L’incidente del cargo Ever Given ha evidenziato il rischio di blocchi nei cosiddetti “chokepoints”, zone in cui il transito è difficile per una particolare conformazione geografica. La definizione di chokepoint non è limitata a passaggi marittimi ma può essere estesa a tutte le zone in cui il passaggio è difficoltoso. Le Termopili, teatro della battaglia fra greci persiani, nel 480 avanti Cristo, sono uno dei primi esempi storici di chokepoints.
In tempi moderni i chokepoints hanno però assunto una connotazione legata al trasporto marittimo che copre quasi il 90% del commercio internazionale e che per motivi logistici è effettuato da navi sempre più grandi. La Ever Given è lunga 400 metri (quattro campi di calcio allineati) e transitava in un canale con una larghezza media di 280 metri. Queste dimensioni sono indicative sia delle difficoltà di transito, sia della complessità della manovra per disincagliare il cargo, che è stata completata il 29 marzo dalla Smit Salvage, una compagnia olandese specializzata nel recupero di navi.
Nel 2019, circa 19.000 navi hanno attraversato il canale Suez coprendo il 13% del commercio mondiale. Con riferimento all’energia, dal canale di Suez transitano ogni giorno quasi due milioni di barili di greggio e un milione e mezzo di prodotti petroliferi raffinati. Nel 2020 il canale è stato inoltre attraversato da quasi 400 gasiere, navi adibite al trasporto di gas naturale liquefatto, in prevalenza dal Qatar versi i mercati europei ma, anche in senso inverso, con gasiere russe e statunitensi che esportavano verso i mercati asiatici.
Il mercato petrolifero ha reagito nervosamente all’incidente e il 26 marzo le quotazioni del Brent sono salite del 4%. Tutto ciò, nonostante esistano due rotte alternative al canale di Suez per il transito del petrolio verso il Mediterraneo. La circumnavigazione dell’Africa, che richiede circa 10 giorni di navigazione e l’oledotto Sumed che connette il golfo di Suez con il Mediterraneo.
Una terza opportunità, in caso di un blocco prolungato, è data dalla possibilità di ridirigere gli idrocarburi verso altre regioni evitando il transito nel canale. Nel 2020 più di 270 gasiere sono transitate dal Qatar verso l’Europa ma ci sono anche state più di cento gasiere che sono transitate nella direzione opposta. Si trattava di gasiere statunitensi, che per evitare attese allo stretto di Panama preferivano un viaggio più lungo attraverso il canale di Suez e navi russe che, non potendo passare durante l’inverno per la rotta artica, transitavano per il canale per raggiungere i loro clienti asiatici.
Se il canale fosse rimasto bloccato a lungo ci sarebbe stato un arbitraggio per cui il gas naturale liquefatto statunitense o russo si sarebbe potuto riorientare verso l’Europa. Il gas in provenienza dal Qatar poteva invece dirigersi verso i mercati asiatici evitando di dover circumnavigare l’Africa per approvvigionare i mercati europei.
La possibilità per un tanker contenente greggio di essere ridiretto, durante il suo viaggio, verso un altro mercato o un altro cliente è un meccanismo usato già da decenni nel mercato petrolifero. Il mercato del gas naturale liquefatto è diventato negli ultimi anni sempre più sviluppato e “liquido” e anche le gasiere, come le petroliere, possono cambiare destinazione e cliente durante il trasporto.
È però importante sottolineare che tali percorsi alternativi sono limitati in altri chokepoints come, ad esempio, lo stretto di Hormuz nel golfo persico. Secondo diverse stime, attraverso lo stretto transitano ogni giorno tra i 16 e i 20 milioni di barili di petrolio, circa un quinto della produzione mondiale. Si tratta dell’unica via di uscita marittima dal Golfo per il petrolio e il gas naturale liquefatto prodotti nella regione. Un vero “tallone d’Achille” del commercio mondiale degli idrocarburi. Per quanto riguarda l’Italia, si può infine ricordare che nel 2020 più di ottanta navi gasiere Qatarine hanno trasportato gas liquefatto nel nostro paese passando dal canale di Suez ma anche che le nostre infrastrutture energetiche sono bene attrezzate per gestire un’eventuale mancanza di approvvigionamento di gas da uno dei nostri fornitori.
L’Italia ha saggiamente costruito una rete di approvvigionamento diversificata con gasdotti dal Nord Europa, dalla Russia, dall’Algeria, dalla Libia e dall’Azerbaijan (tramite il nuovo gasdotto TAP). L’approvvigionamento tramite gasdotti è integrato da tre rigassificatori per ricevere gas naturale liquefatto e un esteso sistema di stoccaggi sotterranei.
L’incidente nel canale di Suez ha evidenziato le criticità di questa importante arteria marittima e potenzialmente di altri chokepoints. È impressionante notare le ripercussioni che può avere un singolo incidente sul prezzo del greggio, che ha reagito nervosamente all’incidente, nonostante le diverse possibilità di riorientare il flusso di idrocarburi nel caso di un blocco prolungato del canale.
Tale possibilità di ridirigere i flussi di idrocarburi esiste però in maniera più limitata in altri chokepoints come lo stretto di Hormuz. Conscia della criticità dello stretto l’Arabia Saudita ha costruito due oleodotti (East-West e Abkaik-Yambu) per il trasporto di greggio e prodotti raffinati verso il Mar Rosso bypassando il golfo Persico. La capacità di tali oleodotti, stimata in 5 milioni di barili per giorno, è in ogni caso largamente insufficiente a garantire l’evacuazione dei dei barili che transitano quotidianamente dallo stretto. Di conseguenza, un’interruzione del flusso di idrocarburi da questo chokepoint avrebbe effetti devastanti sui mercati energetici mondiali.
Questo è uno dei motivi per cui dal 1945, dopo gli accordi fatti sulla portaerei Quincy fra il Presidente Americano Franklin Delano Roosevelt e il re Saudita Abdelaziz Ibn Saoud, la quinta flotta americana è stata spiegata a protezione del transito di idrocarburi nella zona.