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INFRASTRUTTURE

Mediterraneo di nuovo al centro

Alessandro Gili
11 novembre 2022

In un momento di grandi accelerazioni a livello globale, l’area del Mediterraneo acquisisce una rinnovata centralità geopolitica e geoeconomica per affrontare le sfide poste dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, che ha innescato la crisi energetica in Europa. La pandemia ha invece ridefinito le tendenze generali del commercio, accelerando la tendenza ad accorciare le catene di approvvigionamento. La produzione just in time con fornitori globali è stata parzialmente sostituita da un'attenzione alle catene del valore regionali più brevi, più vicine ai mercati di consumo. Molte imprese stanno progressivamente riducendo parte della loro produzione in Asia, trasferendola in aree industriali dell'area mediterranea, soprattutto in Turchia, Egitto e Tunisia, anche per ridurre il rischio di futuri shock globali. Ciò rafforza il processo di integrazione verticale del trasporto marittimo con la produzione e rende più positive le prospettive per le rotte marittime a corto raggio del Mediterraneo. Near-shoring e friend-shoring sono parole d'ordine che potrebbero ben essere applicate alle relazioni nell'area mediterranea, ma è fondamentale che i Paesi della regione traggano vantaggio da un quadro diversificato di relazioni economiche, industriali e commerciali con un approccio di ridondanza, piuttosto che concentrarsi sulla dipendenza da un singolo fornitore e di conseguenza aumentare i rischi.

 

Connettività da migliorare in chiave green

Tuttavia, le catene di approvvigionamento sono difficili da creare e da delocalizzare e, per essere efficienti, richiedono anche una buona dotazione di infrastrutture. Questa è infatti la prima sfida. I corridoi commerciali emergono solo quando grandi investimenti in infrastrutture portuali e ferroviarie sono abbinati a una base industriale sostenuta da una catena di valore manifatturiero. In questo senso, abbiamo assistito a progressi con la creazione di Zone Economiche Speciali (ZES), in particolare in Marocco e in Egitto, dove regolamenti speciali e crediti d'imposta, nonché l'orientamento alla riesportazione, hanno migliorato le prospettive economiche. Queste ZES sono di solito più resistenti agli shock finanziari e contribuiscono alla stabilità del commercio; inoltre possono adottare prontamente politiche di prezzo in risposta alla domanda del mercato. La Tanger MED Zone, la Zona Economica del Canale di Suez e la Mersin Zone in Turchia hanno attratto investimenti stranieri anche in settori ad alta tecnologia, come quello automobilistico, dell'idrogeno e della produzione meccanica.

Storicamente, la regione MENA ha un tasso di partecipazione alle catene globali del valore inferiore rispetto ad altre aree del mondo. Ciò è dovuto anche alla sua tradizionale scarsa connettività infrastrutturale, come dimostrano i principali indicatori forniti dal Logistic Performance Index della Banca Mondiale.

In questo quadro generale, i Paesi del Sud del Mediterraneo hanno recentemente iniziato a investire con decisione in progetti di connettività, dai collegamenti ferroviari alle infrastrutture marittime. Oltre a migliorare la competitività, gli investimenti nella connettività ferroviaria sono fondamentali per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio che molti Paesi della regione stanno definendo come priorità nazionali (secondo l'Agenzia Internazionale dell’Energia, il trasporto ferroviario richiede 12 volte meno energia ed emette fino a 11 volte meno gas serra rispetto all'aviazione o ai veicoli privati). Per quanto riguarda gli investimenti ferroviari, l'Egitto è in testa con 66 miliardi di dollari di investimenti in progetti ferroviari ad alta velocità, seguito dall'Algeria con 22 miliardi e dal Marocco con 13 miliardi. Gli investimenti ferroviari, in particolare, saranno fondamentali per creare le condizioni infrastrutturali necessarie allo sviluppo di catene del valore regionali nella sponda meridionale che potrebbero collegare i principali porti in fase di progressivo sviluppo, con l'obiettivo finale di creare una piattaforma logistica comune nel bacino del Mediterraneo e incrementare le relazioni commerciali.

In termini di infrastrutture di trasporto, la sezione centrale dell'Asse autostradale trans-maghrebino - attualmente in costruzione - sarà di importanza strategica per collegare meglio Marocco, Algeria e Tunisia. Il Marocco sta ampliando la sua linea Boraq, che sta già fornendo la spina dorsale di trasporto via terra di una catena industriale Africa-Europa guidata dalla Francia. Inoltre, la rete di trasporto Turchia-Italia-Tunisia, di recente formazione, potrebbe creare una vasta area di connettività commerciale che comprenda l'intera area mediterranea. Infine, il corridoio commerciale mediterraneo incentrato sull'Egitto si concentrerà sulla connettività ferroviaria, dal momento che il Paese ha dato priorità al passaggio del trasporto commerciale dalla strada alla ferrovia.

Nei possibili processi di regionalizzazione e di near-shoring, i porti e le infrastrutture marittime svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere la connettività Nord-Sud e nel fornire la spina dorsale dell'integrazione regionale, con un aumento vertiginoso del trasporto marittimo a corto raggio. Negli ultimi anni l'area del Mediterraneo ha assistito allo sviluppo di importanti porti, in particolare con nuovi hub di trasbordo. I porti del Mediterraneo hanno migliorato la loro efficienza e attrattiva, con una crescita media del 3,6% annuo, mentre il divario con i porti del Nord Europa è in costante diminuzione. Tanger MED sta guidando la corsa tra i porti del Mediterraneo, diventando il porto più grande con un aumento annuale del 24% dei container movimentati nel 2021, seguito da Valencia, Pireo, Algeciras e Port Said. L'area del Mediterraneo rappresenta oggi il 20% del traffico marittimo globale e il 27% del traffico di container, anche grazie al ruolo fondamentale del Canale di Suez, recentemente ampliato.

 

La questione energetica

Ma integrazione significa anche energia, soprattutto in questi tempi difficili per le forniture energetiche europee. I Paesi dell'UE, come evidenziato nella strategia REPowerEU, stanno cercando di diversificare le loro forniture di gas naturale e sono stati conclusi accordi con Algeria, Israele ed Egitto. Progetti di gasdotti come l'East MED hanno riacquistato centralità per collegare il giacimento di gas scoperto di recente al largo delle coste di Cipro, Egitto, Libano e Israele alla Grecia e all'Italia. A lungo termine, però, la svolta per le relazioni energetiche nel bacino del Mediterraneo sarà rappresentata dalle energie rinnovabili e dall'idrogeno verde. Per sbloccare l'enorme potenziale rinnovabile - 25 GW di energia rinnovabile sono già installati in Nord Africa e 10 GW di nuovi progetti sono in cantiere - è necessario istituire a breve termine una cooperazione mediterranea congiunta in questo campo. La strategia dell'UE per l'idrogeno e il piano REPowerEU prevedono che entro il 2030 la metà della domanda di idrogeno verde dell'UE sarà coperta dalle importazioni, e i Paesi del Nord Africa dovranno svolgere un ruolo cruciale in questo senso. A tal proposito va considerato, ad esempio, l’accordo di cooperazione tra UE ed Egitto su clima, energia e transizione energetica, così come la prospettiva della costituzione di una Mediterranean Hydrogen Partnership.

Inoltre, la recente revisione delle reti energetiche transeuropee (TEN-E) terrà conto dell'importanza di maggiori interconnessioni energetiche con i Paesi del Mediterraneo meridionale. Oltre alle infrastrutture energetiche per la produzione di elettricità e idrogeno, è necessario costruire nuovi gasdotti verdi attraverso il Mediterraneo (e adattare progressivamente quelli esistenti) per trasportare l'idrogeno nei Paesi europei, mentre i cavi elettrici sottomarini, come l'Interconnector Elmed (tra Italia e Tunisia) e l'Interconnector Euro-Africa (tra Egitto, Grecia e Cipro), saranno fondamentali per garantire un panorama energetico integrato e forniture di energia rinnovabile all'Europa.

Questo tipo di investimenti è il presupposto per lo sviluppo di catene del valore regionali pienamente sostenibili. Per operare in tal modo, le imprese hanno bisogno che la produzione e il trasporto in entrambe le sponde del Mediterraneo siano coordinati e sostenibili dal punto di vista ambientale. Inoltre, gli investimenti nella digitalizzazione e nell'automazione contribuiranno a creare catene del valore regionali competitive, migliorando il coordinamento logistico tra le due sponde, aumentando l'efficienza dei porti e aiutando a rimuovere i colli di bottiglia.

In questo senso, il Green Deal europeo e in particolare il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) saranno un potente strumento (non appena quest’ultimo diverrà operativo) per evitare il carbon leakage e per incoraggiare i produttori dei Paesi del Sud del Mediterraneo a rendere più ecologici i loro processi produttivi.

 

Le risorse necessarie e gli attori in gioco

Ma come far fronte alla crescente domanda di investimenti infrastrutturali sostenibili nella regione? Il capitale e gli investimenti necessari per colmare il gap infrastrutturale nella regione MENA sono ingenti. La regione dovrà spendere almeno l'8,2% del Pil per raggiungere gli obiettivi infrastrutturali entro il 2030. Nell'ultimo decennio, la spesa per infrastrutture è stata in media pari ad appena il 3% del Pil, con finanziamenti provenienti per lo più da fondi del settore pubblico. I vincoli fiscali imposti dalla pandemia e l'insostenibile onere del debito derivante dall'eccessivo indebitamento limiteranno la capacità dei governi di intraprendere gli investimenti infrastrutturali richiesti. Questo crea uno stimolo per il settore privato a sostenere gli investimenti infrastrutturali regionali e gli attori stranieri svolgeranno un ruolo fondamentale. In questo quadro resterà centrale il ruolo delle banche di sviluppo internazionali o regionali, come la BERD, la BEI, l’African Development Bank e la stessa Banca Mondiale, in particolare per fornire strumenti di de-risking per gli investimenti infrastrutturali da parte degli attori privati. Tuttavia, uno dei maggiori problemi risulta essere quello relativo alla progettualità, ossia alla scarsità di progetti direttamente finanziabili di buona qualità. A tal fine è necessario uno stretto coordinamento tra attori nazionali e Istituzioni internazionali per incrementare la capacità progettuale locale.

È inoltre risaputo che gli investimenti infrastrutturali hanno anche implicazioni geopolitiche. La Cina, con la sua Belt and Road Initiative (BRI), sta guidando la corsa. Dal 2013, data di istituzione della BRI, Pechino ha investito circa 75 miliardi nella sponda meridionale del Mediterraneo e 16 miliardi in Turchia. Nel bacino del Mediterraneo la Cina ha investito circa il 10% degli investimenti totali della BRI. Il 30% degli investimenti cinesi si è concentrato su trasporti e logistica e il 24% sull'energia. L'Algeria è il maggior beneficiario, con circa 27 miliardi, seguita dall'Egitto con 25 miliardi. La Cina ha anche investito nei principali porti dell'area, come Sokhna e Port Said in Egitto, il Payport Terminal di Haifa in Israele e sta investendo nella costruzione del porto di El Hamdania in Algeria.

Ma, come sappiamo, la Cina possiede importanti quote azionarie in porti come Ambarli, Marsiglia, Valencia, Vado Ligure, Trieste e soprattutto nel Porto del Pireo. Anche nelle zone franche, in particolare nel Canale di Suez, operano investitori cinesi, russi e indiani. In particolare, la Cina ha realizzato e sta potenziando l'Area di Sviluppo Economico-Tecnologico di Tianjin (TEDA) ad Ain Sokhna, con impianti cinesi che producono tessuti, materie plastiche, motocicli e siti per il riciclaggio di rifiuti. Inoltre, il gruppo indiano ReNew Power prevede un investimento di circa 8 miliardi di dollari per la costruzione di uno stabilimento per la produzione di idrogeno verde nella zona del Canale. Ma qualcosa è cambiato nel recente passato. Il G7 con il Build Back Better for the World e poi con la Partnership for Global Infrastructure and Investment sta cercando di contrastare gli investimenti infrastrutturali cinesi anche nella regione. La stessa UE ha lanciato l'anno scorso il Global Gateway, un piano da 300 miliardi di euro volto a stimolare gli investimenti infrastrutturali e la connettività nel suo vicinato. Anche la principale istituzione finanziaria dell'UE, la BEI, investirà nel vicinato con il suo piano da 80 miliardi NDICI-Global Europe. Infine, la revisione in corso delle Trans European Transport Networks (TEN-T) sta integrando e dando un ruolo maggiore alle reti trans-mediterranee, soprattutto attraverso le Autostrade del mare.

 

Quali prospettive?

In questo contesto, per aumentare il flusso di investimenti infrastrutturali e industriali esteri, è necessario affrontare alcune carenze. In primo luogo, la parte hardware delle infrastrutture non può funzionare senza il software, come il capitale umano. Le competenze devono essere migliorate e l'attenzione al capitale umano dei lavoratori deve andare oltre le esigenze di breve termine. A questo proposito, l'UE potrebbe promuovere politiche di migrazione circolare più lungimiranti; inoltre, sarebbe fondamentale rafforzare la cooperazione tra le istituzioni accademiche delle due sponde, ad esempio attraverso scambi di studenti e ricercatori dell’area mediterranea.

In secondo luogo, occorre garantire un level playing field: le normative nazionali dovrebbero essere più aperte agli IDE e si dovrebbe perseguire una migliore armonizzazione in termini di standard tecnici per facilitare gli scambi e l'interoperabilità; gli eccellenti risultati delle zone economiche libere nel Canale di Suez e a Tangeri dovrebbero essere replicati in altre aree.

E poi, naturalmente, sono essenziali il miglioramento delle infrastrutture e dell'ambiente commerciale, così come le capacità di realizzare progetti immediatamente finanziabili: le riforme sarebbero cruciali per aumentare l'attrattività di questi Paesi - sfruttando la loro vicinanza all'Europa - nei confronti dei Paesi asiatici. Ma per fare questo è necessario rafforzare la connettività regionale tra i Paesi della sponda meridionale. Ciò dovrebbe essere fatto in modo sostenibile, per aprire la strada a una vera transizione verde.

L'epoca di accelerazioni che stiamo vivendo, con la doppia transizione energetica e digitale, nonché la riconfigurazione globale delle catene del valore, potrebbe essere una grande opportunità per l'intera area mediterranea. Maggiore connettività significa anche maggiore integrazione delle politiche, degli standard e, in ultima analisi, prospettive economiche e geopolitiche condivise per l'intera area. Il cosiddetto "Brussels effect" potrebbe offrire modi per aggiornare e potenziare gli accordi commerciali, mentre le priorità stabilite in materia di digitalizzazione e transizione verde potrebbero offrire opportunità per modernizzare le industrie manifatturiere e dei servizi del Nord Africa, migliorare le infrastrutture e la connettività, migliorare il capitale umano nella regione.

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AUTORI

Alessandro Gili
ISPI

Image Credits (CC BY 2.0): NASA Goddard Space Flight Center

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