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Commentary

Isis: fine del proto–stato e ritorno alle origini

Ludovico Carlino
24 Agosto 2016

Palmira, Tal Abyad e Manbij in Siria. Ramadi, Falluja e Tikrit in Iraq. Harawa, Nawfaliya e Sirte in Libia. Sono alcune delle principali città sottratte al controllo dello Stato Islamico (IS) nel corso dell’ultimo anno, e solo una parte delle 59 aree nevralgiche dalle quali il gruppo è stato espulso nello stesso arco di tempo in Siria, Iraq e Libia, i tre paesi dove lo Stato islamico ha materializzato negli ultimi due anni la sua utopia di stato califfale. Dal gennaio del 2015 al luglio 2016, l’IS ha perso all’incirca il 55% del territorio che controllava in Siria e Iraq, ed in soli due mesi, dal maggio 2016 all’agosto 2016, l’85% dei suoi territori libici. Una battuta d’arresto apparentemente rapida, come rapida e sorprendente era stata la sua avanzata culminata nel giugno 2014 con la presa di Mosul e la proclamazione del califfato. Un declino che, carte alla mano, è stato tuttavia graduale e costante, in quanto dopo il picco del giugno 2014 l'espansione territoriale del califfato si è fermata, nonostante l’emergere di nuove entità regionali (le cosiddette wilayat, o province, del califfato), in Nord Africa, Penisola araba, Africa occidentale e Sud-Est asiatico che hanno contribuito a proiettare l’immagine di un gruppo in grado di estendere la propria influenza su gran parte del mondo arabo-Islamico a discapito di altre formazioni jihadiste, prime tra tutte al-Qaida.

Le attuali débâcle dello Stato Islamico non ne preannunciano tuttavia l’imminente sconfitta o l’incombente scomparsa del califfato da Siria e Iraq, ma l’avvio di una trasformazione del gruppo, o per meglio dire un suo ritorno alle origini, che per larghi tratti è già in essere. Sotto la pressione dei raid della coalizione a guida Usa e la spinta costante di milizie curde, arabe e siriache, il califfato in Siria e Iraq è difatti destinato a frammentarsi quanto prima, con sacche di territorio probabilmente ancora governate dall’IS ma geograficamente non contigue. Questo nuovo assetto renderà complessa la continuità del progetto statuale dello Stato Islamico, il cui ridimensionamento sarà irrimediabilmente accelerato una volta che il gruppo perderà il controllo di quei 70 km della frontiera turco-siriana che al momento sono l’unico sbocco del califfato verso l’esterno e dal quale continuano a passare, se pur in misura minore rispetto allo scorso anno, combattenti e traffici illegali che garantiscono allo Stato Islamico nuove leve e ingenti proventi.

Del resto, la stessa narrativa del gruppo ha iniziato ad adeguarsi a questa nuova realtà nel corso degli ultimi mesi, passando dall’iniziale enfasi posta sul controllo territoriale, sul concetto di baqiya wa tatamaddad (cioè il califfato destinato a rimanere ed espandersi al di là di Siria e Iraq), o di khilafa ʿala minhaj al-nubuwwa (califfato secondo la metodologia del profeta Mohammed), a quello più soft di califfato come pura entità organizzativa, in grado di persistere come ideologia al di là della sua concreta territorialità. Concetti ribaditi con forza nell’ultimo messaggio diffuso in occasione del Ramadan da Mohammed al-Adnani, il portavoce dell’IS, il quale esortando i seguaci del gruppo a colpire gli “infedeli ovunque essi si trovino” ha in un certo modo preparato la propria audience alle prossime inevitabili sconfitte sul campo, proclamando in un modo piuttosto contraddittorio rispetto al recente passato come il gruppo non combatta il jihad “per difendere, liberare o conquistare territorio”, e profetizzando la capacità di quest’ultimo di sopperire anche all’eventuale perdita di Raqqa, Mosul o Sirte o all’uccisione dei suoi leader. Il chiaro riferimento utilizzato da al-Adnani per dar forza al messaggio è allo Stato Islamico d’Iraq, l’entità precedente l’IS che nel 2008 fu sull’orlo della quasi totale disintegrazione prima che il conflitto civile siriano, il ritiro delle forze Usa dall’Iraq e la crisi del governo di Baghdad ricreassero le opportunità propizie per il suo riemergere.

La catena di attentati perpetrati nel mese di Ramadan, con circa 393 attacchi diretti o ispirati dallo Stato Islamico dall’Iraq alla Turchia fino a Bangladesh e Arabia Saudita, rappresenta il primo chiaro indicatore di come il gruppo stia tornando alla sua originale caratterizzazione di movimento prettamente terrorista/insurrezionale, in grado questa volta di moltiplicare la portata dei propri attacchi grazie alla capacità intatta di far leva sulla miriade di sostenitori e affiliati che operano al di là dei sui territori chiave di Siria e Iraq. Il quadro attuale dell’area mediorientale e nordafricana, che continuerà a rimanere la priorità strategica del gruppo, mantiene tra l’altro dinamiche d’instabilità che l’IS è in grado di sfruttare a proprio vantaggio. In Libia, nonostante la perdita della sua roccaforte lungo il bacino della Sirte, lo Stato Islamico può ancora trarre beneficio dalla persistenza di quegli elementi che hanno permesso al gruppo di emergere in prima istanza. La profonda frattura del paese tra est e ovest, l’esistenza di irrisolti conflitti nel sud del paese e il continuo proliferare di milizie islamiste, sono tutti elementi che rischiano di permettere al gruppo di riorganizzarsi e riemergere in altre aree del paese dalle quali tentare di destabilizzare ogni possibile processo di transizione politica o pacificazione nazionale. In Siria e Iraq, la mancanza di valide e concrete alternative forze locali in grado di inserirsi nelle aree sottratte al controllo del gruppo, e la mancanza di una tangibile agenda politica post-conflitto da parte delle potenze occidentali, renderà complessa la stabilizzazione di quei territori lasciandoli vulnerabili ai tentativi di ritorno dello Stato Islamico.

Infine, il conflitto settario che vede protagonisti Iran e Arabia Saudita rischia di esacerbare tensioni religiose già profonde e di cui la narrativa dello Stato Islamico continua a nutrirsi, oltre ad aggravare conflitti, quale quello nello Yemen, sulle cui basi l’IS tenterà di cementificare la propria presenza. Questo quadro non lascia spazio ad un eventuale dislocamento del califfato in una nuova area della regione mediorientale, ma l’ideologia di quest’ultimo e le insurrezioni combattute nel suo nome sono destinate con ogni probabilità a rimanere tra gli elementi di continuità della regione per i prossimi anni a venire.

 

 

Ludovico Carlino, Middle East and North Africa Senior Analyst presso IHS Jane's -Londra


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Ludovico Carlino
IHS Jane's -Londra

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