without signing ceasefire deal”, France 24 English, January 14, 2020.
[6] Per maggiori approfondimenti si veda: M. Colombo e G. Dentice, “Approfondimento: l’accordo Turchia-GNA sui confini marittimi e i riflessi nelle dinamiche trasversali del Mediterraneo Orientale”, in Valeria Talbot (a cura di), Focus Mediterraneo allargato n°12, ISPI per l’Osservatorio di Politica Internazionale del Parlamento Italiano e del MAECI, 21 febbraio 2020.