Il rallentamento economico dell'India è evidente. Altrettanto evidente è stato il ritardo dei tentativi di New Delhi di invertire questo trend con qualche aggiustamento alle politiche, dopo ben due trimestri. Quasi fosse la terza legge di Newton a sovrintendere al mercato indiano, prima che le politiche a recuperare terreno sono stati gli stessi mercati che, proprio di fronte a politiche inefficienti e posizioni economiche anti-imprenditoriali, erano crollati.
Ma parliamo del rallentamento economico: quattro trimestri di crescita del PIL in costante calo – dall'8% nella primavera 2018 al 5,8% a marzo 2019. Per paesi come l'Italia, i cui tassi di crescita sono una frazione di quelli indiani (vedi tabella), questo potrebbe non sembrare un disastro.
Ma per l'India, che ha a malapena cominciato a crescere e in cui 75 milioni di persone vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, una caduta del genere colpisce direttamente cittadini. Allo stesso tempo in un paese come l’India un aumento dell'1% del Pil pro capite può ridurre la povertà dello 0,78%, il che equivale a far uscire 3 milioni di persone dalla povertà. Ed è proprio per questo che stimolare la crescita diventa un imperativo morale. Si badi al contesto: il reddito pro capite in India supera di poco i 2.000 dollari annui, in Italia è di poco inferiore ai 34.500 dollari, oltre 17 volte quello indiano.
L’espressione più lampante del rallentamento economico indiano è stata la contrazione delle vendite nel settore automobilistico. Dai veicoli commerciali a quelli passeggeri, l'automotive indiano sta attraversando la più grave recessione di sempre, con vendite in calo da 9 mesi consecutivi. Le case produttrici, i fornitori di componenti e i rivenditori hanno già tagliato 350.000 posti di lavoro, e potrebbe non finire qui. Il settore contribuisce al Pil nazionale per il 7,1%, a quello industriale per il 26%, e per il 49% al Pil del settore manifatturiero: impiegando 29 milioni di persone, il suo peso politico equivale almeno al suo peso economico. Ma, sia pur su vari livelli, sono numerosi i settori e le industrie che in India si trovano oggi ad affrontare pressioni simili.Ma per l'India, che ha a malapena cominciato a crescere e in cui 75 milioni di persone vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, una caduta del genere colpisce direttamente cittadini. Allo stesso tempo in un paese come l’India un aumento dell'1% del Pil pro capite può ridurre la povertà dello 0,78%, il che equivale a far uscire 3 milioni di persone dalla povertà. Ed è proprio per questo che stimolare la crescita diventa un imperativo morale. Si badi al contesto: il reddito pro capite in India supera di poco i 2.000 dollari annui, in Italia è di poco inferiore ai 34.500 dollari, oltre 17 volte quello indiano.
Dal punto di vista politico, volente o nolente, il sistema sociale ed economico dell'India – incluso governo, legislatori e magistratura – continua a nutrire un sospetto ‘istituzionale’ nei confronti di chi crea ricchezza e, nonostante le nuove misure introdotte per gestire la crisi, questo penalizza gli imprenditori. È un retaggio degli anni dal 1947 al 1990, dominati dal socialismo post-indipendenza. Mentre i meccanismi del processo di riforma dell'India sono cambiati dopo le aperture economiche del 1991, continua a esistere un certo disprezzo nei confronti dei datori di lavoro, delle imprese, e della ricchezza in generale. L’aumento delle imposte sul reddito per i redditi superiori ai 385.000 euro e ai 642.000 euro nell’ultima legge sul bilancio – che Monika Halan ha giustamente definito un budget “mangia-ricchi” – ne è solo un riflesso politico, o forse una sorta di contrappeso all'annuncio della privatizzazione di imprese pubbliche strategiche.
Ma, come già detto, la ricchezza non può essere distribuita se prima non viene creata. E prima che il rallentamento economico si trasformi in una contrazione e poi in una recessione, il governo ha finalmente agito per cercare di risolvere il problema. Le misure messe in campo dal ministro delle Finanze Nirmala Sitharaman sono diverse: tra queste, il taglio delle imposte sulle imprese del 20 settembre 2019 è stata la più efficace in termini di risultati a breve termine e per l’impatto che probabilmente avrà sul medio e lungo termine.
Con la cosiddetta Taxation Laws (Amendment) Ordinance 2019, la ministra Sitharaman ha ridotto l'aliquota dell'imposta sulle società per due tipi di imprese. Prima di tutto, l’ha portata al 15% (il 17,01% con sovrattassa e cessazione) per le società registrate dopo il 1° ottobre 2019 che inizieranno la produzione prima del 31 marzo. Questo nel tentativo di attrarre nuovi investimenti sulla produzione attraverso uno stimolo politico. Per le società già esistenti, invece, l’aliquota fiscale è stata portata al 22% (25,17% dopo sovrattassa e cessazione). In entrambi i casi, la condizione è che queste imprese rinuncino a tutti gli incentivi e le esenzioni, e rinuncino alla cosiddetta “imposta alternativa minima” (Minimum Alternate Tax, MAT). Fino alla scadenza degli incentivi e delle esenzioni di cui beneficiano, le aziende possono continuare a pagare la MAT al 15%, inferiore al precedente 18,5%.
A breve termine, il Bombay Stock Exchange Sensitive Index (Sensex) – un indice delle 30 compagnie più grandi e quotate dell'India – ha avuto un’impennata di 3.000 punti in due sessioni consecutive. Tra l'annuncio del Budget 2019 il 5 luglio 2019 e il 19 settembre 2019 era sceso di 3.400 punti, attestandosi a quota 36.000. In un solo giorno, a seguito dei tagli delle aliquote dell'imposta sulle società, Sensex ha recuperato il suo livello di 39.000, soli 1.000 punti in meno del suo massimo storico di 40.000 (raggiunto il 23 maggio 2019 in seguito alla rielezione di Narendra Modi per un secondo e più forte mandato).
Ma se l’allentamento della pressione fiscale sulle aziende stimola decisioni e iniziative nel mondo del business, di per sé non è sufficiente. A medio-lungo termine, i governi – a New Delhi ma ancor più negli Stati – devono far sì che la burocrazia comprenda la gravità del rallentamento e la smetta di vincolare gli imprenditori con lungaggini e in altri modi scorretti purtroppo molto diffusi. Potrebbero essere i pochi grandi stati governati dal BJP ad avviare per primi un cambiamento, a seguito del quale gli imprenditori, sia indiani che stranieri, potranno agire in base a ciò che sanno fare meglio: attirare capitali, talenti, prodotti, innovazione e nuovi mercati; creare imprese, posti di lavoro e ricchezza.
In ogni caso, I tagli delle imposte sulle imprese hanno avvicinato l'India alla media mondiale: al cospetto dell'aliquota media globale dell'imposta sulle società del 23%, quella indiana si attesta ora al 25,01%. Prima dei tagli era al 35%, la quinta più alta al mondo. Visto che l'India si globalizza ed è sempre più determinata ad attrarre imprenditori globali, questi tassi si allineeranno ulteriormente.
Oltre a questi tagli, negli ultimi mesi la ministra Sitharaman ha avviato o potenziato altre iniziative politiche. Tra queste:
- Impiego a tempo determinato – un precursore delle riforme del lavoro – ispezioni via web e verbali di ispezione più agili, autocertificazione per le start-up in sei leggi sul lavoro.
- Tramutare la sanzione per 16 tipologie di reato in sanzioni pecuniarie, senza detenzione.
- Le violazioni della legge sulla responsabilità sociale delle imprese non saranno più trattate come reati penali, ma solo civili.
- Tutte le comunicazioni e le convocazioni delle autorità fiscali saranno emesse tramite un sistema informatico centralizzato.
- Garantire che le banche elargiscano prestiti basati sul tasso pronti contro termine (PoT) con parametri di riferimento determinati esternamente, in modo tale che i tassi di interesse addebitati ai consumatori aumentino – ma soprattutto diminuiscano – insieme ai cambiamenti nei parametri di riferimento.
È incoraggiante vedere il governo prendere sul serio il rallentamento. Per il momento, la tendenza ad aumentare la pressione fiscale nelle fasi di rallentamento economico sembra essere scongiurata. Se questo stimolerà la crescita è una questione che affrontiamo con cauto ottimismo: naturalmente, aspettarsi che l’India torni a crescere proprio quando il resto del mondo sta rallentando sarebbe sbagliato. Ma le riforme strutturali intraprese in questi anni dal governo, in particolare l'introduzione della Goods and Services Tax (GST) e la semplificazione delle procedure di compliance che comporta, i sistemi d’inclusione finanziaria come Jan Dhan Yojana, o la velocità potenzialmente crescente delle transazioni dal momento che sempre più indiani si stanno dotando di sistemi digitali di pagamento, comporteranno in futuro alcuni benefici.
Le pressioni sulla crescita e la possibilità di un rallentamento economico duraturo non sono limitate all’India. Secondo il Fondo monetario internazionale, nel 2019 la crescita della produzione mondiale dovrebbe essere del 3,2%, in calo di 0,4 punti percentuali rispetto al 2018. Eppure, mentre la crescita degli Stati Uniti diminuirà dello 0,3% attestandosi al 2,6%, la Cina dello 0,4% scendendo al 6,2%, l'area dell'euro dello 0,6% scendendo all'1,3%, e l'Italia di 0,8% attestandosi allo 0,1%, la crescita dell'India dovrebbe salire di 0,2 punti percentuali, arrivando al 7%.
Fonte IMF
2018: Stime
2019: Proiezioni
Anche se l’India dovesse continuare a perdere qualche punto percentuale, continuerà a essere la grande economia in più rapida crescita nel mondo. E se la determinazione del governo a stimolare ulteriormente la crescita e a rimuovere gli ostacoli di burocrazia e corruzione persisteranno, insieme a una direzione politica convinta che sia importante attrarre capitali e imprenditori, l'India continuerà a essere la destinazione ideale per gli investitori.