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Commentary

Lontano dai riflettori, infuria la guerra per il controllo del Congo orientale

Alessandro Bozzini
23 novembre 2012

Lontano da scenari ben più strategici e mediatici, è in atto un’altra guerra che, in questi giorni, sta mietendo vittime, creando rifugiati e rimettendo in discussione confini tra stati: la guerra per il controllo del Congo orientale, cuore ricchissimo e dannato dell’Africa centrale. Martedì 20 novembre il gruppo ribelle M23 ha preso il controllo di Goma, capitale del Nord Kivu, regione all’estremità est della Repubblica Democratica del Congo. Alcuni analisti vedono questa mossa come un decisivo passo del Rwanda verso il controllo di quest’area e verso un possibile riassetto degli equilibri regionali.

La RDC è un paese poverissimo, nonostante le ingenti risorse naturali di cui dispone, ed è afflitto da anni di conflitti, malgoverno, instabilità e corruzione. Da anni è anche il teatro di uno scontro politico, economico e militare tra gli stati della regione, gruppi armati locali, potere centrale di Kinshasa, nonché aziende e stati occidentali. Oggetto dello scontro è principalmente la regione orientale, quella che costeggia il Lago Kivu, al confine con il Rwanda e l’Uganda, particolarmente ricca di risorse e abitata da un complesso intreccio di popoli con etnie e storie diverse. Tra questi, vi sono tutsi che ci vivono da secoli, altri che abbandonarono il Rwanda negli anni ’60-’80 per scappare dalle discriminazioni del governo hutu di allora, hutu congolesi e hutu rwandesi che si rifugiarono in Congo dopo che la vittoria del Fronte Patriottico Rwandese, guidato da Paul Kagame, oggi presidente rwandese, mise fine al genocidio del 1994. Tra questi hutu rifugiatisi in RDC nel 1994 vi sono anche alcuni genocidari e un gruppo armato, le Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR), ostili al potere di Kigali. La missione Onu di peacekeeping più grande del mondo, MONUSCO, dovrebbe sostenere l’esercito congolese nel mantenimento della pace e nella difesa dei civili, compito arduo visto il mandato limitato della missione e la perenne fragilità e indisciplina delle forze armate congolesi.

Il gruppo che da mesi combatte per il controllo delle colline del Nord Kivu, M23, è guidato da tutsi ed è considerato il successore del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) di Laurent Nkunda, generale disertore, congolese di etnia tutsi, che nel 2008 arrivò vicino a prendere Goma. Dietro a M23 infatti sembra esserci Bosco Ntaganda, ricercato dal Tribunale Penale Internazionale con l’accusa di arruolamento di bambini soldato, ex numero 2 di Nkunda. Il Rwanda era accusato di sostenere il CNDP, cosa che Kigali negò strenuamente, salvo poi arrestare Nkunda, che ancora oggi, a distanza di quattro anni, è rinchiuso in qualche luogo segreto del Rwanda senza aver mai subito un processo. Come il CNDP, anche M23 è considerato molto vicino al governo rwandese: il Gruppo di Esperti delle Nazioni Unite, una squadra di ricercatori indipendenti che monitora il rispetto dell’embargo sulla vendita di armi decretato anni fa dal Comitato Onu per le sanzioni, ha da tempo messo in guardia sul legame tra Kigali e M23; di recente gli esperti hanno presentato un rapporto in cui accusano il Rwanda di fornire armi e uomini al gruppo ribelle, nonché di guidarli con ordini provenienti direttamente dal ministro della Difesa rwandese, il generale James Kabarebe. L’ong internazionale Human Rights Watch ha documentato diversi movimenti di soldati rwandesi in Congo a supporto del M23 e a Kigali molti osservatori internazionali ammettono che ci sia qualche tipo di supporto del governo rwandese ai ribelli. Il rapporto del Gruppo di Esperti Onu accusa anche l’Uganda di fornire sostegno politico al M23.

Rwanda e Uganda hanno fermamente negato qualsiasi accusa di appoggio ai ribelli e anzi il giorno dopo la presa di Goma i rispettivi presidenti Paul Kagame e Yoweri Museveni hanno chiesto a M23, in un comunicato congiunto col presidente congolese Joseph Kabila, di ritirarsi da Goma. L’interesse del Rwanda per la regione del Kivu è tuttavia chiaro: da un lato, a Kigali sostengono che la regione apparteneva al Rwanda prima che le potenze coloniali tracciassero nuovi confini artificiali; dall’altro lato, il governo rwandese dice di voler difendere le minoranze di lingua rwandese al di là del confine e combattere le milizie hutu genocidarie; infine, alcuni elementi dell’élite rwandese sono coinvolti nel commercio illegale di risorse dal Congo orientale (come testimonia tra gli altri l’ong Enough). Inoltre è già successo che il Rwanda invadesse la RDC, come nelle guerre del 1996 e del 1998. E gli armamenti sofisticati di cui M23 dispone, di livello ben superiore a quelli di altri gruppi ribelli come ha notato il capo delle operazioni di peacekeeping dell’Onu Hervé Ladsous, sembrano confermare l’ipotesi di un sostegno esterno.

La comunità internazionale, presa tra crisi considerate più strategiche e bloccata dalle proprie contraddizioni, stenta ad agire. Il Rwanda è un paese apprezzato dalla maggior parte dei donatori internazionali, compresi Stati Uniti e molti paesi europei, per la crescita economica degli ultimi anni, la pace e la stabilità interna, nonché per il miglioramento di diversi indicatori socio-economici. L’aiuto allo sviluppo costituisce circa la metà del budget dello stato rwandese e i donatori, sebbene qualcuno di essi abbia sospeso parte dei propri finanziamenti per protesta contro il presunto sostegno rwandese al M23, hanno difficoltà ad abbandonare un governo che, nonostante l’autoritarismo e il poco rispetto per i diritti politici e le libertà individuali, considerano responsabile di uno sviluppo economico di successo nonché un elemento di stabilità in una regione turbolenta.

Non è ancora chiaro quale sia l’obiettivo finale del M23 e dei suoi presunti sponsor rwandesi. Un’ipotesi è che i ribelli vogliano fare pressione sul governo centrale congolese, accusato di non aver rispettato alcuni accordi presi con il CNDP, gruppo considerato predecessore del M23. La presa di Goma, tuttavia, sembra segnare un’ulteriore escalation nel conflitto e sembra andare al di là della pressione su Kinshasa: un’altra ipotesi plausibile è che il gruppo ribelle voglia un cambio di regime in RDC, cioè il rovesciamento del presidente Joseph Kabila. La terza ipotesi, la più radicale, è che l’obiettivo finale del M23 sia la creazione di uno stato indipendente nella regione del Kivu: un nuovo paese, magari guidato da congolesi di etnia tutsi, ricchissimo di materie prime e fedele alleato del Rwanda. Secondo le ultime dichiarazioni del colonnello Vianney Kazarama, portavoce di M23, i ribelli «vogliono andare fino a Kinshasa».

Quale che sia il fine ultimo dei ribelli, la situazione è drammatica e il prezzo più alto viene pagato dalla popolazione civile di Goma e dintorni, zona già di per sé povera, densamente popolata e sfinita da anni di conflitti; Medici Senza Frontiere parla di 100mila nuovi rifugiati. L’unica opzione immediata è imporre una tregua a M23 in attesa di riprendere un difficilissimo negoziato politico tra RDC, Rwanda e Uganda. Il solo che può fermare M23 sembra essere il governo rwandese, e infatti il segretario dell’Onu Ban Ki Moon ha già chiesto a Paul Kagame di «usare la sua influenza» per fermare i ribelli. La comunità internazionale accetterà di trattare come salvatore lo stesso uomo che in molti considerano la mente dietro il gruppo ribelle e la presa di Goma?

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Congo Rwanda M23 sicurezza Africa Nord Kivu Uganda Kagame Musuweni Joseph Kabila
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Alessandro Bozzini

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