Dopo due settimane di campagna elettorale, lo scorso 8 settembre i marocchini sono stati chiamati al voto per eleggere 395 deputati della Camera dei rappresentanti e oltre 31 mila rappresentanti di comuni e regioni. A sorpresa, il liberale “Rassemblement national des indépendants” (Rni) è stato il più votato in tutte e tre le consultazioni. Conquistando 102 seggi alla Camera, il partito ha quindi espresso il capo del governo, Aziz Akhannouch, nominato dal re Mohamed VI venerdì 10 settembre con l’incarico di formare il nuovo esecutivo. Le elezioni hanno segnato la disfatta del “Parti de la Justice et du Développement” (Pjd), islamista moderato, che nel corso delle precedenti tornate aveva raccolto il consenso più alto. Il Pjd, passato da 125 a 13 seggi, si è infatti classificato in ottava posizione. Le elezioni intervengono in una congiuntura delicata per il paese, alle prese con un aumento dei contagi di Covid-19, tensioni socioeconomiche e crisi diplomatiche con paesi vicini e alleati.
Quadro interno
Le elezioni legislative dello scorso 8 settembre sono le terze dall’approvazione della riforma costituzionale del 2011. Concepita in risposta alle proteste ispirate dalle Primavere arabe, la riforma ha rafforzato le prerogative di governo e parlamento e aperto a una definizione “plurale” dell’identità marocchina. Il re Mohamed VI, tuttavia, rimane il vero pilastro dell’esecutivo. Il re nomina primo ministro il leader del partito di maggioranza relativa, presiede il Consiglio dei ministri, è capo supremo delle forze armate e sceglie i ministri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa e degli Affari islamici.
Negli anni si è ridotta l’attrattività degli appuntamenti elettorali, testimoniata dal contenuto tasso di partecipazione alle elezioni del 2011 e del 2016 (rispettivamente del 45% e del 42%). Secondo Mohamed Chiker, essendo gli orientamenti politici già tracciati dal re, “le elezioni servono soltanto a produrre le élite politiche capaci a metterli in pratica”.[1] La partecipazione all’ultima tornata elettorale invece, stimolata dalla simultanea tenuta delle elezioni a livello locale, ha superato il 50%, ciò significa che tre milioni di persone in più rispetto al 2016 si sono recate alle urne. L’affluenza più alta si è registrata nel Sahara occidentale, territorio non autonomo conteso da Rabat e dal Fronte Polisario (il movimento indipendentista sahrawi).
Il nuovo capo del governo è un uomo d’affari vicino alla monarchia. Secondo Forbes, Akhannouch – a capo della holding Akwa (energia, telecomunicazioni, immobiliare e stampa, controlla il marchio di distribuzione di carburanti “Afriquia”) – possiede il più grande patrimonio personale del paese dopo quello del re.
Le recenti elezioni segnano in modo netto la sconfitta dell’islamismo di governo e rappresentano simbolicamente la chiusura di un ciclo iniziato dieci anni fa. Nelle precedenti tornate, nel 2011 e nel 2016, il Pjd aveva ottenuto circa il 27% dei voti e aveva quindi espresso gli esecutivi guidati da Abdelillah Benkirane e Saâdeddine El Othmani, in coalizione con le altre forze parlamentari, fra cui lo stesso Rni. Akhannouch, infatti, è stato ministro dell’Agricoltura e della Pesca in entrambi gli esecutivi. La sconfitta si è riproposta anche a livello comunale (in cui il partito è passato da 5.021 seggi a 777) e alle regionali (da 174 a 18).[2]
Il crollo del Pjd ha portato El-Othmani a dimettersi anche dal ruolo di segretario generale del partito. Per la prima volta in dieci anni il partito sarà all’opposizione e lo attende una fase di ricostruzione e di ricerca di una nuova leadership.
Il crollo dei consensi rimanda alla profonda “crisi d’identità” vissuta dal Pjd negli ultimi anni, anche a causa della necessità di dover raggiungere dei compromessi con gli altri partiti della coalizione. Numerosi dossier hanno eroso la base elettorale del partito negli ultimi anni: l’adozione nel 2019 di una legge che rinforza il ruolo della lingua francese nell’insegnamento pubblico, la legalizzazione della cannabis terapeutica, la non opposizione agli Accordi di Abramo, che a fine 2020 hanno segnato la normalizzazione delle relazioni con Israele.[3]
In seconda posizione dopo il Rni, è arrivato un altro partito vicino al re, il “Parti authenticité et modernité” (Pam) che ha ottenuto 87 seggi, seguito dal Partito dell’Indipendenza Istiqlal, nazionalista e conservatore, primo partito politico fondato in Marocco nel 1943, con 81 seggi.
Come già sottolineato, è la monarchia il motore delle principali riforme e decisioni politiche in Marocco e il nuovo parlamento dovrà focalizzarsi sull’implementazione delle linee strategiche individuate dal sovrano. È il “Nuovo modello di sviluppo”, presentato da Mohamed VI lo scorso 25 maggio, la strategia con cui le forze politiche dovranno confrontarsi nel corso della prossima legislatura. Il “Nuovo modello di sviluppo” mira, a costruire, entro il 2035, un paese prospero, in grado di valorizzare le competenze dei propri cittadini, inclusivo e sostenibile. Fra gli obiettivi si prevede il raddoppio del Pil pro capite (ipotizzando una crescita media annuale pari al 6%), un 75% di studenti in grado di padroneggiare la lettura, la matematica e la scienza all’età di 15 anni (erano il 27% nel 2019), il 45% di donne attive professionalmente, l’80% del lavoro inquadrato in un ambito formale, un passo deciso verso la realizzazione della transizione energetica e la riduzione delle disuguaglianze sociali.[4]
Nonostante le ambizioni del piano, il Marocco sconta importanti disfunzioni a livello sociale ed economico e sono molte le sfide, esacerbate dall’irrompere della pandemia da Covid-19, che incombono sul presente e sull’immediato futuro del paese. Oltre 880.000 persone si sono ammalate di Covid-19 e si sono registrate circa 13.000 vittime. La campagna vaccinale è stata lanciata a fine gennaio, una delle prime fra i paesi africani, e a fine agosto è stata estesa alla fascia di età 12-17. Oltre il 44% della popolazione ha già completato il ciclo vaccinale (oltre 16 milioni di persone).
Sul piano economico la pandemia ha spinto il paese nella sua prima recessione dal 1995. La contrazione della produzione, la riduzione delle esportazioni, il collasso del settore turistico e la siccità che ha duramente colpito il settore agricolo hanno contributo a un crollo del Pil del 7% nel 2020.[5] L’impatto della pandemia si è sommato alle numerose sfide socioeconomiche non ancora adeguatamente affrontate dalle istituzioni pubbliche, come l’alto tasso di disoccupazione,[6] povertà (il cui indice è passato dall’1,7% all’11,7% fra il 2019 e il 2020)[7] e disuguaglianze sociali, le carenze del servizio sanitario e del sistema scolastico, il forte gap fra zone urbane e rurali e l’alto debito pubblico. Secondo un’indagine dell’Arab Barometer del 2019, il 70% dei marocchini in età compresa fra i 18 e i 29 anni ha riflettuto sulla possibilità di emigrare almeno una volta.[8]
L’economia informale, che pesa per circa il 30% del Pil,[9] è stata al centro delle attenzioni dell’esecutivo nei primi mesi della pandemia. A luglio 2020 il re ha annunciato un piano per generalizzare l’assicurazione sanitaria obbligatoria entro i prossimi cinque anni, proprio per venire incontro alle necessità di chi non è protetto e dei lavoratori indipendenti.
Segnali incoraggianti provengono comunque dall’industria dei fosfati e da quella automobilistica, due delle principali fonti di esportazione nel paese. Il Marocco è il principale costruttore di automobili in Africa, con una produzione di oltre 700.000 auto all’anno.
La crisi del settore turistico, con un calo delle entrate pari a circa il 65%,[10] ha portato a un forte incremento delle partenze di cittadini marocchini verso le isole Canarie, tornate a essere nel 2020 la prima porta di accesso di migranti irregolari in Europa proprio a causa del flusso crescente dalle coste del Marocco meridionale e del Sahara occidentale.
Non trascurabile è stato l’impatto delle misure di confinamento sulle regioni limitrofe alle enclave spagnole di Ceuta e Melilla. La chiusura, decretata a marzo 2020, ha comportato il crollo dell’attività economiche formali e informali (incluso il contrabbando), esasperando ancora di più la crisi economica e sociale in corso.
A partire dal 2016 con le proteste nel Rif[11] si assiste a un giro di vite della monarchia nei confronti delle contestazioni sociali. Organizzazioni di difesa dei diritti umani, come Amnesty International[12] e Human Rights Watch[13] denunciano oggi una crescente stretta nei confronti di giornalisti, attivisti, commentatori sui social network, artisti, che hanno espresso posizioni critiche nei confronti della monarchia.
Relazioni esterne
Per quanto riguarda le relazioni esterne, il 2021 si sta confermando per il Marocco un anno inedito, caratterizzato da una successione di crisi diplomatiche, in primis con Algeria, Germania e Spagna, condensatesi intorno alla questione del Sahara occidentale.
Queste crisi, per quanto investano una questione essenziale per l’identità politica del Marocco moderno, comportano degli smottamenti importanti negli assi tradizionali della politica estera del paese, basata sulla diversificazione delle alleanze internazionali e su una forte proiezione economica, diplomatica, religiosa e culturale sul continente africano.
Questi smottamenti sono una conseguenza della decisione di Donald Trump, a dicembre 2020, di riconoscere la sovranità marocchina sul Sahara occidentale in cambio dell’adesione del paese agli Accordi di Abramo e alla normalizzazione delle relazioni con Israele. La decisione di Trump ha alterato uno status quo in vigore da decenni che prevedeva, per il futuro del Sahara occidentale, l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione, come previsto dai “Settlement proposals” del 1988 e dalla risoluzione 690 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, approvata nel 1991 a seguito-del-cessate il fuoco fra il Marocco e il Fronte Polisario. Rabat si aspettava che dalla decisione americana scaturisse un convinto sostegno da parte della comunità internazionale alle rivendicazioni marocchine sulla regione. Il Marocco ha operato negli ultimi trent’anni per vedere riconosciuta la sua piena sovranità sul Sahara occidentale (in cambio, comunque, di una certa autonomia amministrativa). Le diverse posizioni di Algeria e Marocco sul dossier hanno rappresentato un ostacolo a una più forte integrazione fra i paesi del Maghreb e sono state la causa del ritiro del Marocco dall’Unione africana fra il 1984 e il 2017.
Nel corso dell’estate 2021 si è assistito a una rapida escalation nelle tensioni fra i due paesi che ha portato, lo scorso 24 agosto, all’annuncio algerino della rottura delle relazioni diplomatiche con Rabat.[14] Alcuni episodi hanno avuto un’incidenza particolare. Innanzitutto, la decisione del rappresentante permanente del Marocco presso le Nazioni Unite, Omar Hilale, di distribuire nel corso di una riunione del Movimento dei paesi non allineati una nota in cui si affermava che “il valoroso popolo cabilo (la Cabilia è una regione settentrionale dell’Algeria con una certa vocazione separatista) merita, più di ogni altro, di godere un giorno del diritto all’autodeterminazione” era stata percepita ad Algeri come un’aperta provocazione e aveva portato alla decisione di richiamare l’ambasciatore a Rabat. Ad agosto, nuove tensioni sono state alimentate dalle dichiarazioni di Yair Lapid, ministro degli Esteri israeliano[15] durante la sua visita in Marocco. Lapid ha espresso la propria preoccupazione tanto sulle relazioni fra Algeri e Teheran quanto in merito alla campagna algerina contro la concessione a Israele dello status di osservatore permanente presso l’Unione africana. Poche settimane dopo, inoltre, a seguito dei gravissimi incendi che hanno devastato 26 wilayas (distretti) dell’Algeria e provocato oltre 90 vittime, Algeri ha accusato il Marocco di sostenere il Mak (Movimento per l’autodeterminazione della Cabilia) e il movimento islamista Rachad, entità “terroriste” accusate di avere pianificato gli incendi.[16] Questa progressiva escalation si era sviluppata in contemporanea con la diffusione delle prime informazioni sul caso Pegasus, un software prodotto dalla società israeliana Nso che, secondo il network giornalistico Forbidden Histories, sarebbe stato utilizzato anche dai servizi segreti marocchini per spiare giornalisti, uomini politici e attivisti marocchini e stranieri. Secondo il consorzio, oltre 6.000 numeri di telefono appartenenti a responsabili politici algerini (fra cui il ministro degli Affari Esteri Lamamra), militari, membri dei servizi segreti, funzionari statali, diplomatici, giornalisti e militanti erano stati identificati come potenziali obiettivi del software.[17]
Sono dunque numerose le tensioni su cui si è costruita la crisi diplomatica fra i due paesi, che rischia anche di avere profonde ripercussioni sul piano energetico. Il 26 agosto scorso Mohamed Arkab, ministro algerino per l’Energia e le Miniere, ha annunciato che le esportazioni di gas verso la Spagna transiteranno attraverso il gasdotto Medgaz (che collega direttamente i due paesi) e non più dal Maghreb-Europe, che giunge alla penisola iberica attraversando il Marocco. L’Algeria copre circa il 45% della domanda di gas del regno. Le discussioni fra i due paesi proseguiranno probabilmente fino al 31 ottobre, data di scadenza del contratto di fornitura, e resta da vedere se ci sarà la possibilità di un accordo nelle prossime settimane. Al di là di incidenti e frizioni, infatti, non bisogna sottostimare l’importanza della cooperazione fra i due paesi in numerosi ambiti, come quello securitario o migratorio. La rottura delle relazioni diplomatiche si innesta però in un contesto regionale incerto, marcato dalla crisi istituzionale in corso in Tunisia, dalle difficoltà della transizione intrapresa dalla Libia e dall’aggravarsi del quadro securitario del Sahel.
Precedentemente alla rottura diplomatica con l’Algeria, il dossier Sahara occidentale aveva già condizionato le relazioni fra il regno alauita e due storici partner, Spagna e Germania. A seguito della decisione di Donald Trump di riconoscere la sovranità marocchina sul Sahara occidentale, Berlino aveva chiesto la convocazione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per discutere degli ultimi sviluppi. Rabat aveva interpretato il gesto come un atto ostile. Questo episodio, sommandosi alle tensioni dovute al caso di Mohamed Hajib[18] e all’esclusione del regno dalla conferenza internazionale sulla Libia, tenutasi a Berlino nel gennaio 2020, hanno portato al richiamo dell’ambasciatore marocchino presso la capitale tedesca lo scorso 6 maggio e all’interruzione della cooperazione bilaterale. Cooperazione che è essenziale per numerose dinamiche di sviluppo in corso in Marocco, fra cui quella della transizione energetica, e che ha comportato il blocco di oltre 1,4 miliardi di euro già stanziati da Berlino.[19]
La crisi con la Spagna ha invece investito la questione migratoria. Ad aprile è stato reso noto che Brahim Ghali, segretario generale del Fronte Polisario, aveva raggiunto un ospedale militare spagnolo a bordo di un aereo algerino, per ricevere cure dopo essere risultato positivo al Covid-19. Madrid non aveva informato Rabat della decisione di accogliere un leader considerato dal Marocco “criminale di guerra”. L’irritazione marocchina si era rapidamente tradotta nella decisione di alleviare i controlli presso la frontiera fra il regno e l’enclave spagnola di Ceuta, permettendo di conseguenza l’accesso a nuoto di circa 9.000 suoi concittadini. La risposta spagnola ed europea è stata molto ferma. Pedro Sánchez, presidente del governo spagnolo, si è immediatamente recato a Ceuta, dove è stato schierato l’esercito, mentre Bruxelles aveva rimarcato la dimensione europea della crisi.
Sebbene la maggior parte delle persone sia stata poi rapidamente rimpatriata in Marocco, gli effetti collaterali della politica europea di esternalizzazione delle frontiere e l’utilizzo della questione migratoria come strumento politico sono stati, da questa crisi, ancor più messi in evidenza. Nonostante la cooperazione ibero-spagnola per il controllo delle frontiere, cui corrisponde un significativo sostegno economico, Rabat non ha esitato a utilizzare l’“arma migratoria” per esprimere il proprio dissenso nei confronti di una decisione del governo spagnolo.
Nonostante la fermezza della reazione spagnola, un rapido ristabilimento di una collaborazione proficua con Rabat era nell’interesse di Madrid. Nel corso dell’ultimo rimpasto di governo, dunque, Pedro Sánchez ha deciso di sacrificare il suo ministro degli Esteri, Arancha González Laya, “accusata” di aver permesso il ricovero di Ghali, al fine di favorire un ristabilimento pieno della cooperazione con Rabat.[20] Una nuova pagina delle relazioni ibero-marocchine sembra essersi aperta nel corso delle celebrazioni del 68° anniversario della Rivoluzione del re e del popolo, ad agosto, quando il re ha confermato la volontà di inaugurare una nuova tappa, inedita, nelle relazioni fra i due paesi, basata sulla “fiducia, la trasparenza, il mutuo rispetto e il rispetto degli accordi”.[21] Nella stessa occasione Mohamed VI aveva condannato “gli attacchi sistematici di cui il Marocco è stato ultimamente obiettivo da parte di alcuni paesi”, “che non vogliono che il Marocco resti la nazione libera, forte e influente che è sempre stata”.
Come già menzionato, la diversificazione delle alleanze internazionali rappresenta uno dei pilastri della politica estera marocchina. L’11-12 agosto scorsi Yair Lapid si è recato in visita in Marocco, prima volta di un ministro degli Esteri israeliano dal 2003. Durante la visita si è deciso di trasformare nei due mesi successivi i liaison offices recentemente aperti in vere e proprie ambasciate. Nel corso della visita sono stati firmati tre accordi di cooperazione nell’ambito del trasporto aereo, cultura, sport e giovani, e per un dialogo strutturato a livello di Ministeri degli Esteri. Nel mese di luglio erano già stati ripristinati i collegamenti aerei diretti fra Tel Aviv e Marrakesh.
Per quanto gli scambi commerciali con la Cina restino secondari rispetto a quelli stabiliti con le controparti europee, la relazione fra Rabat e Pechino è strategica e il paese riveste un ruolo importante nelle prospettive di crescita economica del regno, anche per quel che riguarda lo sviluppo infrastrutturale. Negli ultimi mesi la cooperazione fra i due paesi si è concentrata sulla fornitura di vaccini contro il Covid-19, prodotti dal gruppo farmaceutico cinese Sinopharm. A luglio il Marocco ha annunciato un progetto di produzione nazionale di circa 5 milioni di dosi al mese del vaccino cinese.
[1] I. Bellalouali, “Maroc: des législatives avec des élus sans grand pouvoir de decision”, TV5 MONDE, 1 settembre 2021.
[2] “Au Maroc, l’homme d’affaires Aziz Akhannouch nommé chef du gouvernement”, Le Monde avec AFP, 10 settembre 2021.
[3] F. Bobin, « Au Maroc, victoire dans les urnes des partis proches du roi au détriment des islamistes”, Le Monde, 9 settembre 2021.
[4] Le Nouveau Modèle de Développement, Rapport général, Commission Spéciale sur le Modèle de Développement
[5] The World Bank, Morocco Overview.
[6] Anche per palliare questo cronico problema, nel 2019 è stata reintrodotta la leva obbligatoria di un anno (già abolita nel 2006).
[7] “Maroc : la couverture sociale généralisée mise en œuvre”, Le Point Afrique, 16 aprile 2021.
[8] Y. Abouzzohour, Progress and missed opportunities: Morocco enters its third decade under King Mohammed VI, Report, Brookings, 29 luglio 2020.
[9] K. Mbaye, “Informel: l’économie souterraine recule, mais inquiète toujours”, Les Inspirations éco, 17 gennaio 2021.
[10] “Tourisme: les recettes touristiques en baisse cette année”, Les Inspirations éco, 22 giugno 2021.
[11] Nell’autunno 2016 forti proteste erano esplose nella regione settentrionale del paese (catalizzate intorno al movimento Hirak al-Rif, sorto a seguito della morte di un venditore di pesce nel tentativo di recuperare la merce che le forze dell’ordine gli avevano requisito) cui era seguita una violenta ondata di repressione.
[12] Amnesty International, Report – Morocco and Western Sahara 2020.
[13] Human Rights Watch, Morocco/Western Sahara Events of 2020.
[14] È la prima volta che l’Algeria rompe unilateralmente le relazioni diplomatiche con il Marocco (la precedente crisi del 1976-1988 era stata infatti decisa a Rabat dopo il riconoscimento algerino della Repubblica araba sahrawi democratica). Le frontiere terrestri fra i due paesi sono chiuse dal 1994, su deliberazione algerina, dopo la decisione del Marocco di imporre un visto di entrata ai cittadini algerini in seguito agli attentati all’hotel Atlas-Asni di Marrakesh il 24 agosto dello stesso anno. Il Marocco ha più volte domandato la riapertura delle frontiere.
[15] Yair Lapid sarà primo ministro nel biennio 2023-2025 se il patto di coalizione sottoscritto con Naftali Bennet verrà rispettato. Per questo motivo la visita dell’agosto 2021 assume una maggiore rilevanza.
[16] R. Gonzáles, “La ruptura entre Marruecos y Argelia eleva la tensión en el Magreb”, El País, 27 agosto 2021.
[17] Fra questi, apparentemente anche il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron. La Francia è uno dei principali alleati del regno alauita.
[18] Cittadino tedesco-marocchino, islamista radicale, che sui social network esorta regolarmente i marocchini a ribellarsi contro la monarchia.
[19] F. Peregil e E.G. Sevillano, “La tensión por el Sáhara Occidental deja en el aire la ayuda al desarrollo de Berlín a Rabat”, El País, 18 giugno 2021.
[20] Anche il capo di gabinetto di González Laya, Camilo Villarino, si è visto revocare la nomina come ambasciatore a Mosca dal nuovo ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares.
[21] I. Cembrero, “Mohamed VI se declara dispuesto a dejar atrás la crisis con España”, El Confidencial, 21 agosto 2021.