La pandemia ha colpito una regione mediterranea già minata da conflitti e crisi di lungo corso. Ma che conseguenze ci saranno per le popolazioni in fuga dalle guerre e come provare, invece, ad invertire la rotta?
La pandemia ha acutizzato le fragilità di una regione già minata da profondi e diversi conflitti: Yemen, Libia e Siria, oltre al pluridecennale conflitto israelo-palestinese, sono fattori di instabilità cronica nell’area MENA, attorno ai quali le dinamiche regionali si acuiscono: la concorrenza per la supremazia regionale, la frammentazione degli stati, la competizione per le risorse, la criminalità organizzata e i traffici sono tutte questioni pregresse al Covid e – almeno in teoria – separate dai conflitti. Eppure il rapporto causa-effetto, osservando da vicino l’evolversi di tensioni come quelle nel Mediterraneo orientale, appare confondersi, fino quasi a rovesciarsi. Come pensare allora di stemperare tensioni, correggere percezioni errate e promuovere la cooperazione in tutta la regione euromediterranea? Se ne discute oggi in due incontri, nell’ambito della Conferenza MED - Mediterranean Dialogues, dal titolo Mare Omnium: a Shared Approach to Mediterranean Security. I lavori possono essere seguiti sul sito med.ispionline.it e registrandosi alla nuova piattaforma MED.
Siria e Yemen: tregua umanitaria?
Le parti in conflitto nella regione non hanno ascoltato l'appello formulato dal Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres che, nel marzo scorso, aveva chiesto una tregua umanitaria globale per far fronte alla pandemia. In Libia, Siria e Yemen le violenze non si sono fermate e anzi in alcuni casi sono aumentate, ostacolando una risposta efficace al Covid-19. Nello Yemen in particolare, che già prima costituiva la più grande crisi umanitaria al mondo, la pandemia si è aggiunta alle enormi sofferenze della popolazione. E mentre si attende di conoscere la reale portata degli ‘Accordi di Abramo’ sul conflitto mediorientale, a Ginevra riprendono oggi i colloqui inter-siriani mediati dall'Onu per la modifica alla Costituzione del paese. Si tratta del quarto round di colloqui dopo i primi tre svoltisi nella città svizzera da ottobre 2019. Ma il processo, che nelle intenzioni dei promotori dovrebbe puntare ad una soluzione politica del conflitto, langue a causa della profonda sfiducia tra le parti. Dal 2011 ad oggi la guerra in Siria ha ucciso più di 380.000 persone e ha costretto milioni di persone ad abbandonare le loro case.
Libia: tempo di compromessi?
Lunedì 9 novembre sono iniziati in Tunisia i colloqui che dovrebbero decidere il futuro della Libia. Se lungo la linea del fronte le armi tacciono, è nei due schieramenti che fanno capo al generale Khalifa Haftar e al primo ministro Fayez al-Serraj che sono esplose tensioni e lotte di potere. Mentre oltre i confini geografici del paese e lungo le sue proiezioni nel Mediterraneo, si è consolidata la presenza di due potenze di rango: Turchia e Russia. Mai prima d’ora la ‘spartizione’ della Libia era apparsa in modo altrettanto chiaro: un’evoluzione impensabile senza l'allentamento della presenza americana in Nordafrica e nel Mediterraneo. Quella che si va delineando nel quadrante meridionale del Mare Nostrum è un’incognita che pesa, così come pesano le aspettative degli altri sponsor delle due principali forze in conflitto, dall’Egitto agli Emirati alle monarchie del Golfo: tutti ansiosi di batter cassa dopo gli ‘investimenti’ fatti ora sull’una ora sull’altra delle parti in lotta.
In Medio Oriente inizia l’era Biden?
In campagna elettorale Joe Biden ha parlato poco di Siria. Il neoeletto presidente americano non ha fatto molti riferimenti al conflitto che da ormai nove anni insanguina il paese se non per dire che non ritirerà le truppe Usa. La principale differenza con la precedente amministrazione, al momento, sembra essere sul piano della comunicazione, ma in sostanza, sembra probabile che l’approccio di Biden sarà guidato da alcuni punti fermi: mantenimento di una piccola presenza militare nel quadrante nord-orientale della Siria (anche se con un maggiore sostegno per le SDF a guida curda, che Trump ha ampiamente abbandonato); sostegno al negoziato politico delle Nazioni Unite; prosecuzione delle sanzioni alla Siria. Sul fronte nordafricano, invece, sembra che la Libia rimarrà una questione a bassa priorità strategica per gli Stati Uniti. Detto ciò il probabile ringiovanimento del Dipartimento di Stato e una maggiore fiducia nel multilateralismo potrebbero tradursi in un maggiore attenzione al negoziato politico mediato dall’Onu. E quindi in un sostegno diplomatico silenzioso di cui anche gli europei – una volta superate divisioni e veti incrociati – potrebbero trarre vantaggio allo scopo di stabilizzare il paese.
Il commento
Di Vali Nasr, Majid Khadduri, Professor of International Affairs and Middle East Studies School of Advanced International Studies, Johns Hopkins University
“La pandemia ha cambiato il contesto della politica regionale e posto davanti agli stati priorità nazionali e regionali che non si armonizzano facilmente. D’ora in poi questo renderà la politica della regione più imprevedibile e pericolosa”.
Rapporto MED2020 “Navigating the Pandemic”
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)