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Focus Mediterraneo allargato n.14
L’Iraq verso la ricostruzione
Francesco Salesio Schiavi
23 settembre 2020

A quattro mesi dal suo insediamento, l’attuale esecutivo iracheno deve ancora affrontare una situazione di immensa pressione politica. Sotto la guida del primo ministro incaricato Mustafa al-Kadhimi, l’esecutivo si trova a fare i conti con il protrarsi della crisi sanitaria dovuta al Covid-19, con la grave situazione economica in cui verte il paese a seguito della carenza di liquidità e del crollo del mercato del greggio, e con il crescente dissenso popolare per via della mancanza di prospettive lavorative e della violenza delle forze di sicurezza irachene nei confronti delle proteste popolari. A peggiorare il quadro attuale, la volontà di al-Khadimi di avviare il paese verso una tanto agognata stabilità si scontra con la limitata durata del suo mandato (la cui scadenza è prevista per giugno 2021), con il risultato di dover mediare tra soluzioni di immediata necessità e riforme strutturali di più largo respiro.

 

Quadro interno

Sul piano interno, l’Iraq deve innanzitutto fare i conti con l’aggravarsi dell’emergenza Covid. Il 5 settembre, il ministero della Salute iracheno ha annunciato 5.036 nuovi casi di infezioni da coronavirus, la cifra più alta mai registrata in 24 ore nel paese, portando il numero totale di casi confermati a 294.478, di cui oltre 8.000 morti[1]. Il ministero della Salute ha attribuito le cause dell’aumento dei casi alla recente ripresa dei movimenti di piazza e alle grandi ricorrenze che si sono svolte con livelli di sicurezza inadeguati. Fonte di preoccupazione per il governo iracheno non è soltanto la noncuranza della popolazione. Decenni di guerre, di instabilità e di ristrettezza di fondi hanno infatti drasticamente ridotto i mezzi destinati alla sanità. Come risultato, le strutture ospedaliere irachene denunciano la carenza di medicinali, letti, di medici qualificati (secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, in Iraq sono disponibili solo 1,2 posti letto in ospedale e 0,9 medici per ogni mille cittadini, cifre basse rispetto alla media regionale), e persino l’insufficienza di dispositivi di protezione per il personale sanitario.

Attualmente, in Iraq è in vigore un coprifuoco parziale. Degli oltre 7 milioni di dipendenti statali (ben oltre la metà della forza lavoro nazionale), solo a un quarto è concesso recarsi sul luogo di lavoro, mentre la riapertura delle scuole è prevista per la fine di ottobre. L’insufficienza dei provvedimenti di restrizione sociale e delle misure preventive è in parte dovuta anche al tentativo da parte del governo di non intaccare il settore privato iracheno, la cui base informale è quasi interamente dipendente dai ricavi ottenuti su base giornaliera e per questo fortemente colpita delle prime norme di contenimento del virus attuate in primavera.

In termini economici, il paese stia affrontando una delle peggiori crisi dal 2003. Il Fondo monetario internazionale stima che l’economia irachena nel 2020 subirà una contrazione del 4,7% del prodotto interno lordo nazionale[2]. Altrettanto allarmante è il dato sull’export dei beni e servizi, per cui è previsto un calo complessivo del 40,5%[3]. Con una struttura economica che ricava più del 92% del proprio introito annuo dai proventi ottenuti dall’esportazione del greggio, l’Iraq si trova privo di importanti risorse finanziarie a causa del brusco calo dei prezzi del petrolio. Nel breve periodo, quindi, la principale sfida per il governo iracheno sarà quella di attuare una riforma fiscale che possa garantire una maggiore stabilità economica e i fondi sufficienti a coprire gli alti costi di gestione dello stato. Al calo delle esportazioni di greggio si sommano i tagli della produzione petrolifera concordati con l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), di cui l’Iraq risulta il paese maggiormente colpito dopo Russia e Arabia Saudita. Nonostante gli sforzi del governo per compensare la sovrapproduzione del primo semestre, denunciata dal Comitato ministeriale di monitoraggio congiunto (Jmmc) del cartello, il mancato raggiungimento delle cifre concordate per settembre ha costretto Baghdad a richiedere un’ulteriore proroga di due mesi.

La precarietà dell’attuale situazione economica e sanitaria si lega a doppio filo alle pericolose ricadute che queste hanno in ambito sociale. Secondo i dati recentemente forniti dalla Missione di assistenza Onu in Iraq (Unami), rispetto al 2019 il livello di povertà nel paese è considerevolmente aumentato (oltre il 10%), tanto che un terzo della popolazione irachena oggi vive al di sotto della soglia di povertà e a due cittadini iracheni su cinque non è garantito l'accesso ai servizi pubblici di base[4]. A queste problematiche si aggiunge la crescente disoccupazione e l’incapacità del paese di assorbire il crescente ingresso dei suoi cittadini nel mondo del lavoro, che ha portato la disoccupazione giovanile al 36% (con dati allarmanti sull’impiego delle giovani donne a oltre il 65%)[5].

In linea con il suo mandato, il primo ministro Mustafa al-Kadhimi ha recentemente confermato la volontà del governo di procedere verso le elezioni anticipate in programma per la prossima estate. Un simile traguardo, tuttavia, ha come premesse fondamentali una serie di passaggi la cui difficile messa a punto getta dubbi sulle effettive possibilità di rispettare i termini previsti. Oltre a dover finalizzare la legge elettorale, ancora oggetto di dibattito tra i partiti politici iracheni, sarà necessario formare un tribunale federale incaricato di supervisionare il processo elettorale. Infine, l’esecutivo deve anche garantire l’emendamento della Commissione elettorale, contestata sul nascere dalle piazze per via del ruolo svolto dai partiti politici nel processo di selezione dei suoi componenti. In linea con le richieste di maggiore trasparenza istituzionale, i manifestanti chiedono infatti la sostituzione dei magistrati nominati con individui estranei a qualsiasi tipo di affiliazione o corrente interna al sistema giudiziario iracheno.

In occasione della visita di Jeanine Hennis-Plasschaert, la rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per l'Iraq, il 13 settembre il grande Ayatollah Ali al-Sistani ha interrotto un lungo periodo di silenzio per ribadire il proprio supporto agli sforzi del governo di avviare il paese verso le elezioni e di ristabilire lo stato di diritto. Oltre a sostenere le riforme della giustizia sociale e le condanne per gli atti di frode e corruzione (che hanno caratterizzato le precedenti elezioni), la massima autorità sciita irachena ha posto l’enfasi sulla necessità da parte del governo di garantire al processo elettorale una maggiore credibilità che assicuri la trasparenza necessaria a innescare un maggiore coinvolgimento dei cittadini chiamati alle urne.

Il Marja’ ha poi esortato il governo a continuare il processo di riforme in atto in ambito securitario. L’obiettivo in questo frangente è quello di assicurare alle autorità un maggior controllo sulle frontiere, il raggiungimento di un più alto grado di disciplina e professionalità per le forze di sicurezza, la riduzione del traffico illecito di armi, un maggiore livello di controllo dell’autorità centrale irachena su tutte le forze armate (e in particolare sulle Unità di mobilitazione popolare - Pmu, Hashd-al-Shaabi) e la necessità di perseguire coloro che si sono macchiati di violenze a danno dei manifestanti. Da luglio si è infatti ripresentato il pericolo di attacchi mirati a danno di attivisti di spicco[6]. Questo fenomeno, oltre a minare le percezioni dei cittadini sull’effettiva capacità del governo di far cessare le violenze e di perseguire i colpevoli, contribuisce ad allargare le linee di frattura che a oggi separano sempre di più la società civile irachena dalle realtà politiche che dovrebbero rappresentarla.

Nelle circostanze attuali sembra quindi irrealistico attendere importanti riforme in chiave economica, politica o securitaria. Le capacità effettive di al-Kadhimi di affrontare le gravi questioni che attanagliano l'Iraq, già limitate dalla mancanza di una solida base politica indipendente, si scontrano con lo scarso tempo a disposizione per la messa in pratica di cambiamenti strutturali. Ciononostante, l’evidente sforzo da parte di al-Kadhimi e della sua squadra di governo di sottrarre il paese da un punto di non ritorno rappresenta indiscutibilmente un risultato di per sé alquanto significativo.

 

Relazioni esterne

In politica estera l’Iraq si sta facendo promotore di una campagna di normalizzazione volta a superare la lunga fase di instabilità ereditata dai governi precedenti a sostegno della stabilità regionale. Fin dalla sua nomina, il premier al-Khadimi ha avviato un ambizioso programma di ridefinizione degli obiettivi e delle alleanze del paese, incentrato su un approccio pragmatico e bilanciato nei vari rapporti bilaterali così da garantire a Baghdad uno status di mediatore nell’intricato scacchiere regionale. La nuova leadership irachena ambisce a migliorare e a rafforzare tanto i rapporti con i principali partner internazionali quanto quelli con i propri vicini nella regione.

La strategia del governo è in primo luogo quella di sottrarre l’Iraq dalla lunga fase di tensioni che ha contraddistinto le recenti relazioni tra gli Stati Uniti e l’Iran, gli interlocutori di maggior rilievo per Baghdad, il cui inasprimento all'inizio dell’anno ha avuto profonde ripercussioni sul paese. La diretta conseguenza di questa politica è stato il diffondersi di un crescente sentimento di opposizione tra la popolazione irachena alle ingerenze esterne e il protrarsi di attacchi a danno delle infrastrutture ospitanti le forze armate statunitensi e quelle della coalizione schierate in Iraq. Di fronte alla necessità di ridefinire il futuro delle relazioni economiche, politiche e securitarie, Stati Uniti e Iraq hanno avviato una serie di colloqui bilaterali (il primo tenutosi a Baghdad in giugno e il secondo a Washington ad agosto), durante i quali i leader dei rispettivi paesi hanno discusso gli incentivi alla stabilità e il rafforzamento dei legami bilaterali basati su interessi reciproci nella regione. In entrambi gli incontri, al-Khadimi ha posto al centro del dibattito il rispetto per la sovranità e l’integrità territoriale irachena, sottolineando la sua volontà di impedire che l’Iraq diventi nuovamente un campo di battaglia[7].

Al centro del dialogo strategico con Washington è stata la questione urgente sul futuro della presenza delle truppe americane schierate in Iraq. In linea con la volontà espressa da entrambi i leader di ridurre le truppe statunitensi nel paese, a inizio settembre il Central Command statunitense ha annunciato l’intenzione di ritirare oltre 2.000 uomini dei 5.200 schierati in Iraq entro la fine di novembre. Il restante personale avrà un ruolo di affiancamento nella lotta contro le vestige dello Stato Islamico e di addestramento delle forze antiterrorismo irachene, ma non di combattente[8]. Nel frattempo, la coalizione a guida statunitense ha proseguito con il consolidamento del proprio schieramento in poche basi strategiche sparse nel paese e attorno alla capitale, trasferendo invece le infrastrutture minori alle forze di sicurezza irachene (l'ultima, Camp Taji, è stata formalmente ceduta il 23 agosto). La visita di al-Khadimi a Washington ha inoltre permesso lo stanziamento di 204 milioni di dollari statunitensi a sostegno della ricostruzione dell’Iraq, nonché la firma di sostanziali accordi nel settore energetico e finanziario, con il coinvolgimento di cinque grandi compagnie statunitensi (Baker Hughes, Chevron, General Electric, Honeywell Uop, e Stellar Energy), per un valore complessivo calcolato di 8 miliardi di dollari[9]. Questi accordi mirano allo sviluppo del tessuto infrastrutturale e di produzione energetica dell’Iraq, nel tentativo di incrementarne la produzione interna di elettricità e gas e di ottimizzarne l’inserimento nel mercato energetico regionale.

Allo stesso tempo, oltre a rafforzare i legami economici e finanziari con gli Stati Uniti, queste nuove partnership ambiscono a consolidare l'indipendenza energetica di Baghdad nei confronti di Teheran. A oggi, l’Iraq importa tra i 1.200 e i 1.500 megawatt giornalieri di energia elettrica e l'equivalente di 3.300 megawatt di derivazione gasifera dalla Repubblica islamica. Per l'Iraq, l’Iran rimane un vicino strategicamente fondamentale, come conferma il viaggio di al-Kadhimi a Teheran a luglio (il primo all'estero dalla nomina), a dimostrazione dell'importanza che Baghdad riserva alle sue relazioni con la Repubblica islamica. Durante l’incontro con il grande ayatollah Ali Khamenei e il presidente iraniano Hassan Rouhani, i leader dei due paesi hanno esaminato le questioni più urgenti tra Teheran e Baghdad, in particolare le attività di alcuni gruppi armati sostenuti dall'Iran e operanti in Iraq, la questione della riapertura dei confini e l’evoluzione dell'influenza iraniana sulla politica interna irachena[10]. Di fronte alla necessità di estendere la cooperazione economica bilaterale tra i due paesi, che quest’anno ha registrato una contrazione di circa quattro miliardi di dollari rispetto allo scorso anno a causa delle misure di contenimento della pandemia, a settembre l’Iran ha annunciato importanti iniziative con la regione autonoma del Kurdistan iracheno, tra cui l'apertura di due importanti zone di libero scambio lungo la frontiera con l’Iran[11]. Nonostante i nuovi progetti adottati per migliorare la produzione interna e raggiungere un’autosufficienza energetica, quindi, è alquanto improbabile che si realizzi nel breve termine il calo dei rapporti economicamente imprescindibili tra Baghdad e Teheran voluto da Washington. È invece assai più probabile che gli Stati Uniti nell’immediato futuro debbano prorogare l’esenzione delle sanzioni riconosciute all’Iraq verso l’import iraniano, il cui rinnovamento è previsto per settembre.

Nel mentre, l’Iraq sta ampliando i legami economici nazionali con i principali partner arabi nella regione. Durante la visita a Baghdad del principe saudita Faisal bin Farhan, il primo ministro iracheno ha posto le basi per un progetto che contempli il collegamento della rete elettrica saudita con quella irachena. I due paesi si sono anche impegnati a coordinare gli sforzi per far fronte alle sfide securitarie condivise, quali la lotta al terrorismo, il contrasto dei traffici illeciti e la garanzia di sicurezza lungo i confini comuni[12]. Allo stesso modo, il 25 agosto il premier iracheno ha partecipato a un summit trilaterale tenutosi ad Amman con il re Abdullah II di Giordania e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. In una dichiarazione congiunta, i tre leader hanno sottolineato la necessità di declinare i forti legami strategici che intercorrono tra i loro paesi in attiva cooperazione, con particolare riguardo a settori vitali come l'interconnessione energetica, la cooperazione economica, gli sforzi congiunti nel campo della sicurezza e la definizione di una zona economica comune[13].

Infine, l’Iraq ha avviato importanti dialoghi con alcuni attori di rilievo dell’Unione europea. Il 2 settembre il presidente francese Emmanuel Macron ha visitato per la prima volta l’Iraq. Durante il suo incontro con il primo ministro iracheno, il capo dell’Eliseo ha ribadito l'interesse francese di garantire la sovranità dell'Iraq, e ha proposto lo sviluppo di un progetto di cooperazione in ambito energetico che contempli l’impiego dell’energia nucleare (sotto previo monitoraggio dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica). Due settimane dopo, durante l’incontro tra il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas e il suo omologo iracheno, Fuad Hussein, Maas ha confermato l’impegno di Berlino a continuare la propria missione di addestramento e di affiancamento delle truppe irachene in opposizione allo Stato islamico[14]. Allo stesso tempo e in previsione dell’acquisizione del comando della missione di addestramento della Nato in Iraq, il ministero degli Affari esteri della Danimarca ha annunciato l’apertura di un'ambasciata danese nella capitale irachena Baghdad, prevista per dicembre 2020[15].

 

[1] World Health Organization, “Iraq situation”, dati aggiornati al 15 settembre 2020.

[2] International Monetary Fund, “Real Gdp growth- Iraq”.

[3] World Bank, “Republic of Iraq”, aprile 2020.

[4] “Iraq: Briefing by SRSG Jeanine Hennis-Plasschaert at UN Security Council”, 26 agosto 2020.

[5] L. Bandiera et al., Jobs in Iraq: A Primer on Job Creation in the Short-Term, World Bank Working Paper n. 22, 2019.

[6] R. Mansour, “In life and death, Iraq’s Hisham al-Hashimi”, Chatham House, giugno-luglio 2020.

[7] “Iraq’s new prime minister is making a credible case for reform”, The Washington Post, 21 agosto 2020.

[8] “U.S. to Reduce Troop Levels in Iraq to 3,000”, The New York Times, 9 settembre 2020.

[9] “Secretary Brouillette Participates in Official Visit for Iraqi Delegation”, U.S. Department of Energy, 19 agosto 2020.

[10] “Imam Khamenei met with Iraqi Prime Minister”, Khamenei.ir, 21 luglio 2020.

[11] F. Hawramy, “Iran is ready to expand trade with Kurdistan Region: Consul-General”, Rudaw, 9 agosto 2020.

[12] “Saudi foreign minister discusses ‘growing relations’ with Iraq PM”, Arab News, 27 agosto 2020.

[13] M. Saied, “Egypt sends signal to Turkey by deepening ties with Jordan, Iraq”, Al-Monitor, 5 settembre 2020.

[14] L. Ghafuri, “Iraq still needs US-led coalition support to fight ISIS: foreign minister”, Rudaw, 14 settembre 2020.

[15] “Denmark will open embassy to Iraq in Baghdad this year”, Al-Monitor, 10 settembre 2020.

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