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Commentary
Marocco: Benkirane alla prova del nove, fra sdegno sociale e geometrie politiche
Federica Zoja
09 novembre 2016

Ancora una volta è la voce del profondo Rif berbero a scuotere il Marocco, sì impegnato in una laboriosa trasformazione economico-politica, ma comunque piagato da mali endemici difficili da sconfiggere. Corruzione, burocrazia, sperequazioni sociali e geografiche in primis. 

Ed è proprio questo che denunciano i manifestanti che per una decina di giorni hanno scandito il nome di Mouhcine Fikri, pescivendolo trentenne di Imzouren (al-Hoceima), nel Rif settentrionale, morto stritolato dalla pressa di un camion della nettezza urbana nel tardo pomeriggio di venerdì 28 ottobre. Si stava opponendo alla distruzione delle proprie merci – in particolare di un pescespada da 11mila dollari – insieme ad altri colleghi. Fra ottobre e novembre, la pesca del pescespada è vietata nelle acque marocchine ed è per tale ragione, sostengono le autorità, che il pescato doveva essere eliminato. Il decesso dell'ambulante, dunque, sarebbe il frutto di un tragico caso.

Un video, però, racconta una verità diversa: mentre diversi giovani pescivendoli si trovavano sul mezzo per il compattamento dei rifiuti, alcuni agenti hanno dato l'ordine al conducente di mettere in funzione la benna. Un video dell'orrore da cui si evince che i poliziotti avevano visto che Fikri era rimasto a bordo del camioncino. 

La scena è stata integralmente ripresa con un telefonino e diffusa su internet, facendo esplodere l'indignazione di centinaia di migliaia di cittadini marocchini non solo nelle località adiacenti Hoceima, ma anche a Rabat, Casablanca, Marrakech, Agadir. «Siamo tutti Mouhcine», «Giustizia per il martire!», «Assassini!» sono alcuni degli slogan urlati nei cortei, in grado di riportare alla memoria quelli analoghi poi sfociati in rivolta popolare in Tunisia, nel dicembre del 2010. 

Allora, il suicidio di Mohammed Bouazizi, fruttivendolo ambulante di Sidi Bouzid vessato dalla locale polizia, diede origine a uno sconvolgimento politico di portata nazionale. E, con tutte le spinte esogene ormai note, regionale. 

Come già avvenuto in occasione della “primavera” marocchina del 2011, il sovrano Mohammed VI non si è fatto cogliere impreparato (anche se nel febbraio 2011, va ricordato, proprio ad Hoceima morirono 5 giovani marocchini, ndr): ai manifestanti è stata data la possibilità di sfilare ed esprimersi – pacificamente – in 40 città, fra grandi centri urbani e semplici cittadine di provincia. Inoltre, 11 persone fra agenti, medici legali, responsabili del mercato del pesce sono stati arrestati e indagati. Tuttavia, l'accusa loro rivolta la dice lunga sull'inamovibilità del sistema: truffa. Non omicidio. Non abuso del proprio potere per vessare i cittadini. Truffa per aver fornito una ricostruzione falsa dell'accaduto e aver tentato di insabbiare l'episodio. La stampa marocchina – amaramente – lascia già intendere che gli accusati se la caveranno con una multa, magari salata, ma lieve in confronto alla carcerazione. 

Rimane il peso devastante della «hogra» sociale, l'umiliazione subita da Mouhcine, simbolo di quella sperimentata quotidianamente dai cittadini. Per accedere ai servizi sanitari, nell'interagire con l'amministrazione pubblica, per aprire e condurre un'attività commerciale o produttiva, nel percorso scolastico di base e all'università, nella carriera professionale. Gli ostacoli abbondano e possono essere rimossi solo “oliando” la macchina pubblica a suon di “bustarelle”.

La corruzione e la farraginosità del sistema statale, insomma, non sono ancora state aggredite con efficacia dal vaccino del cambiamento.

 

Il ristagno sociale come riflesso dell'immaturità politica. 

Dal 2011 ad oggi, il sovrano-guida spirituale Mohammed VI ha ceduto alcuni poteri al Parlamento, ha innovato il diritto familiare, ha preso di petto il contrasto all'islamismo radicale. Ma il processo stesso di maturazione della classe politica appare lento: il premier confermato Abdelillah Benkirane non è ancora riuscito a risolvere il puzzle di Governo, nonostante lo scenario chiaramente bipolare e favorevole al partito islamista Giustizia e sviluppo (Pjd, passato da 107 a 125 seggi), emerso dalle urne lo scorso 7 ottobre. Scarsa l'affluenza, di poco superiore al 40%, ma con una voce distinta: stop alle sigle minori. 

Al Pjd, però, mancano 73 seggi per poter guidare il Paese da solo. In assenza di un'intesa fra Pjd e Pam (Autenticità e modernità, liberale di centro, vicino al casato reale), protagonista di un balzo in avanti, da 47 a 102 deputati, ora il primo ministro è ostaggio proprio delle forze meno rappresentate in Parlamento. Istiqlal (Indipendenza, il più antico partito marocchino, nazionalista conservatore), rimasto fermo a 46 seggi, chiede al premier di accelerare, ma dietro le quinte lo ostacola. 

I movimenti socialisti e sindacali, dall'Usfp al Pps al Psu, ridimensionati drasticamente, fanno la voce grossa e pretendono ministeri di peso. Infinite consultazioni con popolari (Mp), Unione costituzionale, Rassemblamento nazionale (Rn), in perdita media di 10-15 seggi, offuscano l'agenda governativa.

In cima alle priorità la lotta alla disoccupazione giovanile, la diversificazione dell'agricoltura - pericolosamente stagionalizzata e quindi stroncata dalla carestia inedita di quest'anno -, il potenziamento degli scambi commerciali intercontinentali come cura al disavanzo. 

Senza dimenticare l'elevato rischio terrorismo, in un Paese che ha esportato verso i terreni di battaglia del Siraq almeno 1.350 foreign fighters e lotta contro coloro che rientrano per portare la guerra in casa.

Rabat difende la propria lentezza adducendo come scusa lo svolgersi di Cop22 - 22esima Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, dal 7 al 18 novembre a Marrakech -, ragione sufficiente per fare slittare la composizione dell'Esecutivo. Ma soprattutto i ministri economici sono attesi ormai con ansia da investitori e mercati.

Permane, sullo sfondo di questo inquietante vuoto istituzionale, la questione specifica del Rif. Non di secondaria importanza, è doveroso sottolinearlo, è il Dna del Nord-Est marocchino, a maggioranza berbera e fiero di esserlo, con la sua storia di resistenza alla colonizzazione spagnola, prima, e di lotta per la piena autonomia, dopo. Le località in cui i cortei di fine ottobre hanno preso piede sono le stesse che hanno pagato un tributo di sangue sul finire degli anni '50 e poi ancora negli '80, con rivolte dette “intifada”. 

Ed ecco infatti che dieci giorni fa, ad Hoceima, la bandiera Amazigh (il termine con cui si autonomina il popolo berbero) spiccava, a ricordare alle autorità centrali che la regione si considera altro per cultura e tradizione. E per tale motivo emarginata, discriminata, tenuta volontariamente in una condizione di disagio socio-economico. 

Nelle manifestazioni in nome di Mouhcine Fikri, in conclusione, c'è tutta la complessità del presente marocchino, in cammino verso un futuro per niente. 



Federica Zoja, giornalista “Avvenire”

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Autori

Federica Zoja
Giornalista

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