In uno scenario internazionale caratterizzato dal moltiplicarsi di crisi e di situazioni di instabilità, il fenomeno del terrorismo di matrice islamica continua a rappresentare una delle minacce principali per la pace e la sicurezza. E questo rende sempre più complesso il lavoro delle forze armate e dei servizi di intelligence, in un periodo storico in cui il Mediterraneo allargato resta un’area estremamente calda. In quella che può essere definita la quarta fase della lotta al terrorismo rientrano fenomeni di più recente formazione, che hanno un carattere fluido ed imprevedibile. Su questi è estremamente difficile prendere delle contromisure in quanto potenziali terroristi diventano tali solo nel momento in cui passano all’azione.
Oggi il terrorismo post-ISIS ha assunto diverse forme: è sicuramente meno facile da monitorare e da contrastare. Privato della sua natura territoriale, il cosiddetto Stato islamico non è stato scalfito nella sua ideologia, né tantomeno nella sua capacità di penetrazione sociale e di proselitismo. La decapitazione delle organizzazioni terroristiche, spesso esaltata come principale strategia di contrasto, nella maggior parte dei casi non ha prodotto i risultati sperati. ISIS e Al Qaeda sono noti per essere alcuni dei gruppi terroristici che usano i social media e le piattaforme online nella maniera più estesa per promuovere i propri obiettivi e diffondere il proprio messaggio.
In questo contesto, il contrasto alla radicalizzazione online è senz’altro una delle sfide maggiori che l’Italia e la comunità internazionale si trovano a dover affrontare. Anche il nesso tra criminalità organizzata e gruppi terroristici radicati in contesti locali è sempre più evidente, in particolare nella fascia Sahelo-Sahariana (Mauritania, Mali, Niger, Chad, Burkina Faso). La collaborazione tra mafie locali e gruppi terroristici, aventi ad oggetto una serie di attività illecite (soprattutto sequestri di persona, traffico di droga, armi ed esseri umani) nonché l’inclusione di giovani autoctoni all’interno di questo ciclo economico, sono alla base del successo di molte organizzazioni terroristiche attive nella regione. A tali organizzazioni, individui spesso emarginati e in condizioni di indigenza socio-economica offrono il proprio consenso e affidano la propria sopravvivenza.
È lecito dunque chiedersi se quanto fatto finora in termini di supporto sociale, politico ed economico sia sufficiente per affrontare le ragioni principali del malcontento che dà il via a processi di radicalizzazione e di adesione a gruppi terroristici.
Che ruolo ha oggi l’ideologia nei processi di affiliazione a tali gruppi? Cosa si sta muovendo, sul piano internazionale, per migliorare le strategie di contrasto a questa minaccia? Che ruolo hanno le forze armate, di polizia e di intelligence italiane nella lotta al fenomeno terroristico jihadista?
I contributi apportati dall’insieme dei relatori che hanno preso parte alla giornata di studio per commemorare i trent’anni dalla fondazione del Raggruppamento Operativo Speciale (ROS) dei Carabinieri assumono un grande rilievo per le molteplici sfide che attendono l’Italia e la comunità internazionale. Il ROS continua a svolgere una funzione cruciale nell’ambito della complessa attività di investigazione e prevenzione del terrorismo di ispirazione religiosa.
Negli Anni di piombo, quando le Brigate Rosse rappresentavano una minaccia alla sicurezza dello stato italiano, l’approccio del ROS si era incentrato, con successo, sulla necessità di conoscere l’avversario, di immedesimarsi nella mente e nella psicologia dei brigatisti per poter comprendere le loro mosse. Sebbene il fenomeno del terrorismo internazionale di matrice jihadista abbia assunto caratteri diversi dal brigatismo, e si sia presto tradotto in una guerra di religione a senso unico indipendente dalle contrapposizioni della Guerra fredda, anche in questo caso per il ROS è stato fondamentale capire l’avversario, entrare nella sua mentalità e applicare strategie e metodologie di contrasto che non differivano molto da quelle già applicate con successo nel caso della lotta all’eversione interna.
L’attenzione del ROS per il terrorismo di matrice confessionale è stata alta e costante sin dagli anni Novanta, contestualmente alla sua formazione, con lo smantellamento di cellule terroristiche algerine e tunisine associate ad Al-Qaeda, sia in territorio italiano che all’estero. Risale a questo periodo, infatti, una prolungata azione di contrasto del terrorismo islamista, che si è conclusa con l’arresto a Milano di un gruppo di integralisti tunisini e con lo smantellamento di due cellule terroristiche collegate ad un’organizzazione salafita nota dapprima come GIA (Gruppo Islamico Armato) e poi come GSPC (Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento). Di lì a poco, nel Maghreb, l’affiliazione tra il GSPC e Al-Qaeda darà vita a un’organizzazione con il nome di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI).
Nel corso del tempo, il reparto antiterrorismo del ROS ha compiuto un’attività tesa allo smembramento di formazioni nate spontaneamente e collegate a centrali operanti all’estero, ad esempio in Inghilterra, Spagna, Belgio, Francia, ma anche nel Maghreb, in Pakistan e in Afghanistan. La fase della lotta al terrorismo internazionale successiva all’11 Settembre ha visto un rafforzamento delle indagini del ROS con l’obiettivo di disarticolare organizzazioni violente di ispirazione islamica che hanno assunto progressivamente sia una dimensione locale, che una prospettiva globale, in quanto hanno cercato di instaurare legami sempre più solidi con i vertici di Al Qaeda e di ISIS.
Il ROS ha inoltre lavorato all’individuazione dei processi di radicalizzazione online. Negli ultimi anni sono stati arrestati numerosi individui appartenenti a cellule islamiste impegnate nell’addestramento di aspiranti foreign fighters attraverso i social media.
All’indomani dell’instaurazione del nuovo governo talebano in Afghanistan, il rischio che si creino nuovi safe heavens per combattenti terroristi stranieri continua ad aumentare. In questo senso, nel quadro della lotta al terrorismo internazionale, l’Unione Europea dovrà giocare un ruolo fondamentale attraverso la sua agenzia EUROPOL. Nell’ambito del nuovo Regolamento UE sulla prevenzione della diffusione di contenuti terroristici online (TCO Regulation), EUROPOL sarà impegnato a realizzare una piattaforma che faciliterà il processo di contrasto alla diffusione di contenuti terroristici, assicurando allo stesso tempo che gli ordini di rimozione emanati dagli stati membri dell’UE non influiscano sullo sviluppo delle indagini.
L’impegno italiano ed europeo nel contrasto al terrorismo internazionale di matrice confessionale deve proseguire sulla linea del supporto alla stabilità dei paesi dell’area Mediterranea, i quali rimangono l’obiettivo primario degli attacchi jihadisti. Il lavoro integrato delle forze armate, delle forze di polizia e dei servizi di informazione italiani ha svolto un ruolo fondamentale quale fattore di prevenzione avanzata nella lotta al terrorismo jihadista in Italia ma anche all’estero. I semi gettati nel tempo dalle forze armate in materia di istruzione e di emancipazione femminile sono destinati a produrre frutti che contribuiranno ad un miglioramento generale delle condizioni di stabilità e di prosperità nei paesi della sponda sud del Mediterraneo, così come nel Levante, e fino in Afghanistan.
Considerata la complessità e la natura transnazionale del terrorismo jihadista, gli interventi tesi alla prevenzione e al contenimento della radicalizzazione non possono prescindere da un approccio collettivo e interdisciplinare al fenomeno che ne comprenda a fondo le ragioni, a complemento di un’attività di supporto e di cooperazione costante in campo socio-economico da parte dell’intera comunità internazionale.