Lotta all'inflazione: rischi da geometria variabile | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
DATAGLOBE

Lotta all'inflazione: rischi da geometria variabile

Lorenzo Borga
23 Dicembre 2021

La lotta all’inflazione si combatte a tre velocità. Almeno. Le banche centrali hanno smesso di definire “transitoria” l’impennata di rialzo dei prezzi seguita alla fine dei lockdown del 2020 e hanno iniziato a prendere provvedimenti per calmierarla. La Banca centrale americana (FED) ha raddoppiato il ritmo di riduzione degli acquisti di titoli – il cosiddetto tapering – e i membri del suo board si attendono un aumento dei tassi di interesse già da metà dell’anno prossimo. La Banca centrale europea (BCE) è più cauta: anche in Eurozona si ridurranno gli aiuti del quantitative easing, visto che il programma pandemico (Pepp) dopo aver immesso 1.850 miliardi di euro nell’economia terminerà a marzo 2022 e sarà solo in parte compensato da un rafforzamento temporaneo del quantitative easing tradizionale. Mentre di rialzare i tassi non se ne parla almeno fino al 2023. E poi c’è la Cina, che viaggia su un altro binario la cui destinazione potrebbe essere la stagflazione (alta inflazione e crescita nulla): la sua banca centrale ha tagliato marginalmente il tasso primario, per far fronte al rallentamento economico dell’industria e alle incertezze finanziarie del settore immobiliare.

 

Strategie diverse

La diversa velocità di crociera è dovuta alla differente condizione dei prezzi. Concentriamoci su FED e BCE, che per una serie di ragioni sono più facilmente comparabili: sia negli Stati Uniti che in Eurozona il rialzo dei prezzi è ben maggiore rispetto alla soglia target del 2% annuo. In USA l’indice Personal Consumption Expenditures (PCE) ha segnato a ottobre un incremento del 5%, mentre nella zona Euro il valore osservato dalla BCE (HICP) a novembre è salito al 4,9% per cento. In realtà non è una novità: l’inflazione è più elevata del 2% negli Stati Uniti da marzo e in Eurozona da luglio. Perché dunque le banche centrali guidate da Jerome Powell e Christine Lagarde hanno atteso la fine dell’anno per prendere delle precauzioni?

La ragione sta nelle politiche target delle banche centrali, che sono state recentemente aggiornate. La FED infatti l’anno scorso ha adottato il principio di “average inflation targeting”, per cui è possibile compensare periodi di bassa inflazione – come la crisi Covid – con altri di crescita dei prezzi superiore al 2%, tenendo conto del livello di inflazione su un arco temporale più lungo. La BCE d’altro canto durante l’estate ha ricalibrato anch’essa la propria politica, muovendosi sul solco della FED: l’obiettivo di inflazione è passato da “poco sotto il 2%” a un target simmetrico che porta a contrastare parimenti livelli sopra e sotto il 2%, tollerando anche livelli superiori nel breve periodo.

Ecco dunque perché, dopo un periodo di rialzi dei prezzi molto modesti (non solo per la crisi Covid, già prima della pandemia gli economisti si interrogavano sulle ragioni della “scomparsa” dell’inflazione), le banche centrali hanno sostenuto per mesi che l’inflazione sarebbe stata temporanea, e ora si stanno muovendo a passi diversi. Come mostra il grafico, elaborato dall’economista Tommaso Monacelli per Lavoce.info, entrambi i blocchi sono ancora sotto il livello ipotetico dei prezzi che vedremmo se fossero cresciuti ogni anno del 2%. Come quando in pieno inverno dobbiamo sbrinare l’automobile: per farlo impostiamo il riscaldamento su una temperatura più alta di quella che potremmo sopportare normalmente, ma intanto il parabrezza non si è ancora del tutto sbrinato. Gli Stati Uniti – dove l’inflazione è più alta – sono ormai prossimi a superare la soglia obiettivo, mentre l’Eurozona è ancora distante: ecco spiegata la cautela della BCE e la posizione da falco di Jerome Powell.

Ma il mancato coordinamento può avere delle conseguenze indesiderate. Se la FED alzerà i tassi di interesse un anno prima di quanto farà la BCE, è probabile che si innesti un flusso di capitali verso gli Stati Uniti, attratti dai maggiori rendimenti che potranno ottenere. Mettendo così sotto pressione l’euro, che si svaluterebbe sul dollaro, come sta già accadendo da mesi. D’altra parte la BCE deve far fronte a 19 tassi di inflazione - quanti sono i Paesi dell’Eurozona - e a condizioni finanziarie che potrebbero aggravarsi per i grandi debitori nel caso gli aiuti terminassero e fossero alzati i tassi in modo repentino. L’Italia, che nel 2021 ha venduto il 95% del deficit pubblico proprio alla BCE, è avvisata.

Contenuti correlati: 
Global Watch: Speciale Geoeconomia n.84

Ti potrebbero interessare anche:

Il futuro del denaro
Lorenzo Borga
Sky e ISPI Contributor
Crisi in Sri Lanka: l'effetto domino
Europa: decrescita infelice?
Global Watch: Speciale Geoeconomia n.103
Criptovalute: (un)stablecoin
Buenos Aires in cerca di nuove opportunità
Antonella Mori
ISPI

Tags

economia Geoeconomia
Versione stampabile

AUTORI

Lorenzo Borga
Sky Tg24

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157