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Focus Mediterraneo allargato n.18

L'Iran di Raisi tra incertezze e dialogo internazionale

Annalisa Perteghella
08 febbraio 2022

I primi sei mesi in carica dell’amministrazione Raisi, eletta nel giugno 2021, sono stati caratterizzati dalla gestione di sfide quali la pandemia da coronavirus, la gestione di un’economia provata dalle sanzioni, il contenimento del malcontento popolare dovuto alla grave crisi ambientale che coinvolge diverse regioni del paese e la ricerca di una ridefinizione delle relazioni con i vicini regionali. Dopo un lungo iato, sono poi ripresi anche i colloqui di Vienna per il pieno ritorno tanto della Repubblica islamica quanto degli Stati Uniti all’intesa sul nucleare siglata nel 2015 e successivamente abbandonata dall’ex presidente americano Donald Trump. La maggiore intransigenza della nuova squadra negoziale iraniana, ora allineata alle posizioni di diffidenza verso gli Stati Uniti della guida suprema, complica però l’andamento del negoziato.

 

Quadro interno

Anche l’Iran si trova alle prese con la recrudescenza della pandemia da coronavirus che nei mesi invernali è tornata a colpire duramente. Lo scorso 19 dicembre il ministro della Salute Bahram Einollahi ha confermato l’individuazione del primo caso di variante Omicron nel paese su un cittadino iraniano di ritorno da un viaggio negli Emirati Arabi Uniti[1]. Il comitato scientifico che opera nella task force anti-coronavirus predisposta dal governo iraniano ha poi messo in guardia circa il fatto che in mancanza di risposte efficaci la variante è destinata a divenire presto dominante. Sempre nel mese di dicembre il governo iraniano ha introdotto un sistema simile al pass sanitario, che permette ai cittadini vaccinati di esercitare pressoché qualsiasi attività, mentre impone restrizioni, ad esempio sui viaggi, ai non vaccinati. Al 31 gennaio, sono 6.344.179 i casi confermati di infezione da Covid-19 (in Italia sono 10.925.485), 132.424 le morti (in Italia sono 146.149), su una popolazione totale di circa 80 milioni di persone[2]. In controtendenza rispetto a quanto sta accadendo in Italia e nel resto del mondo occidentale, la curva dei contagi ha però al momento un andamento discendente e un numero decisamente inferiore di casi giornalieri registrati: mentre in Italia si registrano dall’inizio di gennaio più di 100.000 casi al giorno, l’Iran riporta al momento meno di 2.000 casi al giorno. La campagna vaccinale, dopo le difficoltà iniziali, procede speditamente, con più di 122 milioni di dosi somministrate: circa 50 milioni di persone hanno ricevuto entrambe le dosi di vaccino, 11 milioni avrebbero ricevuto anche la dose booster[3], necessaria contro la variante Omicron. Un ruolo importante nella campagna vaccinale iraniana è stato giocato proprio dall’Italia, che ha donato 1,2 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca attraverso la facility COVAX[4]. Altri vaccini somministrati nel paese sono quello di produzione russa Sputnik[5], quello di produzione cinese Sinopharm, il cubano Soberana, quello statunitense Janssen (attraverso COVAX) e alcuni vaccini di produzione domestica. Proprio la decisione di ricevere il vaccino Sputnik, dunque un vaccino di importazione, anziché uno dei vaccini di produzione domestica, è costata al ministro della Salute Bahram Einollahi l’avvio della procedura di impeachment da parte di alcuni deputati del fronte più conservatore[6]. Dal momento però che la maggioranza del parlamento è favorevole all’amministrazione Raisi, appare improbabile che l’impeachment si concluda con l’effettiva messa in stato di accusa del ministro.

In questo contesto di profonda incertezza circa la situazione pandemica, che si ripercuote sulle possibilità di ripresa economica, il 12 dicembre scorso l’amministrazione Raisi ha presentato al parlamento la bozza di budget per l’anno iraniano 1401[7], che si aprirà il 23 marzo prossimo per concludersi il 22 marzo 2023. Il budget totale previsto, e che dovrà essere approvato dal parlamento entro marzo, ammonta a circa 50 miliardi di dollari. Per quanto riguarda le entrate, si prevede che il 25% di esse provenga dalle esportazioni di petrolio, il 35% dalla raccolta fiscale, il 20% dalla vendita di asset finanziari, il 9% da risorse ministeriali e il rimanente 11% da altre fonti[8]. Ciò che vale la pena sottolineare è che nel budget si prevedono esportazioni di petrolio pari a 1,2 milioni di barili al giorno a un prezzo medio di 60 dollari al barile. La quantità di petrolio esportato sarebbe dunque molto simile a quella esportata nel 2021, con le sanzioni Usa ancora in vigore. Sebbene non esistano dati ufficiali relativi alle esportazioni 2021, TankerTrackers ha stimato una quantità di 1,2 milioni di barili al giorno[9], diretti perlopiù in Cina, sulla base di osservazioni satellitari che monitorano le attività delle petroliere iraniane. Tale quantità corrisponde a circa la metà delle esportazioni petrolifere realizzate nel 2017, con l'accordo sul nucleare (il Joint Comprehensive Plan of Action, Jcpoa) pienamente in vigore e dunque in assenza di sanzioni Usa. Il dato circa le previsioni di esportazioni petrolifere sarebbe dunque indicativo del fatto che l’amministrazione Raisi non prevede che le sanzioni vengano rimosse, ma soprattutto sarebbe pienamente in linea con l’“economia di resistenza”[10] che secondo la guida suprema Khamenei permetterebbe al paese di raggiungere un livello ottimale di sviluppo economico senza la necessità di scambi e aperture verso l’Occidente. All’atto del suo insediamento nell’agosto 2021 il presidente Ebrahim Raisi si è infatti impegnato a non legare le sorti – soprattutto quelle economiche – del paese ai rapporti con l’Occidente[11], aggiungendo inoltre che parte del suo operato sarebbe stato volto a “neutralizzare” gli effetti delle sanzioni.

Un altro dato rilevante è quello relativo alle previsioni circa le entrate da raccolta fiscale: il governo prevede che le entrate fiscali crescano del 62% e che compongano il 35% delle entrate complessive (l’11% in più rispetto al 2021). L’aumento della pressione fiscale si baserebbe su previsioni governative di crescita dell’economia pari all’8% nel 2022 (mentre il Fondo monetario internazionale stima il 2%)[12]; queste ultime dovranno dunque con ogni probabilità essere riviste al ribasso. Anche le entrate doganali sono previste in crescita, come conseguenza della decisione di applicare imposte sul valore aggiunto anche nelle zone economiche speciali[13].

Ulteriore peculiarità del budget presentato è l’allocazione diretta di parte delle entrate derivanti dalle esportazioni di petrolio al settore della difesa. Dei circa 5 miliardi di dollari di rendita petrolifera allocata alla difesa, la parte maggiore (1 miliardo di dollari) andrebbe al Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica (Irgc), mentre la somma rimanente sarebbe distribuita tra le forze armate regolari (Artesh, 760 milioni di dollari), il ministero della Difesa (Modafl, 707 milioni di dollari), lo staff delle forze armate (289 milioni di dollari), le forze di sicurezza (230 milioni di dollari), Khatam al-Anbiya (il conglomerato industriale legato all’Irgc, 5,1 milioni di dollari), e il rimanente in progetti individuali.

Il rafforzamento del settore della difesa e gli ingenti finanziamenti alle forze di sicurezza appaiono profondamente legati alla necessità da parte della Repubblica islamica di tenere sotto controllo il crescente malcontento che trova saltuariamente espressione aperta in movimenti di protesta.

Tra i mesi di novembre e dicembre si sono verificate importanti manifestazioni di protesta[14], che hanno avuto origine nella città di Esfahan, contro la scarsità idrica15. Il centro nevralgico delle proteste è stato il letto – prosciugato – dello Zayandeh Rud, il corso d’acqua che attraversa la città e che in passato irrigava l’intera provincia. Lo Zayandeh era inoltre uno dei pochi fiumi iraniani non soggetto a stagionalità, trasportando dunque acqua per tutta la durata dell’anno. A partire dal 2010, però, il fiume è andato progressivamente prosciugandosi a causa del mix tra gli effetti del cambiamento climatico (con temperature crescenti e precipitazioni in diminuzione) e una gestione inefficiente che ha portato per esempio a dirottare le acque del fiume verso i complessi industriali della provincia desertica di Yazd e verso il centro religioso di Qom.

Il prosciugamento delle risorse idriche rappresenta un trend allarmante su tutto il territorio iraniano[15], ed è proprio il timore che diversi movimenti di protesta locali si possano saldare in un movimento di protesta nazionale e trasversale che porta le forze di sicurezza a intervenire per reprimere le proteste[16]. Proteste a sfondo ambientale sono avvenute anche nella provincia occidentale del Lorestan, e in quelle di Chaharmahal e Bakhtiari, proprio nei giorni delle manifestazioni di Esfahan. Lo scorso luglio proteste simili avevano avuto luogo nella città di Ahvaz, nella provincia sud-occidentale del Khuzestan[17], “osservata speciale” da parte del governo perché sede di movimenti separatisti arabi e centro nevralgico della produzione di petrolio.

Oltre al timore che questi movimenti locali si uniscano in un movimento nazionale, a motivare la risposta securitaria è anche il timore che proteste a sfondo ambientale si trasformino in manifestazioni contro il sistema: nei giorni delle proteste di Esfahan, sono infatti comparsi gli slogan “Morte al dittatore” e “Morte a Khamenei”, che sarebbero indice di un profondo malcontento verso il sistema: una dinamica simile a quanto accaduto nel 2019 in occasione delle proteste contro l’innalzamento dei prezzi del carburante[18].

La risposta del governo, tanto alle proteste del 2019 contro l’aumento dei prezzi della benzina quanto a quelle del 2021 contro la scarsità idrica, è stata quella dell’oscuramento di Internet e dell’intervento delle forze di sicurezza[19]. Una risposta che però, per quanto possa essere ritenuta efficace nel breve termine dal governo, non fornisce una risposta alle cause del malcontento e rischia pertanto di suscitarne di ulteriore.

 

Relazioni esterne

Sono ripresi il 29 novembre scorso i colloqui di Vienna sul nucleare, con l’obiettivo di portare al pieno ritorno tanto degli Usa quanto dell’Iran ai contenuti dell’intesa siglata nel 2015 e successivamente abbandonata dall’ex presidente Donald Trump nel 2018. I colloqui, che erano già ripresi nell’aprile 2021 in seguito all’insediamento alla Casa Bianca del presidente Joe Biden, erano stati messi in pausa dalla Repubblica islamica nel mese di giugno, in seguito alle presidenziali che hanno portato all’elezione di Ebrahim Raisi e alla necessità da parte iraniana di rivedere squadra e termini del negoziato.

Alla ripresa dei colloqui, la nuova squadra negoziale iraniana, guidata dal capo negoziatore e viceministro degli Esteri Ali Bagheri-Kani, avrebbe però presentato richieste massimaliste e lontane da quanto già concordato nei round negoziali condotti dal precedente team iraniano. Proprio questo massimalismo avrebbe portato i paesi europei, di concerto con gli Usa, a interrompere il negoziato già il 3 dicembre[20], mentre gli iraniani si erano dichiarati pronti a rimanere a Vienna “per tutto il tempo necessario al raggiungimento di un accordo”. Le richieste iraniane[21], in particolare, si concentrano su due temi principali: quello delle garanzie e quello della verifica. Legata alla questione delle garanzie è la richiesta che gli Usa garantiscano che le amministrazioni successive a quella Biden non si ritirino nuovamente dall’accordo, portando alla reintroduzione delle sanzioni; in caso ciò dovesse accadere, Teheran chiede di ricevere compensazioni che le permettano di proteggere la propria economia dai danni derivanti dalla reintroduzione delle sanzioni Usa. La questione della verifica è invece legata alla richiesta di dotarsi di un meccanismo che verifichi e certifichi in qualsiasi momento che Teheran stia ricevendo dei benefici economici dalla propria partecipazione al Jcpoa. L’idea iraniana è di dare questo potere di monitoraggio a un comitato speciale che operi di concerto con il Consiglio supremo di sicurezza nazionale e che produca report periodici di valutazione, in base ai quali la leadership iraniana dovrebbe valutare se rimanere o meno parte dell’accordo. Questa richiesta è motivata in larga misura dalla penalizzazione economica subita in seguito al ritiro Usa dall’accordo e alla reintroduzione delle sanzioni, ma anche dalla mancata realizzazione dei benefici economici previsti nel periodo precedente al ritiro americano, quando a causa del permanere di un clima di incertezza e di alcune difficoltà oggettive soprattutto dal punto di vista finanziario, i numerosi memorandum d’intesa firmati da Teheran con aziende e paesi occidentali avevano faticato a tradursi in accordi e impegni concreti. L’Iran teme, in parte a ragione, che anche nel caso di una ritrovata intesa sul nucleare e della rimozione delle sanzioni da parte dell’amministrazione Biden, i soggetti economici internazionali decideranno di continuare a non investire e non tessere accordi con Teheran, per timore che quanto accaduto con Trump possa ripetersi in futuro.

Dopo lo stop di inizio dicembre, i negoziati sono poi ripresi lo scorso 27 dicembre e sono tuttora in corso[22]. A differenza del round precedente, questo ottavo round sembra essere caratterizzato da un cauto ottimismo e da primi passi in avanti verso il raggiungimento di un’intesa[23]. I negoziatori europei e statunitensi però mettono in guardia circa il progressivo chiudersi della finestra di opportunità per il raggiungimento di un accordo: lo stato di avanzamento del programma nucleare iraniano, infatti, sarebbe tale da permettere a Teheran il raggiungimento della soglia di breakout entro il primo trimestre 2022. Passata questa soglia, le limitazioni imposte dal Jcpoa sarebbero vane e l’accordo stesso, pertanto, inutile.

Nel frattempo, si moltiplicano da parte israeliana le minacce relative all’esistenza di un “piano B” per fermare il programma nucleare iraniano, ovvero la possibilità di intraprendere un’azione militare contro Teheran. Queste minacce però si rivelano allo stato attuale poco credibili tanto sul piano della capacità quanto su quello della volontà. Per quanto riguarda la capacità, sebbene Israele sia il paese meglio armato nella regione, non dispone degli strumenti necessari a portare a termine un’azione complessa come il bombardamento simultaneo di diversi siti nucleari sul territorio iraniano, alcuni dei quali posti in profondità al di sotto di montagne. Per poter predisporre un piano militare credibile, Israele avrebbe bisogno di ricevere dagli Usa i Boeing KC-46 ordinati lo scorso anno, necessari per il rifornimento in volo dei velivoli bombardieri; la fornitura, però, già approvata dagli Usa, non verrà consegnata prima del 2024[24]. L’alternativa è rappresentata dal rifornimento in volo con i “vecchi” Boeing 707 già in possesso della flotta israeliana oppure il rifornimento nelle basi emiratine o saudite; quest’ultima ipotesi sembra però decisamente remota dal momento che difficilmente Eau e Arabia Saudita vorranno essere implicati nell’operazione e dunque esposti a rappresaglie. Inoltre, secondo gli esperti militari[25] Israele non disporrebbe della capacità di mettere fuori uso le difese iraniane e limitare la sua capacità di second-strike, che consiste prettamente in un arsenale missilistico sempre più sofisticato. Per raggiungere poi i siti nucleari posti in profondità al di sotto di montagne come il sito di Fordow, occorrerebbero bombe anti-bunker come la Gbu-57 Mop (Massive Ordnance Penetrator), in grado di penetrare fino a 60 metri nel cemento, in uso solamente all’aeronautica statunitense. Infine, Israele sarebbe esposto alla rappresaglia iraniana proveniente non solamente da Teheran ma dall’intera rete di proxies dispiegati nella regione, a partire da Hezbollah, attualmente in possesso di un arsenale che si ritiene in grado di penetrare il pur efficace Iron Dome israeliano. A questo si collega l’elemento della volontà: Israele è consapevole del fatto che la rappresaglia iraniana infliggerebbe pesanti perdite e nel calcolo costi-benefici i costi rischierebbero di essere superiori rispetto ai benefici ottenuti con l’operazione; questi ultimi sarebbero solamente parziali e non in grado di arrestare il programma nucleare iraniano ma semmai solamente di rallentarlo.

In parallelo ai colloqui sul nucleare di Vienna, prosegue anche l’altro processo diplomatico in corso dallo scorso aprile: il dialogo tra Teheran e i propri vicini del Golfo, in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. I colloqui con l’Arabia Saudita sono mediati dal primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi e vertono perlopiù sulla ricerca di una soluzione negoziale alla guerra in Yemen, ma finora non sembrano aver prodotto risultati concreti. Proprio il decesso, per Covid[26], dell’ambasciatore iraniano in Yemen lo scorso 21 dicembre ha portato a un nuovo scambio di accuse tra Teheran e Riyadh. L’Iran ha infatti accusato l’Arabia Saudita, che implementa il blocco aereo, terrestre e navale attorno alle aree controllate dagli Houthi, di aver ritardato le operazioni di evacuazione del diplomatico, che sarebbe dunque arrivato a Teheran troppo tardi per ricevere le cure adeguate. Riyadh ha respinto le accuse[27], affermando di avere al contrario facilitato le operazioni di evacuazione tramite volo umanitario, in seguito alla mediazione irachena e omanita. La soluzione della guerra in Yemen, del resto, sembra ancora lontana: gli Houthi, in vantaggio sul terreno, sembrano propendere per una vittoria militare anziché per una soluzione politica. Teheran non avrebbe dunque incentivi ad acconsentire a una soluzione negoziale con la controparte saudita nell’immediato, dal momento che potrà farlo prossimamente da una posizione di maggiore forza. Non a caso, continuano i rifornimenti di armamenti ai guerriglieri yemeniti: lo scorso 23 dicembre la US Navy ha intercettato un peschereccio fantasma nel mar Arabico, al largo di Oman e Pakistan, contenente 1400 kalashnikov e più di 220.000 munizioni[28], che Washington suppone fossero diretti dall’Iran agli Houthi. Il ministro degli Esteri iraniano Hossein-Amir Abdollahian ha affermato, sempre alla fine di dicembre, che il dialogo con Riyadh sarebbe ripreso a breve ma, come per il dialogo sul nucleare, non sono ipotizzabili sviluppi decisivi nel breve periodo[29].

A uno stadio più avanzato è invece il dialogo con gli Emirati Arabi Uniti. Lo scorso 6 dicembre il consigliere per la sicurezza nazionale emiratino Sheikh Tahnoon bin Zayed Al Nahyan si è recato in visita ufficiale a Teheran[30], dove è stato accolto dal capo del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale iraniano Ali Shamkhani, per poi essere ricevuto dal presidente Ebrahim Raisi. Al centro dei colloqui, le relazioni regionali e in particolar modo la sicurezza e le relazioni commerciali. L’engagement silenzioso degli Emirati verso Teheran è cominciato già nel 2019, quando a seguito della politica di “massima pressione” dell’ex presidente Donald Trump il quadro della sicurezza nel Golfo ha subito un notevole deterioramento. È il pragmatismo dunque a guidare questi colloqui: da parte emiratina vi è il riconoscimento che non sia possibile isolare Teheran senza subirne le conseguenze negative, da parte iraniana vi è la ricerca di interlocutori e legittimazione regionale, oltre al fatto che Dubai ha storicamente rappresentato una importantissima sponda commerciale per l’economia iraniana provata dalle sanzioni.

NOTE:

[1] M. Motamedi, “Iran announces first case of Omicron COVID variant”, Al Jazeera, 19 dicembre 2021.

[2] World Health Organization (WHO), Iran (Republic Islami of) Situation.

[3] “Around 2,000 New COVID Cases Detected in Iran”, Tasnim News Agency,  12 gennaio 2022.

[4] “Iran Receives over 1,000,000 COVID-19 Vaccine doses donated by Italy through the COVAX Facility”, UNICEF, Press Release, 9 dicembre 2021.

[5] Covid19 Vaccine Tracker, Iran (Republic Islamic of), “11 Vaccines Approved for Use in Iran (Islamic Republic of)”, ultimo aggiornamento al 17 gennaio 2022.

[6] “Pressure mounts on Iran's health minister amid personal vaccine saga”, Al-Monitor, 11 gennaio 2022.

[7] “Raisi submits $864b budget bill to Majlis”, TehranTimes, 12 dicembre 2021.

[8] Iran in 2021: The Economy, United States Institutes of Peace, 15 dicembre 2021.

[9] Ibidem.

[10] B. Khajehpour, “Decoding Iran’s 'resistance economy'”, Al-Monitor, 24 febbraio 2014.

[11] M. Motamedi, “Iran’s Raisi promises to lift sanctions, improve public trust”, Al Jazeera, 3 agosto 2021.

[12] International Monetary Fund, Islamic Republic of Iran, CountryData.

[13] “Raisi submits $864b budget bill to Majlis”…, cit.

[14] M. Motamedi, “Thousands protest in Iran’s Isfahan to demand revival of river”, Al Jazeera, 19 novembre 2021.

15 Ibidem.

[15] “Water stress and political tensions in Iran”, Climate Diplomacy.

[16] F. Fassihi, “Iran Forcefully Clamps Down on Protests Against Growing Water Shortages”, The New York Times, 26 novembre 2021.

[17] C. Rondeaux “Protests in Iran Point to the Middle East’s ‘Water Bankrupt’ Future”, WPR World Politics Review, 30 luglio 2021.

[18] P. Hafezi, “Iran's protests against gasoline price hike turn political: media”, Reuters, 16 novembre 2019.

[19] M. Burgess, “Iran’s total internet shutdown is a blueprint for breaking the web”, Wired, 7 ottobre 2020.

[20] “Iran nuclear talk break amid European 'concern'”, DW Made for Minds.

[21] https://rc.majlis.ir/fa/report/show/1674913

[22] P. Wintour, “Iran nuclear deal: eighth round of talks begins in Vienna”, The Guardian, 27 dicembre 2021.

[23] J. Masterson, “Iran Nuclear Talks Show Some Progress”, Arms Control Today, gennaio/febbraio 2022.

[24] D.E. Sanger, R. Bergman, e H. Cooper, “Israel Finds Planes That Could Be Key to a Strike on Iran Badly Back-Ordered”, The New York Times, 13 dicembre 2021.

[25] J. Hannah, “Israel Needs Weapons to Stop Iran’s Bomb”, Foreign Policy, 15 ottobre 2021.

[26] “Iran’s Envoy to Yemen Martyred after Contracting Coronavirus”, Tasnim News Agency, 21 dicembre 2021.

[27] “Yemen: Saudi coalition says not slow to help evacuate Iran envoy”, Al Jazeera, 22 dicembre 2021.

[28] “U.S. Navy says large weapons shipment from Iran to Yemen's Houthi rebels seized from ‘stateless’ ship”, CBS News, 23 dicembre 2021.

[29] “Iran's foreign minister says Riyadh to grant visas to Iranian diplomats”, Reuters, 23 dicembre 2021.

[30] N. Karimi e J. Gambrell, “Top UAE adviser makes rare trip to Iran amid nuclear talks”, AP News, 6 dicembre 2021.

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Annalisa Perteghella
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Image credits Maryam Kamyab (CC BY 4.0)

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