A otto giorni dalle elezioni in Libia regna il caos e le milizie minacciano le istituzioni. Se il voto non è stato ancora ufficialmente rinviato, nessuno crede che si possa svolgere come previsto.
Sono ore concitate a Tripoli dove milizie armate hanno circondato i palazzi delle istituzioni, le case di diversi esponenti politici e l’ufficio del premier Abdul Hamid Dbeibah. Quello che nelle primissime ore ha fatto temere un colpo di stato è in realtà una protesta scattata in seguito alla decisione del presidente Mohammed al Menfi di sostituire il comandante supremo dell'esercito libico, Abdul Basit Marwan, ritenuto troppo vicino al generale dissidente Khalifa Haftar, con una figura più ‘neutrale’. L’accaduto, tuttavia, matura sullo sfondo di tensioni crescenti per l’ormai quasi inevitabile rinvio delle elezioni presidenziali, previste il 24 dicembre. A ipotecare fortemente lo svolgimento del voto, già appeso a un filo, era stato l’annuncio dell'Alta Commissione elettorale (Hnec) di rinviare sine die la pubblicazione della lista definitiva dei candidati in seguito a controversie sui meccanismi di valutazione, bloccando di fatto anche la brevissima campagna elettorale. “È ormai divenuto impossibile garantire lo svolgimento del voto del 24 dicembre”, ha detto in un’intervista ad Al Jazeera Abu Bakr Marada, esponente della Commissione elettorale Nazionlae. Per circa un anno, le elezioni sono state il perno della road map ideata e sostenuta dalla comunità internazionale per riportare la pace e la stabilità nel paese nordafricano e i sostenitori del progetto temono un pericoloso vuoto di potere se non si svolgeranno nei tempi previsti. Ma i critici avvertono che andare avanti con il calendario elettorale, in un contesto di divisioni tra fazioni armate che probabilmente rifiuteranno qualsiasi vittoria del campo rivale, rischia di gettare il paese in una nuova spirale di violenze.
Una corsa affollata?
Se la situazione precedente alla campagna elettorale era già estremamente polarizzata, la presenza di alcune figure di spicco nella corsa – incluso Saif al Islam, primogenito di Muammar Gheddafi – l’ha resa addirittura esplosiva. In totale quasi 100 persone hanno annunciato la loro candidatura, ma a meno di 10 giorni dal voto non è ancora chiaro chi potrà correre e chi no: la commissione elettorale non ha infatti annunciato l'elenco definitivo dei candidati ammessi dopo che una serie di sentenze di tribunali aveva ribaltato la sua decisione di escludere la candidatura di Saif al-Islam Gheddafi alla presidenza. Al contrario, le candidature del primo ministro ad interim, Abdul Hamid Dbeibah e del generale della Cirenaica Khalifa Haftar, capo del sedicente esercito nazionale libico, entrambe approvate dalla Commissione, erano state impugnate da altre parti. In un contesto di confusione generale, in cui anche la legge elettorale è al centro di accesi dibattiti con i politici tripolini che accusano il parlamento di Tobruk di averla adottata senza consultazioni, le fazioni rivali si sono accusate a vicenda di intimidire o corrompere funzionari giudiziari per garantire il reintegro dei loro candidati.
Alle armi o alle urne?
In assenza di regole chiare e condivise, molte voci si erano levate riguardo al fatto che il processo elettorale o eventuali interferenze sul voto avrebbero potuto riaccendere la miccia del conflitto che ancora cova sotto la cenere. È uno scenario, quello libico, in cui basta poco per innescare un nuovo ciclo di violenze laddove, paradossalmente, una delle principali problematiche è legata alla presenza di milizie e mercenari stranieri ancora schierati in tutto il paese. Nei giorni scorsi, l’Unione Europea aveva sanzionato il gruppo di mercenari russi Wagner Group, tuttora presenti in Libia a sostegno del generale Haftar. A preoccupare l’Europa, e in generale i sostenitori del processo elettorale, il fatto che nessun esito di voto potrebbe dirsi garantito in assenza di un apparato statale e di sicurezza che possa assicurare l’accettazione condivisa e pacifica dei risultati elettorali. Se ufficialmente la posizione della comunità internazionale è stata quella di sostenere, senza se e senza ma, l’appuntamento con i seggi, in via non ufficiale chi segue il dossier libico fuori dai confini del paese è cosciente delle difficoltà e dei rischi che il voto comporta. “Un rinvio ci può stare – ammettono fonti della presidenza francese – ma che non sia troppo lungo e soprattutto che non smorzi lo slancio che il processo ha raccolto finora”.
Ritardare il voto per salvarlo?
In questo contesto resta determinante il ruolo di Stephanie Williams, Consigliera speciale delle Nazioni Unite, soprannominata ‘La lady di ferro’ che ieri si era recata proprio a Misurata per incontrare le autorità locali, ma anche leader militari e di gruppi armati, in vista delle elezioni. Durante i suoi incontri, ha sottolineato che le elezioni sono “il desiderio della maggioranza” dei libici e dovrebbero essere prese sul serio. “La sua attività in Libia è criminale”, ha tuonato, di tutt’altro avviso, Salah Badi, leader della Brigata al-Samoud, protagonista dell’assalto armato delle ultime ore ai palazzi delle istituzioni, che ha chiarito che il 24 dicembre “non ci sarà in Libia nessuna elezione”. La prima priorità di Williams, ora, è salvare le elezioni, in modo da garantirne lo svolgimento anche se in ritardo, assicurandosi che ad un certo punto i libici abbiano la possibilità di votare almeno nel prossimo futuro. Se al contrario il processo elettorale dovesse implodere, “il fallimento avrebbe conseguenze gravi e prolungate – osserva Federica Saini Fasanotti – gettando la Libia in una condizione ancora più disperata, dalla quale sarà estremamente difficile riprendersi”.
Il commento
Di Federica Saini Fasanotti, ISPI e The Brookings Institutions
“Quello che sta succedendo a Tripoli non deve lasciare stupito nessuno: è una cronaca annunciata. Il Paese non è assolutamente pronto alle elezioni: non sappiamo ancora chi saranno i nomi accettati fra le 98 candidature presidenziali, non sappiamo chi garantirà sicurezza ai seggi e quali istituti internazionali controlleranno la validità del voto. La cornice legale di queste elezioni è stata profondamente contestata e, inoltre, era chiaro da subito che esse avrebbero riaperto la competizione fra gli attori nazionali così come fra quelli internazionali. Insomma, esattamente quello che sta accadendo nelle ultime ore”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)