Il conflitto russo-ucraino, che sta per entrare nel terzo mese, ha inevitabilmente portato a una serie di considerazioni, analisi, e previsioni di carattere militare, strategico, di sicurezza ed economico tanto globali quanto per l’Europa e l’Occidente più in generale. Tuttavia, il conflitto sta anche avendo una serie di importanti conseguenze da un punto di vista macroeconomico per i Paesi dell’Asia Centrale, le repubbliche del Kazakistan, del Kirghizistan, del Tagikistan, del Turkmenistan, e dell’Uzbekistan. Considerando il livello di forte interdipendenza economica che queste repubbliche hanno con Mosca, è importante capire come l’attuale conflitto stia impattando sul quadro macroeconomico, commerciale, e finanziario di questi Paesi, già messi alla prova dagli eventi in Kazakistan di gennaio, da un generale rallentamento della produzione economica mondiale e dalle sfide associate alla transizione energetica.
Questa analisi si focalizzerà dapprima brevemente su un quadro generale a livello regionale, per poi andare a esaminare ciascuna repubblica centrasiatica nei suoi meriti. Quando rilevante, le cinque aree su cui ci si concentrerà sono le valute, l’energia, le commodities, i migranti economici e le opzioni di diversificazione economica e commerciale.
Da ultimo, prima di presentare l’analisi, è opportuno chiarire il solito caveat per il lettore: quanto viene riportato in questo contributo è soggetto a numerose fluttuazioni e fattori endogeni ed esogeni che possono alterare il quadro macroeconomico centrasiatico in un breve lasso di tempo. L’analisi servirà dunque come indicazione e come studio di traiettorie, piuttosto che come bussola infallibile per prevedere sviluppi futuri.
Il quadro regionale
La Banca Mondiale ha di recente pubblicato uno studio in cui le proiezioni per la contrazione del Pil per la regione centrasiatica si avvicinano al 4%. Questo è dovuto principalmente all’effetto delle sanzioni che, a livello indiretto, hanno colpito la regione attraverso la Russia, il bersaglio principale. Questo dato, che contraddice la precedente proiezione di crescita stimata a un già ottimistico 3%, va interpretato come l’effetto nefasto che le sanzioni alla Russia stanno avendo sulle economie centrasiatiche sommato agli ancora non del tutto assorbiti effetti della pandemia di Covid-19.
Un effetto così proporzionale si spiega primariamente col fatto che la regione centrasiatica è intrinsecamente collegata allo spazio economico russo e, più in generale, post-sovietico. Basti pensare, per esempio, che Kazakistan e Kirghizistan sono membri dell’Unione Eurasiatica insieme a Russia, Armenia, e Bielorussia (altro Stato colpito da sanzioni); che Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan sono tutti membri dell’area di libero commercio della Comunità degli Stati Indipendenti; che l’Uzbekistan e il Tagikistan, pur non essendo membri dell’Unione Eurasiatica, contano la Russia come primo partner commerciale, e che sia il Kirghizistan che il Tagikistan sono fonti di sostenuti flussi migratori verso la Russia, con tanto di rimesse che spesso contano per una parte significativa del Pil.
In aggiunta, la Russia non è solo il principale partner commerciale per questi Paesi, ma è anche un’importantissima terra di transito, attraverso la quale le commodities centrasiatiche (dall’energia, ai prodotti agricoli, alle risorse minerarie, al manifatturiero) raggiungono i mercati europei. Da ultimo, va anche aggiunto che, pur non essendo vittima di sanzioni e/o parte del conflitto in atto, la Cina sta avendo un ruolo di primo piano nell’acuire il rallentamento dell’economa. Gli ultimi dati a disposizione, infatti, notano una riduzione della produzione economica di Pechino, con una conseguente ridimensionamento delle stime del Pil, la cui crescita è passata dall’8,1% nel 2021 al 4% nel primo trimestre nel 2022, vale a dire la più bassa previsione di crescita dal 1991. Dal momento che l’Asia Centrale è sia fornitore di energia, che consumatore di beni, che terra di transito per le esportazioni cinesi verso i mercati occidentali, la contrazione economica sofferta dalla Cina è un ulteriore fattore da tenere in considerazione quando si analizzano i rallentamenti della macroeconomia centrasiatica.
Avendo fornito un sintetico quadro generale della situazione macroeconomica regionale, vediamo adesso più nel dettaglio i singoli Paesi e come il conflitto russo-ucraino stia impattando sulle economie nazionali delle repubbliche centrasiatiche.
Kazakistan
Il Kazakistan, che nel 2021 ha osservato una crescita del Pil del 4%, vede adesso le sue proiezioni di crescita diminuite all’ 1,5-2%. Questo nonostante un primo quadrimestre in cui l’economia è stata trainata dai servizi e, in generale, dall’export. I fattori che spiegano questo freno sono primariamente i seguenti: l’accelerazione dell’inflazione e, più in particolare, il rialzo dei prezzi di cibo ed energia, che come stato notato in un precedente report è al centro delle riforme economiche del nuovo governo kazako formatosi nel gennaio di quest’anno. Ed è proprio la costante crescita dell’inflazione che, a causa dell’interruzione dei flussi commerciali attraverso l’Ucraina, contribuirà a un aumento dei prezzi sempre meno tollerabile. In aggiunta, anche se il livello di povertà assoluta è previsto in diminuzione, rimarrà comunque più alto dei livelli pre-pandemia.
Le sanzioni alla Russia sono tra i principali fattori dietro queste stime al ribasso. Il Kazakistan, infatti, conta sulla Russia per il 40% del suo import. A ciò si aggiunge il deprezzamento di quasi il 20% della valuta locale, il tenge, e la sospensione delle operazioni dell’oleodotto Caspian Pipeline Consortium, che conta quasi l’80% dell’export petrolifero di Nursultan. Da ultimo, va anche ricordato che il conflitto tra Russia e Ucraina, con le conseguenze sul Kazakistan, vuol dire un grosso impatto sulla produzione e il commercio di grano, farina, e derivati. La Russia, infatti, è il primo produttore mondiale, seguita dall’Ucraina (quinto) e proprio dal Kazakistan (ottavo).
Recentemente il governo russo ha imposto un divieto parziale all’export di grano, altri cereali, e derivati, per ovviare alla crisi economica creata dalle sanzioni per condannare l’attacco all’Ucraina, con conseguenze nefaste per il mercato kazako e suoi consumatori. Infatti, a causa di questo divieto, i produttori e gli agricoltori kazaki hanno dovuto utilizzare esclusivamente grano locale, contribuendo all’aumento esponenziale dei prezzi e al panic buying. Anche se recentemente rimosso, il governo kazako ha poi introdotto il proprio divieto all’export, instaurando così una reazione a catena nella regione, specie per i Paesi più poveri come ad esempio il Tagikistan.
Kirghizistan
Anche il Kirghizistan sta pagando le conseguenze della guerra in Ucraina, primariamente a causa delle sanzioni a Mosca e quindi degli effetti a raggiera per i membri dell’Unione Eurasiatica. Anche se sprovvisto di idrocarburi, il Kirghizistan sta pagando un alto prezzo a causa della crescente inflazione, del panic buying, e della bassa disponibilità di prodotti e materie prime, causando così un insostenibile aumento dei prezzi. La valuta locale, il som, ha subito un forte ribasso che, unito a un export debole, ha di fatto eroso i risparmi e il potere d’acquisto della popolazione locale.
Una menzione particolare si deve al fattore migratorio. Il Kirghizistan, insieme al Tagikistan, è il Paese centrasiatico che più di tutti vede un ingente numero di cittadini emigrare verso la Russia in cerca di migliori prospettive economiche e lavorative. Con la guerra in corso, e con le ristrettezze economiche in cui versano numerosi strati della popolazione civile russa, non solo l’offerta di lavoro si è significativamente contratta costringendo molti lavoratori kirghisi a rientrare in patria, ma addirittura si è innescato un fenomeno di contro-migrazione con forza-lavoro russa in cerca di opportunità in Asia Centrale. Il mese scorso, dopo aver annunciato un piano anti-crisi per 126 miliardi di som (circa 1,4 miliardi di euro) il ministro dell'Economia Daniyar Amangeldiev ha dichiarato che il Paese era in trattative con la Corea del Sud e la Turchia per allentare le restrizioni sui visti per i lavoratori migranti kirghisi in caso di aumento dei rimpatriati.
Da ultimo, un significativo problema per il Kirghizistan è, oltre a quanto notato sopra, la possibilità di riallocazione delle priorità della Russia in termini di investimenti e progetti comuni, che possono dunque subire forti rallentamenti o addirittura cancellazioni. A questo proposito, è importante per esempio notare come recentemente il Kirghizistan abbia cercato di rafforzare la partnership commerciale-infrastrutturale con l’Uzbekistan, specie per quel che riguarda il settore idroelettrico. In aggiunta, la recente visita del presidente Sadyr Japarov in Azerbaijan ha di fatto messo in luce come il Paese sia in cerca di investimenti alternativi da e attraverso il Caucaso.
Tagikistan
Le considerazioni fatte per il Kirghizistan valgono, sommariamente, anche per il Tagikistan, specialmente per l’impatto che la guerra russo-ucraina sta avendo sui migranti tagiki in territorio russo e per il fatto che il 21,3% del fatturato commerciale del Tagikistan deriva da relazioni economiche con la Russia.
In aggiunta, come anticipato sopra, il Kazakistan ha da poco introdotto un divieto all’export di cereali e farina, creando di fatto una forte pressione sul mercato interno tagiko che dipende dagli export kazaki per il 30%, addirittura il 90% per quel che riguarda il grano. La contrazione del mercato cinese, sommata alle difficoltà russe e kazake, non aiuta di certo la già fragile economia tagika. Per quanto riguarda l’aspetto valutario della crisi, il somoni si è significativamente deprezzato (circa 20%) nelle ultime settimane, contribuendo di fatto a un’erosione del potere d’acquisto della popolazione tagika.
Il 16 marzo il presidente Emomali Rahmon ha istituito un piano anti-crisi con l’obiettivo di rafforzare le industrie e i produttori interni attraverso l’uso di investimenti e donazioni internazionali in congiunzione con una moratoria sulle ispezioni delle attività degli imprenditori, ma vi è un consenso piuttosto generalizzato che questo piano anti-crisi sia piuttosto tardivo, specie alla luce della domanda internazionale di beni di prima necessità colpiti dal conflitto come olio, grano, e zucchero, che in Tagikistan hanno subito un aumento del prezzo dal 15 al 20%. La Banca Mondiale e la Banca Asiatica dello Sviluppo prevedono infatti un rallentamento dell’economia tagika di almeno il 2%, proprio a causa della guerra in Ucraina. Vi sono al momento strategie per la diversificazione economica, specie contando sull’India e Pakistan, ma senza chiarezza e linee guida precise.
Uzbekistan
Per quanto riguarda l’Uzbekistan, il Paese centrasiatico che forse più di tutti si è espresso apertamente per una risoluzione pacifica e per il rispetto delle basilari norme del diritto internazionale territoriale, uno dei principali problemi legati al conflitto russo-ucraino e alle sanzioni annesse è di matrice finanziaria. La Banca centrale Uzbeka ha infatti introdotto il 15 aprile una misura cautelare per invitare business locali e banche decentralizzate a informarsi sulle condizioni legali e finanziarie delle banche russe con cui si vuole svolgere attività economica. Questo ha fatto seguito alla sospensione delle transazioni forex, fatta eccezione per quelle in rubli. Da un punto di vista di rimesse, va ricordato che l’Uzbekistan dipende per il 12% da soldi mandati al Paese dall’estero, in particolare proprio dalla Russia (dove risiedono 3 milioni di uzbeki) e, in minor misura, dal Kazakistan e dalla Turchia. In termini macroeconomici, il uzbeko è previsto contrarsi, passando da un solido 7,4% nel 2021 ad un meno ottimistico 5,6% nel 2022.
Più in generale, il 31 marzo il presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev ha incaricato il governo di elaborare un piano dettagliato di misure specifiche per superare l'impatto negativo della “situazione attuale nei singoli Paesi partner commerciali chiave”, riferendosi alla guerra in Ucraina e alle sanzioni contro la Russia. I principali trends notati nelle altre repubbliche, vale a dire aumento dei prezzi del cibo, svalutazione della moneta (il som uzbeko si è deprezzato di circa il 6%) e panic buying si sono verificati anche in Uzbekistan, dove però la Banca Centrale ha aumentato il tasso base dal 14% al 17% per ridurre al minimo i fattori monetari dell'inflazione, frenare la svalutazione e preservare i risparmi nella valuta nazionale, avendo così un effetto positivo sul mercato. Dal 1 aprile fino alla fine del 2022, al trasporto ferroviario di grano (farina) e olio vegetale importati si applica una tariffa ridotta del 50%. Inoltre, il ministero dell'Agricoltura ha evidenziato che la popolazione dell'Uzbekistan avrà abbastanza farina e olio di girasole per almeno sei mesi. Inoltre, per mantenere la stabilità del mercato, il Paese intende acquistare altre 600.000 tonnellate di grano e riserve di zucchero per un anno, che andranno ad aggiungersi alle importazioni dal Brasile.
Vi è, in generale, l’aspettativa che questa crisi innescata dalla guerra russo-ucraina spinga ulteriormente l’Uzbekistan verso un’ulteriore apertura in termini di economia di mercato e liberalizzazioni, e dunque i prossimi mesi saranno cruciali per capire le intenzioni del governo uzbeko a riguardo.
Turkmenistan
Anche se, come da prassi, è difficile trovare informazioni veritiere e affidabili su quanto sta succedendo in Turkmenistan alla luce del conflitto in Ucraina, è ragionevole affermare che il Paese è in qualche modo più protetto dalla crisi generalizzata dovuta alla guerra, alla luce del carattere prettamente isolato della sua economia (ad eccezione degli idrocarburi). La bilancia commerciale di Ashgabat con la Russia è positiva, il Paese non conta nessun debito estero, e per quel che riguarda le importazioni dall’Ucraina si parla di volumi già piccoli in partenza (circa due milioni di euro), quindi non vi è stata nessuna massiccia interruzione. La situazione macroeconomica, semmai, è più legata ai prezzi mondiali del gas e al volume delle esportazioni verso a Cina.
Ciò che è interessante notare è che il recente cambio alla presidenza, con Serdar Berdimuhamedow succeduto a suo padre Gurbanguly proprio durante l’inizio dell’invasione russa, potrebbe portare ad un rinnovamento della politica economica e di investimenti del Paese in termini di maggiore apertura e diversificazione, anche se al momento la priorità principale del governo turkmeno è quella di controllare i prezzi di cibo e commodities di base, controllando l’aumento dei prezzi che già era fuori controllo prima della guerra in Ucraina.
Forse ancora piú interessante è che questa spinta a una maggiore apertura sta avendo un carattere pro-russo. Il 9 Aprile, Berdimuhamedow ha incontrato il vice primo ministro Alexei Overchuk, notando “un grande potenziale per intensificare la cooperazione in settori chiave, tra cui il commercio, l'economia, il settore dei combustibili e dell'energia, l'agricoltura, l'industria leggera e di trasformazione, i trasporti, le comunicazioni e una serie di altri settori prioritari”. A ciò si aggiunge che in seguito alle sanzioni economiche imposte a Mosca per la sua invasione militare dell'Ucraina, le autorità turkmene stanno intensificando gli sforzi per aumentare la produzione di frutta e verdura esportata in Russia. Insomma, neutralità sì, ma solo finché l’economia non inizia a soffrire.