Nell’attesa che la UE risolva i nodi connessi all’implementazione dell’ormai celebre sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia - destinato a chiudere ulteriormente alcuni spazi nel commercio con Russia e Bielorussia, oltre al già noto eventuale futuro blocco delle importazioni di petrolio -, è opportuno a questo punto soffermarsi sul design del sistema sanzionatorio, focalizzandosi sulla progressività dei pattern restrittivi e sulla loro attesa efficacia.
Dall’energia ai prodotti duali
In effetti, l’intero sistema sanzionatorio, come già ricordato in altri articoli pubblicati sul tema, nasce, tecnicamente, come evoluzione dei Regolamenti comunitari adottati a fronte della “crisi Ucraina” del 2014 (per quanto riguarda la Russia) e della “situazione in Bielorussia” (che si riferiva alle forti azioni repressive e alle irregolarità fondamentali verificatesi durante le elezioni presidenziali del 19 marzo 2006). E, fin dal primo pacchetto (adottato nel febbraio 2022 per quanto riguarda la Russia e il 2 marzo successivo per la Bielorussia), è risultata evidente la volontà dell’Unione Europea di esercitare una pressione progressiva e di impatto immediato sull’economia dei due Paesi: al fine, naturalmente, di dissuaderli dal proseguire nell’azione bellica o nel supporto alla medesima proprio riducendo la capacità economica dei due Paesi stessi.
In altri termini, se le sanzioni originariamente adottate verso la Russia (nel 2014) finivano per colpire, parzialmente e limitatamente, la filiera oil&gas e il trasferimento di prodotti duali a specifici “soggetti listati”, oggi il quadro sanzionatorio si è allargato con finalità ad ampio spettro, andando a intercettare settori spesso molto lontani da quel core business energetico da sempre attribuito alla Russia.
Le restrizioni del primo pacchetto 2022, infatti, coinvolgevano i beni che possono costituire un pericolo per la sicurezza di ambienti e persone, così come i prodotti a duplice uso, quelli per la navigazione aerea e marittima e i prodotti che possono contribuire allo sviluppo militare e di sicurezza della Russia e della Bielorussia (questi ultimi elencati rispettivamente negli articoli 2 bis del Reg. (UE) 833/2014 e 1 septies del Reg. CE765/2006 , definiti gergalmente prodotti “quasi duali”). A questi la Commissione europea ha aggiunto alcune, molto ampie, famiglie di beni che vanno a colpire le capacità economiche e industriali dei due Paesi, seppur in misura diversa e per prodotti talora per nulla coincidenti: dai beni “di lusso” (di cui all’art. 3 nonies del novellato Reg. UE 833/2014), alle valvole, ai mobili per sedersi.
Limiti e rischi del sistema di sanzioni
Resta però da cogliere, come si diceva, il disegno generale che emerge dalle restrizioni su export e import dei beni: se, da un lato, l’impressione è che si sia fatto ricorso alla codificazione del Sistema armonizzato e, talora, della Nomenclatura Combinata, più per esigenze di identificazione meccanica delle aree restrittive che per colpire singoli prodotti, dall’altro lato tale metodologia ha lasciato, volutamente, aperte numerosissime finestre al commercio con Russia e Bielorussia. Ad esempio, le valvole (Tariff Heading 8481) sono soggette a divieto di esportazione mentre le “parti di valvole” possono essere ancora esportate, in quanto sicuramente funzionali alla ricambistica e all’assistenza tecnica. O, ancora, le estesissime categorie dei beni di lusso che, in quanto beni non di lusso (ossia, in linea di massima, di valore inferiore ai 300 o ai 750 euro - salvo il particolare caso dell’automotive) non sono ristrette in alcun modo - a meno che non siano poi oggetti a duplice uso o la cui esportazione sia ristretta per effetto di disposizioni di natura diversa).
Pertanto, lo scenario in cui le imprese comunitarie si trovano a operare, appare non come un muro invalicabile ma come una rete a maglie strette, sì, ma che lascia aperto e vivo il commercio con Russia e Bielorussia. Leggendo le disposizioni in chiave opposta a quella prudenziale e restrittiva, ossia cercando di vedere cosa ancora è tranquillamente commerciabile, emerge l’immagine di una pressione forte ma non soffocante, volta a mantenere aperte le porte per un rilancio degli scambi condizionato, in modo sempre più evidente, alle scelte che la Russia potrebbe e dovrebbe operare nel più breve tempo possibile. Pressione, pertanto, e non strangolamento: persuasione attraverso misure che dovrebbero accompagnare un’azione diplomatica di largo spettro.
Come prevedibile, a partire da febbraio 2022, tutte le organizzazioni imprenditoriali attive nella UE, pur appoggiando senza riserve l’azione degli organi unionali, hanno ritenuto opportuno sollevare con la Commissione le notevoli preoccupazioni derivanti dall’attuazione delle misure restrittive, che talora finiscono per avere effetti ben diversi da quelli attesi e fortemente penalizzanti per le nostre imprese. In particolare, tali preoccupazioni riguardano:
- l'overcompliance: un aspetto lamentato da tantissimi operatori economici, che si trovano di fronte a dogane che agiscono applicando le norme in maniera “eccessivamente orientata alle restrizioni". Tuttavia, è anche vero che si rischia, in questo momento, di non applicare limitazioni a causa della difficoltà tecnica connessa all'analisi specifica, non tanto e non solo dei prodotti, ma delle transazioni commerciali sottostanti. In altri termini, la difficoltà che gli uffici doganali possono incontrare risiede nell'individuazione dell'effettiva destinazione della merce, i tragitti del mezzo di trasporto al di fuori del territorio comunitario e l'affidabilità delle prove relative ai tempi di conclusione dei contratti paiono giustificare tale approccio. Eppure le regole dovrebbero essere applicate in modo prudente ma orientato a preservare gli scambi laddove essi siano legittimi, rimuovendo ostacoli costituiti da dubbi, perplessità e approccio diffidente verso gli operatori economici, garantendo un’applicazione equilibrata delle restrizioni.
- I trasporti su strada: come noto, il quinto pacchetto ha introdotto il divieto di circolazione ai mezzi di trasporto di beni su strada gestiti da imprese russe. A tale divieto si oppongono alcune, ragionevolissime, eccezioni: per esempio nel caso di trasporto di articoli agroalimentari e farmaceutici che possono ancora circolare su mezzi di imprese di trasporto russe. Qui, il problema è rappresentato dalla possibilità di associazione nel medesimo trasporto anche di beni che non godono di tale eccezione. Come comportarsi? Lasciare a terra i beni dubbi? Consentire il trasporto associato di beni peraltro liberi da restrizioni in omaggio alla riduzione dell’impatto ambientale derivanti dall’attivazione di due mezzi di trasporto laddove ne basterebbe uno?
- La mancanza di Linee Guida da parte delle autorità dell’Unione: la Commissione, infatti, non ha ancora provveduto in merito, nonostante sia stata ripetutamente sollecitata dal settore privato e dalle autorità doganali degli Stati membri in tal senso. In realtà, tale "mancanza" da parte della Commissione sembra giustificata dalla dinamica che abbiamo illustrato: ossia, dalla necessità di assicurare una sorta di plasticità nella attuazione delle misure restrittive. La successione frenetica dei primi 5 pacchetti, che contenevano, progressivamente, adeguamenti, estensioni, reinterpretazioni di intere locuzioni normative (ad esempio il settore dell’energia, completamente ridefinito in occasione del quarto pacchetto) poteva giustificare la volontà di lasciare i dettagli applicativi ai singoli uffici doganali dell’Unione, confidando nella “sensibilità al contesto economico” che essi possono esprimere per la vicinanza territoriale alle imprese. In altri termini, la Commissione pareva (e pare) preferire flessibilità e contestualità alla uniformazione globale dei meccanismi limitativi. In realtà, se tale approccio poteva essere giustificato dalla frenetica successione dei pacchetti sanzionatori, oggi, a fronte di un quadro che tende a stabilizzarsi, sarebbe indubbiamente il tempo per indicazioni nette che possa evitare distorsioni di traffico o fenomeni sparsi di overcompliance.
Il disegno sanzionatorio, riletto in questi termini, sembra orientato verso una dinamica evolutiva modulare: aggiungere restrizioni o toglierle sembra, in effetti, un processo piuttosto semplice fatto di “pezzi” che possono essere attivati o disattivati alla bisogna, senza la necessità di riscrivere daccapo i regolamenti. L’approccio da “cantiere aperto” si sposa bene, peraltro, con i margini di manovra di cui devono esser dotate le diplomazie comunitarie e non per giungere a una soluzione pacifica di questa tragedia.