C’è uno di shopping che non soffre crisi. Anzi, è proprio nei momenti più bui che diventa più conveniente. Si tratta di tutte quelle operazioni societarie di fusione e acquisizione (in inglese Mergers and Acquisitions, M&A) che permettono le aggregazioni tra aziende.
Nel 2021, come è visibile anche dal grafico, si è raggiunto un nuovo picco di M&A. Secondo il recente Global Financial Stability Report del Fondo Monetario Internazionale i primi mesi del 2021 hanno eguagliato il volume di aggregazioni aziendali della crisi finanziaria del 2007. Perché, appunto, le recessioni chiamano le operazioni societarie di questo tipo. I motivi sono semplici: durante i periodi di difficoltà economica chi ha liquidità può fare ottimi affari, poiché i prezzi delle aziende tendono a scendere con il peggioramento delle prospettive. Inoltre, in fasi come queste le banche centrali sono solite – più oggi che nel 2007 – immettere nel mercato montagne di liquidità, che abbattono il costo del denaro e rendono meno oneroso indebitarsi per completare operazioni di M&A. Raggiungendo anche livelli rischiosi: a scriverlo è sempre il Fondo Monetario Internazionale, che avverte delle possibili vulnerabilità finanziarie del sovraindebitamento delle aziende che compiono fusioni e acquisizioni. Basti pensare alla bolla della SPAC, le società volte a raccogliere capitale per poi acquisire un’azienda target da accompagnare alla quotazione in borsa. La SEC, cioè la Consob americana, ha da tempo aumentato gli sforzi di regolazione del settore.
Il picco di operazioni di M&A ha fatto anche la fortuna delle grandi banche di investimento americane, che offrono servizi di consulenza in cambio di generose commissioni (100 miliardi di dollari nei primi 9 mesi del 2021). Goldman Sachs ha aumentato i propri ricavi nel terzo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2020 del 37%. Jp Morgan ha raggiunto il +52%, Morgan Stanley addirittura il +67. Secondo l’analista Chris Kotowski intervistato dal Financial Times, "con la FED che stampa 120 miliardi di dollari ogni mese, i Ceo hanno un sacco di soldi ‘del Monopoli' da spendere", ma “nessuno si aspetta che questo trend continui ancora con un tale ritmo”.
Lo shopping di società non è solo un fenomeno americano: anche in Italia siamo di fronte a un picco di fusioni e acquisizioni. Secondo il report di KPMG, nei primi nove mesi dell’anno sono state chiuse operazioni per 71 miliardi di euro, contro i 29 del lo stesso periodo 2020. Un periodo che è stato penalizzato ovviamente dalla pandemia, ma il 2021 raggiunge valori doppi anche rispetto agli ultimi quattro anni. E, contrariamente a quanto si è portati a pensare, sono maggiori i volumi degli imprenditori italiani che acquistano all’estero (45 miliardi) che quelli stranieri che si interessano all’Italia (10 miliardi).
Le aggregazioni societarie possono rafforzare il business grazie alle note sinergie e il taglio dei costi fissi: pensiamo ad esempio a quanto sta accadendo nel settore bancario italiano. Ma, come evidenziato dal FMI, possono rappresentare anche un rischio. Non solo per l’esplosione del debito, ma anche per la concorrenza. Già nel 2019 l’economista Thomas Philippon nel suo saggio “Thre Great Reversal” ha dimostrato quanto l’economia degli Stati Uniti è diventata meno competitiva a causa dell’alta concentrazione di numerosi settori: nel 2016 i margini di profitto delle aziende americane erano ai massimi almeno dal 1992 e avevano da tempo superato i livelli europei. E attenzione, non si tratta solo delle Big Tech, ma anche di quanto accade nel settore finanziario, sanitario e negli altri servizi.
Si sa, le crisi sono soprattutto occasioni di svolta. Lo shopping contribuirà a rafforzare il sistema industriale e dei servizi dei Paesi occidentali, riducendo il rischio di un’ondata di bancarotte con il ridursi degli aiuti all’economia. Ma d’altra parte l’abbuffata rischia di ritorcersi contro, se non ben governata.