Conclusa a Roma l’ottava edizione della Conferenza Rome MED – Mediterranean Dialogues. Area stategica in cerca di stabilità, l’Italia ponte tra il Mediterraneo e l’Europa.
“L'Italia è cerniera e ponte naturale energetico fra il Mediterraneo e l'Europa, in virtù di una posizione geostrategica particolare, delle sue infrastrutture e del prezioso contributo dato anche dalle proprie imprese”. Lo ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo intervento all’Ottava edizione di MED - Mediterranean Dialogues conclusosi oggi a Roma e promosso come ogni anno da ISPI e MAECI. “L'Italia è fortemente impegnata con questo governo a rafforzare il suo ruolo nel Mediterraneo - ha detto la presidente del Consiglio - Siamo consapevoli di come solo creando uno spazio di prosperità condivisa potremo attraversare in modo efficace le troppe sfide epocali, dalla salute ai cambiamenti climatici.” Ci vuole più Europa sul fronte sud, da soli non possiamo gestire un flusso con dimensioni ormai ingestibili - ha aggiunto - Occorre che l'Europa realizzi con urgenza un quadro di cooperazione multilaterale, con un incisivo contrasto ai flussi illegali. Tassello indispensabile è l'europeizzazione nella gestione dei rimpatri". Per Meloni “una solida geopolitica del dialogo si può costruire e consolidare solo muovendo dalla consapevolezza delle nostre identità culturali e valoriali, dalla constatazione che la nostra prosperità non è possibile se non c'è anche quella dei nostri vicini” ha affermato.
Guerra, variabile decisiva?
La guerra in Ucraina è una variabile da cui dipende la stabilità dell’area Mediterranea. Il conflitto infatti rischia di alimentare l’insicurezza e le sfide della regione: immigrazione, povertà diffusa, insicurezza alimentare, scarsità di risorse energetiche possono essere evitate solo attraverso una reale cooperazione tra gli Stati e investendo sulla ricerca di soluzioni comuni per un benessere condiviso. “I paesi arabi e del bacino mediterraneo sono stati colti alla sprovvista dal conflitto in Ucraina – ha spiegato il vicesegretario della Lega Araba Hossam Zaki – tuttavia la nostra esigenza di preservare le ottime relazioni con entrambi i paesi coinvolti non ci ha consentito di aderire alle posizioni sostenute dall’Europa, come quest’ultima avrebbe auspicato”. Dall’incontro di Roma tuttavia si è levato, forte, l’auspicio dei paesi mediterranei per la fine del conflitto. “Tutti stiamo soffrendo a causa di questa guerra. Ucraini, europei e anche noi nei paesi del Nord Africa – ha insistito Ouided Bouchamaoui, imprenditrice ed esponente del Quartetto per il dialogo nazionale tunisino – è tempo di orientare tutti i nostri sforzi nella stessa direzione: quella che porti verso l’interruzione delle violenze”.
Insicurezza alimentare, minaccia da disinnescare?
Tra le sfide principali che i paesi dell’area MENA si trovano ad affrontare, c’è quello dell’insicurezza alimentare. Sebbene negli ultimi mesi i prezzi dei generi abbiano iniziato a diminuire, la regione sta affrontando le conseguenze della terza crisi dei prezzi in 15 anni, sullo sfondo di una situazione piuttosto deteriorata: in Medio Oriente e Nord Africa, il numero di persone denutrite ha raggiunto 45,8 milioni nel 2021; nel Sahel, nei prossimi mesi si prevede un numero senza precedenti di persone in condizioni di insicurezza alimentare, mentre la regione vive il terzo anno consecutivo di una grave crisi alimentare e nutrizionale. Le interruzioni nel commercio globale di alimenti rischiano di diventare sempre più comuni negli anni a venire, con la minaccia del riscaldamento globale che incombe. Ridurre la dipendenza dalle importazioni alimentari e costruire sistemi alimentari sostenibili è una priorità, come lo è aumentare la produzione locale investendo sulla resilienza delle filiere nazionali.
Immigrazione: soluzioni, non muri?
Strettamente collegata alla questione alimentare è quella dei flussi migratori. Una sfida che “non si può risolvere costruendo muri” ha sottolineato il ministro degli Esteri della Giordania Ayman Safadi, secondo cui bisogna invece fornire agli stati “ aiuti concreti per affrontare il transito dei migranti, risolvere le crisi che li spingono ad andare via, prevedere e prosciugare le risorse che finanziano il traffico di esseri umani”. Il tema chiama direttamente in causa un paese in particolare: la Libia. Per la ministra degli Esteri di Tripoli Najla Al Mangush, “motovedette e Guardia costiera non sono la soluzione, che deve essere onnicomprensiva”. “La Libia non è l’obiettivo di questi migranti che passano per il nostro paese cercando di raggiungere l’Europa in cerca di una vita migliore”, ha detto la ministra, indicando due “passi pratici” da cui iniziare: “Primo, dobbiamo lavorare con i Paesi africani e fornire fondi per lo sviluppo e creare opportunità di sviluppo. Secondo, servono risorse ed attrezzature per controllare e mettere in sicurezza i confini (meridionali)”. D’altra parte, l’idea che possano bastare degli investimenti europei in Africa per portare sviluppo e bloccare i migranti nei Paesi di origine è “irrealistica”, ha denunciato il presidente del Niger, Mohamed Bazoum. Lo sviluppo dell’Africa è “qualcosa di assai più complesso del tema dell’immigrazione”, ha spiegato, proponendo “un accordo basato sul numero di africani dei quali ogni paese europeo ha bisogno per il suo mercato del lavoro”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online