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CoVid-19
L'Italia digitale perde ai Mondiali ONU
Enzo Maria Le Fevre Cervini
17 luglio 2020

Quando l’Italia non vinse le qualificazioni per i Mondiali del 2018 l’intera nazione venne coinvolta da un’ondata di delusione incredibile. Troppo a lungo ci si era aggrappati ai ricordi di una quasi imbattibile nazionale di calcio da non rendersi conto di quello che gradualmente era avvenuto nella dissoluzione di una squadra in grado di reggere il confronto a livello mondiale. Bene, nel digitale sta avvenendo lo stesso.

 

Il Rapporto delle Nazioni Unite e l'Italia

Il 10 luglio scorso è stata presentata l’ultima edizione dell’E-Government Survey delle Nazioni Unite, il più importante studio comparativo sulla digitalizzazione dei servizi pubblici dei 193 paesi che fanno parte dell’organizzazione internazionale. Diversamente dal DESI, l’E-Government Survey, non si focalizza solo sugli Stati che fanno parte del Mercato Unico Europeo ma realizza uno studio che cerca di far capire qual è lo stato di salute dei servizi digitali pubblici di ogni stato Stato al mondo. L’Italia dall’ultimo rapporto del 2018 perde 13 posizioni passando da 24sima a 37sima nel sistema di valutazione basato sull’E-Government Development Index (EGDI): si tratta di un indice composito relativo, che misura il grado di sviluppo digitale di uno Stato rispetto agli altri Paesi del campione utilizzato – in questo caso i 193 membri delle Nazioni Unite. 

 

In un momento nel quale i servizi digitali pubblici si sono dimostrati essenziali per poter contrastare le grandi difficoltà legate alla pandemia questo rapporto ci spiega dunque in maniera dettagliata perché stiamo diventando una nazione sempre meno competitiva a livello globale. Non sono gli Europei, sono i Mondiali, ed è lì che si giocano le partite decisive. Competere a 27, dove comunque non ne usciamo bene, non è competere con tutto il pianeta. E il mondo in due anni ha fatto balzi in avanti importantissimi, riducendo così la nostra performance in ordine assoluto. 

 

Questo rapporto non è tuttavia solo una classifica, e non si dovrebbe prenderla come tale; si tratta piuttosto di una fotografia dello stato dell’arte dei servizi digitali pubblici che sono fattore essenziale di una macchina economica ben più ampia. Come ricorda Vincenzo Aquaro, italiano, a capo della sezione su governo digitale della Divisione delle istituzioni pubbliche e governo digitale dell’UNDESA, il Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite, “l’Italia fa parte del gruppo dei 57 Stati digitalmente più avanzati nel mondo. Se prendiamo i paesi dell’Unione Europea come riferimento, appartengono alla stessa classe di rating dell’Italia (e quindi sono paragonabili per grado di sviluppo digitale) Lussemburgo, Portogallo, Belgio, Repubblica Ceca e Grecia.  Meglio dell’Italia si posizionano Austria, Spagna, Cipro, Francia, Lituania, Malta, Slovenia, Polonia, Germania e Irlanda. Top Leader (UE e anche su scala globale), con il rating più alto in assoluto sono: Danimarca, Estonia, Finlandia, Svezia e Olanda, insieme alle nazioni europee (non UE) Gran Bretagna, Islanda e Norvegia”. Insomma la Svezia ci ha battuto ancora come alle qualificazioni del 2017.

 

Gli indicatori di sviluppo dell'e-government

Sono tre gli indicatori che compongono l’EGDI: il grado di connettività e di infrastrutture TLC - per intenderci la banda larga (fissa e mobile) ma anche la penetrazione digitale -; l’indice dei servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni; e il grado di istruzione del capitale umano. Aquaro ha evidenziato che  in Italia si nota un una decelerazione, sia nella parte di connettività e di infrastrutture TLC (l’Italia è solo 22sima rispetto agli altri paesi UE, dopo Portogallo e prima della Slovenia),sia per capitale umano e livello di istruzione (è 20esima). Per quanto concerne poi la parte specifica di servizi digitali per le pubbliche amministrazioni, l’Italia è 14ema su 27 stati UE”. 

 

I numeri non ingannano e ci fanno percepire perché anche nelle previsioni di crescita dell’anno prossimo l’Italia non è tra quegli Stati che recupereranno il tempo perso. Si tratta di capire come la sfida verso una digitalizzazione completa del Paese sia un tassello essenziale per lo sviluppo economico del paese.

 

La centralità del digitale nella gestione della pandemia

Il rapporto 2020 esce nel pieno di una crisi mondiale sanitaria, economica e sociale legata alla pandemia da COVID-19 e durante la presentazione dello studio delle Nazioni Unite Vincenzo Aquaro evidenzia come “in tutti i Paesi del mondo, la la digitalizzazione dei governi ha avuto un ruolo determinante per il funzionamento delle attività produttive e per l’erogazione di servizi essenziali, oltre a essere strumento chiave di raccordo e di cooperazione internazionale tra Paesi e, a livello nazionale, una piattaforma di scambio tra i vari livelli di governo, tra il settore privato e la società civile”. 

 

Durante la pandemia le tecnologie digitali hanno consentito ai governi di prendere, in tempi rapidi, decisioni strategiche basate sull’analisi dei dati raccolti in tempo reale; hanno favorito il coordinamento tra le varie autorità nazionali, regionali e locali; e hanno garantito la distribuzione omogenea di beni e servizi di prima necessità per tutti coloro che ne hanno avuto maggiormente bisogno. Abbiamo vissuto anni di trasformazione digitale in pochissimi mesi.

 

L’E-Government Survey ha evidenziato come proprio gli Stati membri più avanzati nello sviluppo digitale sono stati quelli più virtuosi nella risposta digitale al COVID-19, in termini di erogazione dei servizi ai cittadini e di fornitura di beni essenziali, sia durante lo stato di emergenza, sia nella successiva fase di recovery e di sviluppo. Ma tutto questo non è il risultato di urgenti ed estemporanee misure di digitalizzazione messe in atto da questi paesi virtuosi, bensì il frutto di anni di investimenti governativi sul capitale umano, sulle infrastrutture, sull’innovazione e sulle nuove tecnologie, sulle buone prassi e più in generale sulla governance digitale. E uno dei punti di forza della governance digitale è stata proprio l’agilità, ovvero la capacità di rispondere rapidamente e in modo flessibile a emergenze non previste. Una capacità legata quindi a processi digitali già esistenti prima del COVID-19, merito di governi con una leadership lungimirante che ha pianificato e implementato per tempo il processo di trasformazione digitale del proprio Paese.

 

Gli investimenti necessari

È giunto il momento di rendersi conto che l’Italia è in coda ai Paesi più sviluppati in termini di digitalizzazione ma vicina alla “zona Cesarini” di una competizione globale che può determinare la nostra progressiva esclusione dai mercati mondiali. Il Paese ha simbolicamente mancato la selezione ai mondiali della digitalizzazione e ora deve ripartire iniziando dal capire che è essenziale comporre una squadra investendo molto sul capitale umano. Le squadre migliori sono quelle che coltivano la giovanile negli anni, la fanno crescere investendo molto su allenamento e cercando di imparare dai migliori per fare meglio. L’investimento nella formazione, nella ricerca, nelle lauree STEM è essenziale se vogliamo che il Paese progredisca a livello di digitalizzazione e che questa penetri nel tessuto economico e sociale dell’Italia. L’approccio della classe politica e dirigenziale verso l’integrazione totale dei servizi digitali deve essere univoco. I programmi di governo devono avere come linea guida quella dell’innovazione e dell’interoperabilità dei servizi. 

 

Il principio "Once Only" che prevede che i cittadini e le imprese forniscano dati diversi solo una volta in contatto con le pubbliche amministrazioni, e che gli enti della Pubblica Amministrazione intraprendono azioni per condividere e riutilizzare internamente tali dati, anche oltre confine, sempre nel rispetto delle normative sulla protezione dei dati e di altri vincoli, deve essere una regola certa. La banda ultralarga e la connettività devono essere presenti nell’intero territorio nazionale. L’Italia sconta una geografia complessa ma non per questo può essere scusata per le inefficienze di gestione e i ritardi nella realizzazione di infrastrutture essenziali che il paese necessita per aumentare la sua competitività nel quadro europeo e mondiale. Ma anche le imprese devono imparare a innovare, esigendo servizi digitali e , nel contemèpo, investendo in proprio nella digitalizzazione dei propri meccanismi produttivi. 

 

Infine lo studio dell’ONU evidenzia anche come l’Italia sia calata in E-participation, passando dal 15simo al 41simo posto. La comunicazione istituzionale deve diventare più fruibile e più rilevante nei processi decisionali per permettere alla democrazia di maturare ai tempi della rivoluzione industriale 4.0. Lo sconvolgimento portato dal 4.0 riguarda tutta la società, i costumi, le abitudini e il modo in cui dobbiamo concepire il Sistema Paese. Senza questa consapevolezza l’Italia non parteciperà più ai mondiali nel 2022, quando uscirà il prossimo rapporto ONU e, speriamo, la pandemia sarà passata. 

 

 Le opinioni espresse dall'autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle della Commissione Europea

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AUTORI

Enzo Maria Le Fevre Cervini
Commissione Europea

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