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Commentary

L’identità nazionale tedesca 25 anni dopo la riunificazione

03 ottobre 2015

La storia dell’evoluzione della Germania è riassunta in due foto a distanza di settant’anni. La prima di un ragazzino impaurito nel ghetto di Varsavia davanti ad un soldato nazista, la seconda di un altro ragazzino, con il cappello di un poliziotto tedesco, felice di essere accolto, da rifugiato, in Germania. Due foto che simboleggiano il lungo percorso di riabilitazione di un Paese che dopo la seconda guerra mondiale poteva sparire e diventare una semplice “entità geografica” (Stalin).  

A venticinque anni dalla riunificazione tedesca (3 ottobre 1990), la Germania è una nazione nuova che per la prima volta dalla sua unificazione del 1871 non ha più nemici né rivendicazioni territoriali.

Se la Repubblica di Bonn era definita una “democrazia post-nazionale fra Stati Nazionali” (Karl Dietrich Bracher), la Repubblica di Berlino è una democrazia e uno Stato nazionale legato alle organizzazioni europee e atlantiche e la tradizionale tensione tra Kultur e Zivilisation posta da Thomas Mann nelle Considerazioni di un impolitico è del tutto superata dagli eventi(1).  

La Repubblica nata nel 1990 è una nazione in pace non solo con se stessa ma soprattutto con i suoi paesi confinanti e con i restanti paesi europei. Tuttavia, proprio dopo la riunificazione che pure va letta come uno de passaggi decisivi del processo di integrazione europea in quanto ha portato all’abbandono del marco tedesco (tradizionale simbolo della rinascita tedesca dopo la seconda guerra mondiale) e all’introduzione dell’euro, la Germania ha compreso quanto fosse importante avere un’identità nazionale. «Ciò che ci unisce non è come eravamo ieri, ma come vogliano essere domani», affermò Lothar de Maizière nel 1990 nel giorno della festa della riunificazione. Era chiaro che con la riunificazione anche l’identità nazionale sarebbe cambiata. Il patriottismo costituzionale e il primato del diritto non bastavano più. Se questi erano i principi cardine della Germania Occidentale, dopo il 3 ottobre 1990, serviva evidentemente qualcosa che unisse due popoli, i tedeschi dell’Est e dell’Ovest, separati per circa quarant’anni.

La classe dirigente e politica tedesca ha iniziato a interrogarsi sul deficit di simbologia politica della vecchia Repubblica di Bonn che rischiava di riproporsi nella nuova Repubblica di Berlino. Negli anni di Bonn la parola d’ordine era “funzionale”(2).  Dalle strutture architettoniche agli edifici pubblici, fino alla semantica politica e alle istituzioni, tutto doveva essere espressione di una modestia programmatica di un paese senza ambizioni nazionali e internazionali. Proprio per questo motivo l’identità nazionale tedesca è qualcosa di profondamente diverso rispetto a quella di qualunque altra grande nazione occidentale. Inoltre, diversamente dagli altri paesi europei e dagli Stati Uniti la Germania non aveva veri e propri miti fondativi. Nessuna presa della Bastiglia con annessa Rivoluzione come in Francia, nessuna guerra d’indipendenza come negli Stati Uniti, nessuna tradizione imperiale come in Inghilterra, nessuna resistenza come in Polonia o in Italia(3).  In Germania c’era soltanto il ricordo delle due sconfitte nelle guerre mondiali e i crimini del Nazismo. Nessun paese si è sottoposto ad una elaborazione della propria storia rendendola moralmente vergognosa come la Germania. Non l’ha fatto il Giappone, non l’ha fatto l’Italia e non l’ha fatto neanche la Russia come erede dell’Unione sovietica e dei suoi crimini. L’identità nazionale tedesca, nel lungo dopoguerra, si è dunque definita come una teologia negativa, come presa di distanza dal nazismo che ha rappresentato un cesura storica fondamentale della storia tedesca. 

La Germania si è ritrovata una nazione senza storia e la questione della colpa era diventata aspetto centrale dell’identità nazionale tedesca. Da qui non solo il patriottismo costituzionale, ma anche l’assenza di una simbologia nazionale. A un quarto di secolo dalla riunificazione tedesca, la Repubblica Federale ha iniziato a colmare questo vuoto. Già da tempo la Germania vive un processo di profonda reinvenzione (Gian Enrico Rusconi) di sé stessa perché la caduta del Muro di Berlino ha rappresentato un vero proprio nuovo inizio della storia della Repubblica. Una pagina completamente nuova(4).  Dalla cosiddetta rivoluzione pacifica nella vecchia Repubblica Democratica Tedesca (DDR) e dalla conseguente riunificazione è iniziato un processo di trasformazione culturale, sociale e politica enorme. Nel 1999 il governo di Gerhard Schröder introdusse una riforma del diritto di cittadinanza misto tra ius sanguinis e ius soli: una persona nata da uno dei due genitori da almeno otto anni in Germania aveva diritto alla cittadinanza tedesca. Oggi il 20 per cento della popolazione tedesca è di origine straniera. Nel 2010 l’allora presidente della Repubblica Christian Wulff affermò, per primo, che l’Islam era parte della società tedesca, frase poi più volte ripetuta da altri esponenti politici tra cui la stessa cancelliera Merkel. Ed ancora, quest’anno la Germania accoglierà circa 800 000 mila rifugiati e il numero probabilmente aumenterà nei prossimi anni. Le conseguenze di questa politica saranno un’ulteriore internazionalizzazione della società tedesca. 

La Repubblica Federale, già oggi, ha saputo inserire la altre culture e tradizioni nella propria società riconoscendone l’importanza culturale e il potenziale economico. Non a caso, a ragione, nel dibattito pubblico tedesco all’idea della Leitkulur (cultura guida) si sono aggiunti i termini di Begleitkultur (cultura di accompagnamento), Anerkennungskultur (cultura del riconoscimento) o, addirittura, di Willkommenskultur (cultura dell’accoglienza). 

I tedeschi sono sempre meno ossessionati dal dover essere per forza i primi della classe e sono, al contrario, più interessati a rafforzare e rendere più competitiva l’Europa (e al suo interno la Repubblica Federale) nel contesto globale. La Repubblica di Berlino è il più autentico paradigma della società europea, un vero e proprio di prototipo di quello che saremo: europei e internazionali in una società multiculturale ma mai relativista perché il rispetto delle regole di convivenza e delle istituzioni resta imprescindibile. “Chi viene in Germania si deve attenere al consenso di base esistente (Grundkonsens)”, ha scritto Stefan Ulrich sulla Süddeutsche Zeitung (2.10.2015). 

Insomma, le differenze tra la Germania degli anni Settanta e Ottanta e quella attuali sono enormi. Chi ancora prova a comprendere e interpretare la società e la cultura tedesche con le categorie del passato è destinato a non comprenderne il senso profondo di una nazione che si sta trasformando velocemente e che è il vero cuore pulsante dell’Europa. Espressione di questa mutazione è proprio il sentimento nazionale. Un tempo sventolare la bandiera tedesca era quasi un problema, oggi non più. È una normale manifestazione nazionale come in qualsiasi altro paese europeo. Le imponenti ricostruzioni architettoniche, di cui la città di Berlino ne è la manifestazione più bella e affascinante, sono l’espressione di questo sentimento nazionale positivo che si nutre anche di una ben determinata simbologia. La Germania ha imparato che esiste anche un passato a cui potersi richiamare senza aver paura e che la propria vicenda storica non deve e non può ridursi al nazismo. La dimostrazione migliore sono le migliaia di israeliani che decidono da qualche anno a questa parte di andare a vivere a Berlino. 

Dopo aver dato lezioni di come di fanno i conti con il proprio passato (e in Italia abbiamo molto da imparare) oggi, a venticinque anni dalla riunificazione, la Germania ha riscoperto un sano orgoglio nazionale. La ricostruzione del Castello, il bellissimo Regierungsviertel, l’installazione al Reichstag “Dem deutschen Volke” sono tutte manifestazioni della normalizzazione della Germania che riesce ad unire l’europeismo ad un nuovo ed autentico sentimento nazionale basato sulla tradizione occidentale dello Stato di diritto.

1.W. Lepenies, Kultur und Politik. Deutsche Geschichte, München-Wien, Fischer, 2006, p. 269; H.A. Winkler, La Repubblica di Weimar, Roma, Donzelli, 1998, pp. 709-710.

2. H. Bohrer, “Die Ästhetik des Staates revisited”, in Merkur. Ein neues Deutschland? Zur Physiognomie der Berliner Republik, vol. 9/10, n. 60, settembre-ottobre 2006, pp. 749-758.

3. H. Münckler, Die Deutschen und ihre Mythen, Berlin, Rowohlt, 2009, pp. 9-30.

4. A. Bolaffi, “The post-German Germany”, in Eutopiamagazine, 7 sttembre 2015.

Ubaldo Villani-Lubelli, giornalista free-lance. Esperto di politica e cultura tedesche

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