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Focus Mediterraneo allargato n.14

Marocco: se la pandemia aumenta le disuguaglianze

Lorena Stella Martini
23 settembre 2020

Nonostante un iniziale contenimento dei contagi da Covid-19, legato a una tempestiva chiusura delle frontiere e alla pronta adozione di misure preventive, il Marocco non è certo esente dalle pesanti conseguenze socio-economiche derivanti dall’emergenza sanitaria, tutt’al più ora che i casi di Covid-19 sono in rapida crescita. La crisi sembra esacerbare le profonde disuguaglianze ancorate nel tessuto socio-economico marocchino, rimarcandone i problemi strutturali alla vigilia di un anno elettorale che si preannuncia estremamente delicato e cruciale per gli equilibri del paese. D’altro canto, gli ultimi mesi hanno messo in luce come in situazioni di difficoltà si affermino con ancora più forza il ruolo e l’immagine iconica della monarchia, sulla quale ricade la titolarità delle iniziative di rilancio dell’economia e di sostegno sociale. Dal punto di vista delle relazioni esterne, la pandemia sembra aver fornito un’occasione per consolidare alcuni assi della politica estera marocchina, quali i rapporti con la Cina e i paesi dell’Africa subsahariana. Nel quadro delle crisi nei paesi limitrofi, Rabat cerca progressivamente di affermarsi sul piano locale e internazionale come interlocutore serio e affidabile, promotore di sicurezza e stabilità.

 

Quadro interno

Dopo una gestione piuttosto ben riuscita della prima fase dell’emergenza sanitaria scatenata dal Covid-19, che ha valso a Rabat dei riconoscimenti a livello internazionale per la sua capacità di contenere la diffusione del virus, la fase di deconfinamento in Marocco è invece stata caratterizzata da un esponenziale aumento dei contagi, seppur in numeri ancora contenuti rispetto ai vicini paesi europei. Nella prima metà di settembre 2020, si parla di circa 88.000 casi confermati da inizio marzo, di cui più di 1.600 decessi, una situazione che ha spinto le autorità a prolungare lo stato di emergenza sanitaria in vigore dallo scorso marzo di un altro mese, sino al 10 ottobre 2020.

In occasione del discorso reale per il 67° anniversario della rivoluzione del re e del popolo[1], tenutosi come ogni anno il 20 agosto, re Mohammed VI ha constatato l’aggravarsi delle condizioni in seguito alla fine del lockdown, ammonendo i sudditi riguardo a comportamenti irrispettosi delle misure prese dalle autorità, giudicati inspiegabili in considerazione degli sforzi dello stato per rendere i dispositivi di prevenzione quanto più accessibili a tutti. Per il momento, misure maggiormente restrittive sono poste in essere nelle zone più colpite, come la città di Casablanca, ove all’aumentare dei casi è stata tempestivamente imposta la chiusura delle scuole, il coprifuoco per i cittadini e gli esercizi commerciali, e la limitazione degli spostamenti da e per la città. Nel caso in cui la situazione di emergenza nel regno dovesse rimanere immutata, il re non ha peraltro escluso l’eventualità di un ritorno trasversale al confinamento, con ricadute sociali ed economiche estremamente gravi per il paese, che sta già soffrendo delle conseguenze del primo lockdown.

Secondo la nota strategica sulle ripercussioni sociali ed economiche dovute alla pandemia in Marocco rilasciata ad agosto 2020 dall’Haut-Commissariat au Plan (Hcp), dal circuito delle Nazioni Unite in Marocco e della Banca mondiale[2], nel terzo trimestre 2020 il prodotto interno lordo (Pil) del paese avrebbe conosciuto una decrescita del 4,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; un risultato, questo, che rappresenta già un’evoluzione positiva rispetto al -13,8% del trimestre precedente, e che è principalmente dovuto alla parziale ripresa delle attività commerciali e manifatturiere e dei trasporti. Considerando in modo globale la situazione economica del paese, compreso il rallentamento del settore agricolo dovuto a un periodo di forte siccità che ha ridotto la produzione cerealicola nazionale del 39%, l’Hcp prevede per il 2020 una contrazione del Pil del 5,8%, segnando dunque la prima recessione marocchina dal 1996. A questo dato poco confortante contribuiscono, tra gli altri fattori, la crisi economica che tocca i partner commerciali del Marocco, in primis i paesi europei, e le difficoltà del settore del turismo, con un crollo stimato del 69% degli arrivi per il 2020. P-er cercare quanto possibile di arginare questo problema, il 7 settembre sono state riaperte le frontiere marocchine ai turisti stranieri che abbiano effettuato un tampone negativo nelle 48 ore precedenti, che dispongano di una prenotazione alberghiera e non necessitino di un visto per entrare in Marocco, nonché ai professionisti stranieri in missione presso aziende locali, previa lettera di invito.

Secondo la Banca mondiale, questa situazione determinerà nel paese un aumento della popolazione povera e di quella vulnerabile alla povertà; si teme inoltre che la crisi scatenata dalla pandemia, che sta pesando in particolar modo sulle classi sociali svantaggiate, sui lavoratori informali e sui migranti, possa portare a un’ulteriore esacerbazione delle disparità socio-economiche che già caratterizzano il regno. In questo quadro, una congiuntura particolarmente critica si sta verificando a nord del Marocco, ove la chiusura delle frontiere con le due enclave spagnole di Ceuta e Melilla sta costando molto cara a migliaia di lavoratori marocchini transfrontalieri.

Di fronte a questa crisi multidimensionale, lo stato si è mostrato negli ultimi mesi particolarmente interventista, e su questa stessa linea si confermano le ulteriori iniziative assistenziali e di rilancio economico annunciate nel corso dell’estate. Dopo la creazione a inizio della crisi di un Fondo speciale per la gestione del Covid-19, che ammontava ad agosto a ben 33,7 miliardi di dirham – tra questi, più di 24 sono stati dedicati al rafforzamento del sistema sanitario e alle misure di accompagnamento sociale, tra cui il sussidio per i lavoratori del settore informale – durante il discorso del Trono del 29 luglio 2020 Mohammed VI ha annunciato il piano strategico per i mesi a venire[3].

Tre sono gli assi prioritari, che si riflettono poi nel progetto della Legge finanziaria 2021: si parla innanzitutto di un programma di rilancio economico, che prevede l’immissione nell’economia nazionale di 120 miliardi di dirham, di cui 45 miliardi destinati a un neonato Fondo di investimento strategico finalizzato al sostegno delle attività produttive e dei progetti di Partenariato pubblico privato (Ppp), e 75 miliardi dedicati alla garanzia dei crediti bancari di impresa. Secondariamente, facendo seguito all’intenzione di aumentare i dispositivi di protezione sociale già proclamata nel 2018, Mohammed VI ha annunciato un piano prioritario di riorganizzazione e generalizzazione del sistema di previdenza sociale a tutti i cittadini, da realizzare entro il 2025, il cui costo complessivo dovrebbe ammontare a 10-15 miliardi di dirham l’anno.

È anche in previsione di questi ingenti investimenti che si articola il terzo asse strategico, ovvero la riforma del settore pubblico in ottica di una sua maggiore efficacia e di una razionalizzazione delle spese, misure che dovrebbero incoraggiare una progressiva digitalizzazione della pubblica amministrazione e un crescente uso delle energie rinnovabili. Un’indicazione, quest’ultima, in linea con i progetti energetici del paese, leader arabo e africano del settore, ove 35% dell’energia elettrica nel 2018 proveniva da fonti rinnovabili, e ove sussiste l’obiettivo di raggiungere il 52% entro il 2030[4].

Questo momento cruciale per la gestione dell’emergenza legata alla pandemia di Covid-19 giunge d’altronde in un momento politico chiave per il paese: siamo infatti alle porte di un cosiddetto “anno elettorale”, poiché si terranno nel 2021 tanto le elezioni legislative quanto quelle dei 32.000 rappresentanti dei consigli territoriali marocchini, che comprendono le regioni, le province, le prefetture, i comuni e le camere professionali. L’avvicinamento degli appuntamenti elettorali ha generato un dibattito sulla possibilità di posticipare le consultazioni al fine di risparmiare l’enorme cifra che la messa in moto della macchina elettorale costerebbe al paese – si parla di quasi 3 miliardi di dirham – in un momento che, come abbiamo visto, si delinea particolarmente difficile dal punto di vista economico. Sono inoltre emerse tra i partiti alcune proposte, che non hanno però incontrato grande consenso, di procedere con la nomina di un governo tecnocratico di unità nazionale volto a gestire il post-crisi, una congiuntura estremamente delicata che richiederebbe innanzitutto stabilità e una governance efficace.

D’altronde, negli ultimi anni la vita dell’esecutivo non è stata esattamente lineare: dopo la vittoria dell’islamista Parti de la justice et du développement (Pjd) alle elezioni legislative del 2016, il capo del governo uscente e segretario del Pjd Abdelilah Benkirane ha ricevuto l’incarico di formare un nuovo governo di coalizione; dopo ben cinque mesi di tentate negoziazioni, che hanno lasciato il paese in uno stallo politico e istituzionale, il re ha conferito l’incarico all’attuale segretario del Pjd, lo psichiatra Saad-Eddine El-Othmani, che in pochi giorni ha formato un governo di compromesso la cui maggioranza contava su ben sei partiti, e ove l’influenza islamista è stata particolarmente mitigata da partiti vicini al palazzo, da tecnocrati e da forze di diverso colore. Tuttavia, anche questo governo non ha avuto lunga vita: nel discorso del Trono di luglio 2019, in occasione dei vent’anni del suo regno, Mohammed VI ha annunciato la messa in atto di un nuovo modello di sviluppo per il paese[5], volto a incoraggiare la crescita, eliminare le disuguaglianze socioeconomiche e spaziali e perseguire la giustizia sociale. L’annuncio di questa nuova fase è stato accompagnato, per volere del sovrano, da un rinnovamento all’insegna della competenza e del merito tanto in seno al governo quanto all’amministrazione: seguendo queste indicazioni, a ottobre 2019 El-Othmani ha presentato al re un nuovo esecutivo, ridotto a 24 dicasteri e caratterizzato dalla presenza di personalità inedite e di quattro donne a capo di ministeri. Grande assente di questo esecutivo è il Parti du progrès et du socialisme (Pps): presenza fissa sin dal governo di alternanza del 1998, il partito socialista ha abbandonato la maggioranza poiché convinto dell’incapacità del nuovo governo di assolvere ai suoi compiti e di fornire una risposta alle rivendicazioni sociali ed economiche della popolazione.

Un ruolo fondamentale in seno al programma volto a porre in essere un modello di sviluppo alternativo è inoltre giocato da un’apposita commissione speciale, organo consultativo incaricato di proporre iniziative di riforma coerenti, fattibili e in linea con la situazione e gli obiettivi del paese, con particolare focus su settori fondamentali quali l’educazione, la sanità, l’agricoltura e il sistema fiscale. Il suo mandato è recentemente stato rinnovato sino a gennaio 2021, di modo da integrare nei lavori le ripercussioni della crisi legata alla pandemia.

Il secondo governo El-Othmani ha ereditato dai precedenti un’annosa riforma del codice penale, lanciata nel 2015 con il governo Benkirane e mai portata a compimento; il testo di riforma, bloccato al parlamento dal 2016, è stato rimesso in discussione proprio negli ultimi mesi del 2019, accompagnato da un interessante dibattito accesosi in seno alla società civile in merito alle libertà individuali legate all’ambito della sessualità e della libera disposizione del proprio corpo – ricordiamo che il codice penale marocchino prevede tuttora sanzioni per le relazioni sessuali fuori dal vincolo del matrimonio e l’omosessualità, mentre il ricorso all’aborto è sottoposto a severe restrizioni. La riforma del codice penale, che appare bloccata anche dalle disposizioni in materia di arricchimento illecito e che dovrebbe contribuire ad attenuare il sovrappopolamento carcerario grazie all’inserimento di pene alternative, è stata rimessa all’ordine del giorno a inizio settembre dopo uno stallo durante i primi mesi della pandemia.

Nel campo delle libertà individuali, grande risonanza nazionale e internazionale sta peraltro avendo negli ultimi mesi il caso di Omar Radi, giornalista indipendente detenuto con accuse di stupro e minaccia alla sicurezza nazionale, il cui processo è previsto per il prossimo 22 settembre. Radi, che nel 2011 ha partecipato al Movimento 20 febbraio e si è occupato negli ultimi anni di temi particolarmente sensibili quali le rivolte nella regione del Rif, rappresenta secondo una grossa fetta della società civile marocchina e dell’opinione internazionale l’ultimo di una serie di casi di giornalisti le cui voci critiche sono silenziate dal regime con accuse non direttamente legate al loro lavoro ed estremamente screditanti, spesso relative alla sfera sessuale.

In questa complessa cornice, è dunque evidente che il futuro esecutivo che si formerà nel 2021 dovrà affrontare numerose sfide, cui si aggiungono le difficoltà legate all’emergenza sanitaria, che sembra aver esacerbato i problemi strutturali del paese.

 

Relazioni esterne

Negli ultimi anni, il Marocco si è impegnato in una politica estera molto diversificata, nel tentativo di affermarsi in modo quanto più indipendente sullo scacchiere internazionale, sfruttando la propria posizione geostrategica alle porte dell’Africa e dell’Europa. Questo dinamismo sembra tanto più lungimirante in questa congiuntura, considerando il forte impatto che la pandemia sta avendo sul Vecchio Continente, con cui il Marocco ha intessuto da anni un solido rapporto di cooperazione su più livelli.

L’Unione europea (Ue), che si conferma di gran lunga il primo partner commerciale del regno alauita[6], ha rinnovato il suo ormai ben consolidato sostegno al Marocco a fine 2019, lanciando nuovi programmi di cooperazione bilaterale finalizzati a promuovere lo sviluppo inclusivo e il processo di riforma nel paese nordafricano per un importo totale di 289 milioni di euro; a ciò si aggiunge un programma di sostegno alla gestione delle frontiere, volto a combattere la migrazione irregolare e a sensibilizzare la popolazione più giovane sui suoi rischi, per un importo di 101,7 milioni di euro[7]. Nelle parole dell’Alto rappresentante dell’Ue Joseph Borrell, questi programmi mirano a un orizzonte cooperativo più ampio della sola cooperazione bilaterale, che possa in prospettiva ramificarsi anche nel continente africano; un obiettivo, questo, in linea con la progressiva proiezione marocchina verso i paesi dell’Africa subsahariana, che privilegia tanto la cooperazione Sud-sud quanto la cooperazione triangolare.

Di fatto, considerando la scarsa integrazione politica ed economica tra i paesi del Maghreb, e seguendo la volontà di limitare un’eccessiva dipendenza dall’Ue e più in generale dagli alleati occidentali, negli ultimi anni Rabat ha rivolto una grande attenzione verso Sud e verso le promettenti prospettive di crescita dei paesi dell’Africa subsahariana in generale, e dell’Africa occidentale in particolare. Qui l’approccio marocchino si sta dimostrando particolarmente assertivo, articolandosi in una massiccia politica di investimenti, fortemente incoraggiati dal ministero del Commercio, con un focus sul settore bancario, delle telecomunicazioni e dei fertilizzanti, ambito in cui il regno può vantare una grossa esperienza in quanto leader nella produzione ed esportazione di fosfati. La proiezione africana del Marocco si è confermata anche durante la pandemia: Rabat ha inviato aiuti medico-sanitari a ben quindici paesi dell’Africa subsahariana, coltivando il proprio soft power nel continente attraverso un’iniziativa di solidarietà africana in seno all’emergenza sanitaria.

Le varie iniziative intraprese dal Marocco nell’ambito della cooperazione sud-sud sono da inquadrare nella cornice del ritorno del paese in seno all’Unione africana (Ua) a inizio 2017, dopo un’assenza di ben 33 anni motivata da dispute legate al dossier del Sahara occidentale. Una questione, quella dei territori che Rabat definisce “provinces du Sud”, che rimane tutt’oggi assolutamente prioritaria per il paese, che diversificando le proprie relazioni estere cerca infatti anche di raccogliere quanto più sostegno internazionale per la causa, in particolar modo nel continente africano. Nel corso del 2020 numerosi stati africani hanno aperto consolati nella regione, riconoscendo de facto la sovranità marocchina su quei territori, una mossa che ha particolarmente indispettito Algeri.

Le relazioni marocchino-algerine sono infatti tese da decenni principalmente a causa della disputa sul Sahara occidentale, ove l’Algeria sostiene il Fronte Polisario e l’autodeterminazione della popolazione Sahrawi; in questo frangente, la diplomazia marocchina insiste invece da anni sul cosiddetto “piano di autonomia” della regione, che garantirebbe l’integrità territoriale del Marocco. La necessità delle parti di sedersi al tavolo negoziale è stata recentemente ribadita dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha esortato l’Algeria ad assumere il ruolo che le compete in quanto parte interessata del conflitto. Negli ultimi mesi, il rapporto tra i due vicini, il cui confine terrestre è chiuso dal lontano 1994, si è dimostrato progressivamente teso; a ciò sembra aver contribuito la recente decisione di Rabat di aprire una base militare a Jerada, vicino alla frontiera condivisa, che Algeri ha percepito come una minaccia e cui ha risposto annunciando la volontà di costruire due basi militari dalla sua parte del confine e organizzando una serie di esercitazioni militari nell’area.

Anche la situazione in Libia non sta giovando a una distensione tra Algeria e Marocco, considerando che entrambi sembrano voler affermare il proprio ruolo chiave nella fase negoziale del conflitto; in particolare, sulla scia dell’accordo di Skhirat del 2015, Rabat si sta impegnando per promuoversi come mediatore neutrale e affidabile, puntando tutto su una soluzione intra-libica, senza interferenze esterne. In questo quadro, a fine luglio il ministro marocchino degli Affari esteri, Nasser Bourita, ha incontrato separatamente Aguila Saleh Issa, presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, e Khaled Machri, presidente dell’Alto Consiglio di Stato Libico; è sempre in Marocco, nella città di Bouznika, che le due delegazioni si sono poi incontrate faccia a faccia a inizio settembre per il Libyan Dialogue, con l’obiettivo di aprire i negoziati di pace. L’impegno del Marocco sul dossier libico è stato salutato anche dal capo della Missione d’appoggio delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil); è d’altronde nel framework Onu che Mohammed Aujjar, ex-ministro della Giustizia del primo governo El-Othmani, è stato eletto presidente della Missione d’inchiesta indipendente dell’Onu sulla Libia, atta ad accertare le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario nel conflitto libico.

La ricerca della stabilità regionale ha guidato Rabat anche in Mali: dopo alcuni tentativi di mediazione della crisi maliana nel corso dell’estate, il Marocco è stato il primo paese a prendere contatti con il presidente del Comité National pour le salut du peuple (Cnsp), Assimi Goita, salito al potere a Bamako dopo il colpo di stato dello scorso agosto, auspicandosi che il paese possa avviarsi verso una transizione pacifica e civile e tornare in fretta a un ordine costituzionale. Rabat considera infatti la stabilità del Mali come un tassello cruciale e prioritario per la più generale stabilità e sicurezza del Sahel, per garantire la quale si è assiduamente impegnato negli ultimi anni, in particolare in collaborazione con il G5 Sahel[8].

Un altro importante asse della politica estera marocchina è quello con Pechino, consolidatosi in occasione della visita di Mohammed VI in Cina nel 2016, quando è stato firmato un partenariato strategico tra i due stati; nel 2017, il Marocco è stato il primo paese africano ad aderire al progetto intercontinentale cinese One Belt One Road (Obor), in seno al quale la sua posizione strategica è considerata cruciale. L’intesa tra Marocco e Cina, che si è confermata durante la pandemia grazie al vicendevole sostegno in materia di equipaggiamento sanitario e alla condivisione dell’expertise cinese nella gestione dell’emergenza, si è recentemente rafforzata tramite la firma di due accordi di cooperazione in materia di sviluppo del vaccino per il Covid-19 tra Rabat e la più grande compagnia farmaceutica nazionale cinese, Sinopharm. Nelle parole di Bourita, questi accordi consacrano inoltre una cooperazione globale, che vada poi a trascendere la sola dimensione bilaterale per aprirsi anche a sud e a nord; ciò inserisce il rapporto tra i due paesi in un orizzonte più ampio, che ben risponde alle prospettive di politica estera del regno alauita.

Se da una parte la relazione con Pechino soddisfa la volontà del Marocco di moltiplicare i suoi interlocutori nell’arena internazionale, cercando dunque di ridurre il peso dell’influenza occidentale, d’altro canto Rabat dovrà cercare di destreggiarsi al meglio nei suoi rapporti internazionali, mantenendo un equilibrio tra la progressiva intesa con la Cina, la cooperazione di lunga data con l’Ue e il solido partenariato strategico con gli Stati Uniti. Proprio in virtù di questa stretta relazione, Rabat è soggetta ai tentativi di pressione di Washington, che dopo la mediazione dell’accordo tra gli Emirati Arabi Uniti (Eau) e Israele si auspica che il Marocco possa essere tra i prossimi paesi a normalizzare le relazioni con Tel Aviv. Le speculazioni sulla questione sono rimbalzate sui media internazionali e marocchini, ove la plausibilità di un accordo è stata attribuita alle relazioni commerciali già in auge tra i due paesi, alla presenza sul suolo marocchino di un’ormai ristretta ma ben radicata comunità ebraica e soprattutto all’eventualità di barattare questo accordo con il sostegno americano sulla questione del Sahara occidentale.

Seppur parlando in qualità di segretario del Pjd e non di capo del governo, El-Othmani ha smentito categoricamente le voci su una possibile normalizzazione dei rapporti con Israele. Si tratta di una dichiarazione, accolta peraltro con grande favore da Hamas, che si trova in linea con il consueto sostegno marocchino alla causa palestinese e con i recenti passi di Rabat, che aveva preso le distanze dalla proposta di Donald Trump di firmare un patto di non aggressione con Israele lo scorso dicembre, rifiutando inoltre di ricevere sul territorio marocchino il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Anche parte dell’opinione pubblica non sembra favorevole a un eventuale avvicinamento con Israele; a conferma di ciò, alcuni attivisti per i diritti umani, rappresentanti sindacali, esponenti islamisti e della sinistra hanno firmato una petizione per opporsi alla prospettata visita in Marocco del consigliere di Trump, Jared Kushner, che ha intrapreso tra agosto e settembre un viaggio che tocca numerosi paesi arabi, con l’obiettivo di capitalizzare l’accordo tra Israele e gli Eau e raccogliere possibili nuove aperture in questa direzione prima dell’eventuale cambiamento nell’amministrazione statunitense.

 

[1]Discours Royal à l’occasion du 67-ème anniversaire de la Révolution du Roi et du Peuple, 20 agosto 2020.

[2] Haut-Commissariat au Plan, Système des Nations Unies au Maroc, Banque Mondiale, “Note stratégique- Impact sociale et économique du Covid-19 au Maroc”, luglio 2020.

[3]Discours à la Nation à l’occasion de la Fête du Trône, 29 luglio 2020. 

[4] T. Bazza, “35% of Moroccan Electricity Came from Renewable Sources in 2018”, Morocco World News, 10 gennaio 2019.

[5]Texte intégral de SM le Roi Mohammed VI adressé à la Nation à l'occasion de la Fête du Trône, 29 luglio 2019.

[6] European Commission, “Morocco- Trade figure”.

[7] “The EU is boosting its support to Morocco with new programmes worth €389 million”, European Commission (comunicato stampa), 20 dicembre 2019.

[8] Cfr. in merito “Analisi focus paese - Marocco” in Focus Mediterraneo allargato n. 6, ISPI per l’Osservatorio di Politica Internazionale del Parlamento Italiano e del MAECI, gennaio 2018.

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AUTORI

Lorena Stella Martini
Università degli Studi di Torino e UM6P

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