La Nft-mania potrebbe essere sul viale del tramonto. Le vendite dei token non riproducibili stanno decelerando e i prezzi sono in forte discesa dall’inizio dell’anno. Parliamo dei certificati di proprietà di beni digitali (file di foto o video soprattutto) che grazie alla blockchain non possono essere copiati e contraffatti e sono dunque autentici per natura.
La corsa era iniziata all’inizio del 2021 quando Christie’s – la più grande casa d’asta al mondo – aveva venduto per quasi 70 milioni (prezzo di partenza 100 dollari) un file jpg contenente un collage di 5mila immagini realizzato dall’artista Beeple. Da allora le vendite si sono impennate per tutto il resto dell’anno, fino a raggiungere i 5 miliardi di dollari a gennaio, secondo i numeri forniti da OpenSea, il più grande marketplace di Nft. Da allora sotto forma di token non riproducibili sono stati messi all’asta tweet iconici, articoli di giornale, opere d’arte e pure numerosissime illustrazioni di scimmie (annoiate o cryptopunk, ce ne sono per tutti i gusti) vendute a suon di milioni, la categoria più amata dal mercato.
Ma la festa sta finendo, secondo diversi esperti. L’indice che segue il mercato degli Nft – che traccia il valore di tutti i token sul mercato - è crollato del 60% dai massimi del novembre scorso e sta segnando -46% dall’inizio dell’anno. Così come le vendite su OpenSea sono scese a marzo al secondo dato mensile più basso di sempre, dimezzandosi rispetto ai volumi raggiunti a gennaio. Il parziale declino si riscontra anche nelle aste. Il primo tweet della storia – firmato da Jack Dorsey, il fondatore del social – era stato venduto a marzo 2021 per 2,9 milioni di dollari. Il nuovo proprietario ha tentato di rivenderlo poche settimane fa, ma le offerte per ora non hanno superato i 30mila dollari. Stanno subendo perdite di valore – anche se non così significative – anche le illustrazioni astratte Art Blocks, passate da una media di 15mila dollari a poco più di 4mila. E per la prima volta anche le richiestissime scimmie annoiate hanno visto una flessione di prezzo, per quanto valgano ancora in media circa 300mila dollari ciascuna.
Due spiegazioni per una possibile bolla
La domanda da porsi ora è perché tutto ciò è accaduto. Le risposte non possono che essere parziali, vista la volatilità che ogni mercato crypto ha dimostrato negli ultimi anni. Ma la conclusione può essere duplice.
Da una parte il prezzo degli Nft è sceso per la stessa ragione per cui si era impennato: le aspettative del mercato. Nelle bolle finanziarie – dai bulbi di tulipano olandesi in poi – ciò che spinge in alto il valore è la fiducia che il prezzo continui a lievitare anche in futuro. E all’inverso, quando una bolla scoppia, il prezzo scende proprio perché si invertono le aspettative e tutti si vogliono sbarazzare di un asset che si ritiene in rapido deprezzamento. I Non fungible tokens, non avendo un valore intrinseco legato al prezzo e nemmeno una storia e un’evoluzione paragonabili al mercato dell’arte tradizionale, potrebbero presto fare questa fine.
Ma c’è anche un altro elemento, più strutturale, che ha fatto deprimere il mercato. Ed è la realtà che c’è fuori dalla finestra. Negli ultimi anni, perfino durante la pandemia, il mercato finanziario tutto ha vissuto sulle ali dell’entusiasmo grazie al denaro facile prestato dalle banche centrali che hanno stampato migliaia di miliardi di dollari. Da alcuni mesi venditori e compratori osservano con apprensione cosa accade fuori dalla finestra: prima il rialzo dei tassi di interesse per combattere l’inflazione, poi la guerra in Ucraina. Ed è in fasi come queste che gli operatori tendono a guardare a investimenti sicuri. È il processo chiamato “flight to quality”, e dunque asset come l’oro, le azioni di società che macinano utili e i bond del Tesoro americani (quest’ultimi oggi decisamente poco appetibili per via delle decisioni della FED). Investimenti rischiosi come gli Nft – che basano il proprio successo sull’aria che tira, almeno a questi livelli di prezzo – ritornano nel cassetto.
Criptovalute sullo stesso treno?
Anche se in misura minore, le stesse criptovalute che non hanno dimostrato grande solidità in questo momento di incertezza. Bitcoin è sostanzialmente stabile dal 24 febbraio, l’inizio dell’invasione russa. Qualcuno lo potrebbe definire un successo, viste le performance negative dei mercati azionari. Ma come ha fatto notare il New York Times, Bitcoin è stato pensato proprio per momenti come questi: con inflazione in rialzo, enorme incertezza e sanzioni internazionali sugli strumenti finanziari tradizionali, le criptovalute dovrebbero dimostrare il loro potenziale in termini di garanzia di valore e protezione contro l’inflazione e le decisioni delle banche centrali. A oggi invece gli strumenti scambiati sulla blockchain – dai più volatili Nft al re delle criptovalute Bitcoin - rischiano di mancare la prima vera prova di maturità.