Il 4 ottobre 1992, la firma dell’Accordo di pace di Roma, tra il governo del Frelimo e la Renamo, che mise fine a 17 anni di guerra civile in Mozambico, segnò il punto più alto della politica africana dell’Italia. Mai come allora (e mai più dopo di allora) l’Italia era un punto di riferimento per i regimi post-coloniali africani. Negli stessi anni, infatti, andava disfacendosi l’architettura di rapporti, complicati e incrociati, tra l’Italia e il Corno d’Africa: la fuga di Siad Barre, lo sfacelo del Derg e l’indipendenza Eritrea andavano minando i riferimenti dell’Italia in quella che si riteneva fosse la sua sfera di influenza in Africa sub-sahariana. Il principale successo diplomatico dell’Italia in Africa si andava incrociando con un rimescolamento degli equilibri e dei volti su cui l’Italia aveva contato per contare nel continente nero.
A vent’anni di distanza da questo risultato diplomatico dell’Italia, è interessante interrogarsi sullo stato di salute dei rapporti tra Italia e Mozambico, per iniziare a valutare il senso di una presenza italiana in Africa che, a causa delle difficoltà della finanza pubblica e del progressivo appannarsi dell’egemonia occidentale sul mondo, va via via facendosi più discontinua e fragile.
Il rapporto Italia-Mozambico è stato costruito sui pilastri tradizionali delle relazioni estere dell’Italia: da un lato, Maputo è stato uno dei dieci principali paesi beneficiari dell’aiuto italiano dall’anno successivo alla sua indipendenza (1975); dall’altro, già durante la lotta di liberazione, la società civile italiana e alcune amministrazioni locali – interpretando il vero spirito di quella che poi sarebbe stata conosciuta come cooperazione decentrata – avevano inaugurato dei rapporti di solidarietà con l’esercito del Frelimo e con le zone liberate del nord della colonia portoghese. Con l’indipendenza, il rapporto si è arricchito anche di forti legami di carattere economico: in Mozambico arrivarono imprese importanti, in particolare cooperative, che sono state negli anni il motore di legami economici fecondi, alcuni caratterizzati anche in senso ideologico. Infine, l’orientamento marcatamente ideologico del regime del Frelimo lo poneva all’interno di rapporti politici definiti che nel caso dell’Italia vedevano il Partito comunista italiano tenere le fila di un rapporto utile anche al Ministero degli Esteri.
La pace di Roma, resa possibile grazie al tenace lavoro di mediazione del Ministero degli Esteri e della Comunità di Sant’Egidio, culminava anni di rapporti tra società e politica italiane e società e partito unico mozambicani. L’impegno italiano in Mozambico si è consolidato dopo la firma dell’accordi di pace, nella gestione dei due anni di transizione militare, politica ed economica, grazie anche all’apporto di figure chiave come Aldo Ajello, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per il Mozambico tra il 1992 e il 1995 e Mario Raffaelli, sottosegretario agli esteri durante il negoziato.
Con la fine del mondo bipolare e il riorientamento degli equilibri globali da un lato e dall’altro con la profonda crisi politica e le persistenti difficoltà della finanza pubblica italiana, la politica africana dell’Italia ha perso direzione, risorse e slancio. I rapporti con il Mozambico sono rimasti molto buoni ma mentre per l’Italia Maputo restava una capitale vicina e amica, le poche risorse italiane disponibili facevano indietreggiare Roma nella classifica dei donatori presenti nel paese. La scoperta da parte dell’Eni nell’ottobre 2011 del più grande giacimento di gas al largo dell’arcipelago delle isole Quirimbas può essere il primo passo per rilanciare l’importanza delle relazioni Italia-Mozambico. Tenendo conto che, a fronte della nobile e ricca storia politica, diplomatica, di comunanza di ideali che ha legato i due paesi, per ripartire non ci si può appiattire solo sul gas.