I timori sul crollo del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) sono vecchi quanto il trattato stesso e ben radicati. Tuttavia, dal 1970 il trattato è riuscito a limitare la proliferazione delle armi nucleari molto meglio del previsto: in media, un nuovo stato dotato di armi nucleari ogni dieci anni.
L’altro lato dell’accordo, il disarmo nucleare, dimostra problemi maggiori, visto che a ben 50 anni dalla sua adozione non esistono piani per ridurre o eliminare le armi nucleari; al contrario: tutti gli stati nucleari stanno modernizzando i loro arsenali. Visto che la promessa del TNP – noi disarmiamo, voi vi astenete – non è stata onorata dal punto di vista di chi attribuisce valore alle armi nucleari, si teme il collasso del Trattato. Questa è la visione realista, e infatti la Corea del Nord ha seguito questo schema – in fin dei conti, è tecnologia degli anni Quaranta.
Ma la stragrande maggioranza degli stati non-nuclearizzati non sta revocando il TNP, anzi. Lo sta salvando. Invece di seguire l’ideologia della deterrenza nucleare, 122 stati hanno nel 2017 adottato il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN), che corregge un’anomalia della legge internazionale: finora, le armi nucleari sono state le uniche armi di distruzione di massa non specificamente proibite. Ebbene, per ridurne il numero e il ruolo, il primo passo è evidentemente mettersi d’accordo sul fatto che la distruzione indiscriminata che questi marchingegni inevitabilmente comportano è illegale. Storicamente, la proibizione di un’arma precede sempre la sua eliminazione. Il che a sua volta riduce la disponibilità di queste tecnologie, mentre lo stigma che comporta un’arma proibita la rende meno desiderabile in quanto status symbol.
Nel 2015, la conferenza di revisione non è saltata per eccessivo entusiasmo con cui fu reclamato il disarmo, ma per non essere riusciti ad accordarsi sullo svolgimento di una conferenza in una zona priva di armi nucleari in medio oriente, promessa che era stata fatta nel 1995. Dopo tre conferenze preparatorie, e non meno di un intero mese di negoziati nel maggio 2015, gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Canada bloccarono il documento finale, in nome di uno stato che non fa nemmeno parte del TNP. Ecco quanto importa agli stati nucleari la protezione del TNP.
È un peccato, quindi, che gli stati dotati di armi nucleari e i loro alleati europei, sottoscrivendo una politica di "deterrenza nucleare estesa", accusino simultaneamente la stragrande maggioranza dei membri del TNP di minare la non-proliferazione adottando un nuovo trattato che inequivocabilmente dichiara illegali le armi nucleari. Cerchiamo di essere chiari: i sostenitori del TPAN, come l’Austria e l’Irlanda, sono sempre stati tra i più fedeli aderenti al TNP, di cui l’Irlanda è pure l’ideatore.
È giunto il momento che l’Italia, e altri stati nella NATO, smettano di far parte di questa mascherata. Se stiamo ancora boicottando la proibizione delle armi nucleari, è perché nella NATO l’Italia punta sulla deterrenza nucleare, e cioè sulla minaccia continua di un loro uso, accettando quindi il rischio di incenerire milioni di civili e il rischio di incidenti, di errori di comunicazione o di valutazione. Ben lungi dal costituire una protezione, le armi schierate nelle basi di Aviano e di Ghedi fanno del nostro paese, al contrario, un bersaglio.
Il TNP non sta crollando. Ciò non significa che la revisione del 2020 sia al sicuro. Un buon primo passo sarebbe che gli stati che mettono a rischio il TNP, con la loro procrastinazione sulle promesse di disarmo, cominciassero col riconoscere il TPAN come un contributo in buona fede sia alla non-proliferazione che al disarmo.
Mentre gli Stati Uniti e la Russia stanno mettendo a rischio gli ultimi accordi rimasti – sull’Iran, sul INF, e prossimamente su New START – spetta all’Europa di articolare più chiaramente i suoi interessi: meno enfasi sulle armi nucleari, cominciando con la loro proibizione. Insistere sulla legalità delle armi nucleari basate in Italia, mentre al contempo spieghiamo a Teheran che non abbia diritto alla stessa strategia per la sua sicurezza, erode quel che rimane della credibilità sia della “superpotenza civile” europea che della nostra rivendicazione del multilateralismo.