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DOGANE

Lotta senza frontiere per il clima

Fulvio Liberatore
10 Dicembre 2021

Se per ognuno di noi può essere assolutamente evidente quanto il  Climate Action tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile  (SDGs) sia diventato urgente, al punto da non poter neppur esser lontanamente messo in discussione, tutti si chiedono quali aspetti delle diverse attività che svolgiamo quotidianamente, nelle dogane e nel commercio internazionale, possano contribuire, al rallentamento della catastrofica marcia: quella che dovrebbe essere ormai trattata come emergenza climatica (come ammesso dalle dichiarazioni di più di 1.900 amministrazioni locali in 34 Paesi). E non ci si può adagiare sulle comunicazioni, peraltro possenti e impegnative, di COP26, della UE (con il Green Deal, il pacchetto Fit for 55, e con tutte le numerose azioni avviate in tale quadro, ivi compresa la Legge europea sul Clima ), di T20, B20 e G20: salvo che non tentiamo di individuare nella legge sul clima e in tali dichiarazioni e comunicazioni sia orientamenti all’azione immediata, pur se collocata in un futuro prossimo, sia indicazioni interpretative concrete, sia infine ipotesi di sviluppo delle politiche commerciali capaci di incidere in modo non occasionale sul cambiamento climatico.

Pertanto, proviamo a individuare cosa la dogana, intesa come un vero e proprio ambiente nel quale si incrociano tutela di persone, economie e ambiente e commercio di beni e connessi servizi, può – e potrà - fare per contribuire alla costruzione di percorsi capaci di “trasformare l’Europa nel primo continente climaticamente neutro” e, ancor più, per passare, a livello globale, dall’ambizione all’azione, agendo insieme per il pianeta.

In realtà, una ricognizione puntuale della normativa e delle opportunità interconnesse che dia conto del rilievo dell’ambiente doganale nell’attuazione delle politiche e delle iniziative per far fronte al climate change esula dai limiti della presente riflessione, da intendersi come uno stimolo ad una più approfondita, analisi delle grandi potenzialità che la dogana potrebbe sviluppare in tale ambito.

 

Monitoraggio e repressione dei comportamenti dannosi

Azioni dirette dell’Unione europea, le misure di monitoraggio e repressive, volte a fronteggiare il cambiamento climatico per le quali l’ambiente doganale è chiamato a fare la sua parte sono molto focalizzate, specifiche e settoriali e spesso interconnesse. Tra queste, meritano menzione:

  • Il Regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006 - c.d. WSR - Waste Shipping Regulation, relativo alle spedizioni di rifiuti: come noto, la tematica dei rifiuti, dal puro ambito della protezione dell’ambiente, ha finito per investire anche la lotta al cambiamento climatico: ciò, sia in funzione dell’impiego energetico dei rifiuti sia, soprattutto, in ordine all’interconnessione tra la gestione dei rifiuti e lo sviluppo robusto dell’economia circolare, cui spetta un ruolo non secondario nell’ambito della mitigazione del climate change.  Il Regolamento che, dopo molte modifiche intervenute dalla sua adozione è oggi sottoposto, da parte degli organi unionali a profonda revisione, si appoggia sull’attività degli uffici doganali non solo per il monitoraggio e il controllo delle autorizzazioni e delle notifiche previste ma anche per l’intercettazione delle spedizioni illegali. Le nuove disposizioni prevedono, inoltre, l’inserimento dei dati relativi alle autorizzazioni fra i dati da trattare nell’ ambito dello Sportello Unico doganale dell’Unione. Naturalmente in questo caso, come in quello degli altri Regolamenti unionali qui ricordati, ogni Stato membro è chiamato a disciplinare nel dettaglio procedure, competenze e sanzioni.
  • Il Regolamento (CE) n. 1005/2009 sulle sostanze che riducono lo strato di ozono e il Regolamento (UE) 517/2014 (c.d. F-GAS Regulation) sui gas fluorurati a effetto serra, regolamenti che hanno contribuito in maniera molto rilevante a “dare più tempo” per rimediare agli effetti del cambiamento climatico, come riconosciuto ormai universalmente, prevedono un ruolo di controllo e monitoraggio da parte delle autorità doganali: anche in questo caso, a fronte dell’esigenza di contemperare alcune esigenze del commercio e della produzione di beni che a tali sostanze fanno ricorso e della tutela ambientale, sono state previste quote, licenze ed eccezioni. Ma è sempre alle dogane che spetta il compito di sorvegliare attentamente la circolazione transfrontaliera dei gas serra e dell’ozono.

 

Misure di diretto impatto sulla riduzione di CO2 a livello globale

La grande novità di cui si discute con riferimento al commercio internazionale e alle sue interconnessioni con il pacchetto Fit for 55 è rappresentata sicuramente dal Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) - ossia dalla previsione di complementare lo  Emissions Trading System (ETS), il sistema previsto dalla Direttiva (CE) 2003/87 in materia di scambio di quote di emissione di gas serra, con un sistema di pagamento per quote analoghe relativamente all’importazione di beni che potrebbero essere prodotti con rilevanti emissioni di gas serra. La proposta di Regolamento è stata, appunto, adottata dalla Commissione il 14 luglio 2021 nell’ambito del pacchetto Fit for 55.

Tuttavia, non minore attenzione merita la proposta, adottata il 17 novembre 2021 dalla Commissione COM (2021) 706 final per fermare la deforestazione e il degrado forestale: la proposta, molto ambiziosa, tende a superare sia il c.d. Timber Regulation - Regolamento che disciplina l’immissione sul mercato di legno e prodotti di legno (Reg. (CE) 995/2010) sia il Regolamento (CE) 2173/2005, che ha introdotto le licenze c.d. FLEGT (Forest Law Enforcement, Governance and Trade) per l’importazione di legname in UE.

I due Regolamenti (oltretutto, quello sul sistema di licenze è basato su un’adesione volontaria da parte dei Paesi produttori, che fino ad oggi ha visto l’adesione della sola Indonesia) soffrono del fatto di essere limitati all’intercettazione del mercato illegale del legno e non risolvono né affrontano direttamente il tema della deforestazione, intesa, più propriamente, come conversione a uso agricolo di foreste.

Una volta in vigore, il Regolamento sulla deforestazione attiverà un meccanismo di vero e proprio “outreach” verso gli operatori economici che, interessati a importare o esportare non solo legname e prodotti di legno ma anche bestiame, soia, olio di palma, cacao o caffè, dovranno adottare e porre in esercizio una procedura di due diligence. E alle dogane verrà affidato il compito non solo di intervenire qualora l’analisi dei rischi effettuata dalla competente autorità nazionale dovesse rilevare incongruenze ma anche di controllare la corretta dichiarazione delle merci che entrano o escono dal territorio dell’Unione e la presenza effettiva di una procedura di due diligence, che dovrà essere attestata nel corpo delle dichiarazioni doganali

 

Accordi sul commercio internazionale con riflessi diretti sul Climate Change

Al di là dei confini dell’Unione, anche in considerazione della rilevanza globale del fenomeno del cambiamento climatico, difficilmente imbrigliabile senza una cooperazione attiva del più ampio numero di Paesi, si pongono numerosi accordi intergovernativi (multilaterali, bilaterali o plurilaterali) che impattano su commercio e cambiamento climatico: sono però poche e talora insufficienti le previsioni che toccano in maniera sensibile gli scambi commerciali in sé, con rilevanza diretta sugli istituti doganali.

Sempre senza pretesa di essere esaustivi, si ricorda anzitutto l’EGA, l’Environmental Goods Agreement (EGA), accordo promosso dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e nelle cui negoziazioni sono ad oggi coinvolti 46 Paesi, il cui scopo è quello di eliminare ogni sorta di barriera tariffaria sui prodotti correlati con l’ambiente: macchine e soluzioni per la generazione di energie rinnovabili, per il miglioramento dell’efficienza energetica, per il trattamento dei rifiuti etc. I negoziati, in corso, dovrebbero consentire una collaborazione attiva dei produttori e dei traders, con il coinvolgimento diretto di procedure doganali e compiti specifici per le dogane.

Immancabile, poi, il riferimento alla tematica degli accordi di libero scambio: se è vero, come rileva l’OMC , che, pur essendo presenti impegni per l’ambiente e per la lotta al cambiamento climatico nel 97% degli accordi regionali notificati all’organizzazione medesima, è anche vero che si tratta di previsioni spesso molto generiche, sfocate, prive di effetti immediati sugli scambi e anche sugli investimenti: più assunzioni di impegni programmatici che norme imperative.

Eppure negli accordi, proprio nella prospettiva di questo commentary - che cerca di cogliere la rilevanza degli istituti doganali in tema di cambiamento climatico - è contenuta quasi sempre una clausola centrata sulla rilevanza dell’economica circolare: infatti mentre, come sappiamo, l’attenzione sul traffico dei rifiuti è alta, si conferisce l’origine preferenziale in quelli  di prodotto interamente ottenuto, ad ogni avanzo, cascame o prodotto usato che venga reinserito nei cicli produttivi, purché tale reinserimento avvenga nello stesso Paese nel quale si sono generati cascami e avanzi o è stato dismesso un prodotto usato. Si tratta certamente di una disposizione destinata ad assumere crescente rilievo nei prossimi anni, anche a fronte di una ormai cronica mancanza di materie prime. E la sua rilevanza potrà crescere anche in relazione, ad esempio, riconnettendoci alle riflessioni sulla proposta di regolamento sulla deforestazione, ai prodotti derivati dalla lavorazione del legno che potranno, quantomeno, assumere l’origine del Paese dove sono stati riutilizzati: in tal senso, il regolamento sulla deforestazione potrebbe farsi carico di consentire le debite eccezioni, vista la premialità che si vuol conferire all’economia circolare.

 

Prospettive future

È del tutto evidente, dunque, la necessità di spingere ancor più sull’acceleratore, incidendo sulle opportunità doganali: il tema è molto sentito, tanto da avere spinto la UE, ad esempio,  nell’ambito della propria politica commerciale, a ripensare gli scambi internazionali in chiave di Autonomia Strategica Aperta: sì agli scambi, certamente, ma magari favorendo, laddove possibile, strategie di autonomia produttiva, in grado di fornire anche modelli di produzione più sostenibile, che pure farà ricorso al contributo dell’economia globale ma senza abbassare eccessivamente la guardia in tema di sostenibilità.

Sul versante del settore privato, ricordiamo la riflessione di AFEP, l’associazione francese delle grandi imprese che, nell’ambito di una propria pubblicazione, suggerisce l’adozione di un sistema di Regole di Origine Preferenziale modulate sul clima, che fissi precisi limiti alle emissioni di gas serra su specifici prodotti. Si tratterebbe, quindi, di introdurre la “variabile carbonica” nella concessione di trattamenti preferenziali, qualificando i prodotti scambiati non solo sotto il profilo dell’origine strettamente intesa ma anche sotto quello della compatibilità con il “carbon leakage”.

Non possono esservi dubbi, in ultima analisi, sulla rilevanza che le procedure doganali, le regole di origine, le attività di controllo e l’approccio collaborativo delle imprese che operano negli scambi internazionali hanno in una visione globale e integrata della risposta al cambiamento climatico: e, se è vero che su tale argomento sono stati svolti numerosi esercizi e che molte norme di varia natura già affidano competenze in materia alle dogane, si vorrebbe che aziende, studiosi e dogane si ritrovino a operare in quell’ambiente doganale, internazionale, dal quale passano, inevitabilmente, gli scambi transfrontalieri.

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Tags

economia Geoeconomia commercio UE
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AUTORI

Fulvio Liberatore
Easyfrontier

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