Il Messico riparte da dove aveva lasciato. Agguati, attacchi, stragi. Tutto nel segno terrificante del 2020 chiusosi con 35.484 omicidi.
Le fonti ufficiali insistono nell’individuare due minacce predominanti, Sinaloa e Jalisco-Nueva Generacion, quindi 7-8 cartelli e sotto un arcipelago di gang. Affiliate alle organizzazioni maggiori oppure autonome. Si conferma la frammentazione, dovuta alle spinte di capi locali, a scissioni, a interessi «particolari». Le spaccature incidono, ma non fermano gli affari. Prendiamo Sinaloa. Dopo l’arresto de El Chapo sono il potere interno è conteso da tre o quattro «anime», eppure marcia e compete con i rivali di Jalisco, da molto all’offensiva. Attorno le formazioni storiche, i Los Zetas, il Golfo, i Beltran Leyva, gli Arellano, Juarez, la Familia, i Templari con le loro suddivisioni, le zone di influenze e quelle dove sono protagonisti di battaglie senza fine.
Qualche esperto contesta l’uso generalizzato di cartello e mette in discussione anche il termine – vago – narcos. Perché la sfida non è legata solo al mondo degli stupefacenti. Infatti gestiscono carburante rubato, medicine, pesci rari, minerali, immigrazione, estorsioni, rapimenti. Una corrente di pensiero ritiene che la droga sia la copertura, con un mix velenoso dove si uniscono politica, bande, apparati di sicurezza. In qualche caso i killer sono usati per agende che poco hanno a che fare con marijuana, cocaina e soprattutto fentanyl, «importato» dalla Cina o prodotto localmente.
Lo Stato – sottolinea un’analisi del settimanale Zeta – ha ribadito a parole i suoi target: leader e sicari; rete finanziaria; collusioni con le amministrazioni; sistema di protezione; base sociale. Ma il problema è che lo Stato fa poco o è assente nonostante il sacrificio di chi crede comunque nelle istituzioni. Nell’anno che si è chiuso sono stati assassinati 520 agenti: tanti trucidati perché difendevano la Legge, altri liquidati in quanto parte delle faide.
Il presidente Andrés Obrador, che aveva promesso un cambio, ha continuato ad affidarsi ai militari – impiegati massicciamente con compiti di polizia – e ha creato la Guardia Nazionale, ennesimo «corpo» di sicurezza. Il rapporto (di dipendenza) con gli uomini in divisa è stato ben evidenziato dalla vicenda dell’ex ministro della Difesa, Salvador Cienfuegos. Arrestato negli Usa in quanto sospettato di rapporti con i padrini, è stato rimandato in patria dopo ricatti pesanti da parte dei messicani: si è parlato della minacciata espulsione degli agenti americani, di ostacoli alle indagini, di freno alla cooperazione. E una volta a casa il generale è stato lasciato in libertà, accompagnato dalle affermazioni sulla sua assoluta innocenza. Storia complicata, tra dubbi e sospetti lungo il Rio Grande.
Alcune organizzazioni, a cominciare da Jalisco-NG, hanno aumentato i loro arsenali. Sono ormai presenza abituale mezzi blindati fai-da-te, simili a quelli costruiti da Isis. Meccanici trasformano pick-up e SUV in veicoli protetti, li dotano di torrette, di «rostri». Montano mitragliatrici e fucili anti-blindatura calibro 50. Armi importate dagli Stati Uniti, dal Centro America, persino dall’Europa attraverso intermediari. Dilagano le «formiche», cittadini statunitensi che in cambio di somme di denaro acquistano in modo legale fucili e munizioni nei negozi Usa, quindi li fanno passare dall’altra parte. È un lavoro. Non mancano le granate, gli esplosivi e naturalmente i piccoli droni. Usati per trasportare droga, ma anche per missioni di ricognizione e persino in attacchi con piccoli ordigni.
Rispondono con gli stessi metodi i vigilantes, civili che imbracciano un Kalashnikov e difendono i loro villaggi. Foto recenti mostrano un nucleo a bordo di un camioncino corazzato ribattezzato «barricata mobile». Definizione particolare. Anche questo mondo non è privo di ambiguità, il confine tra lecito e illecito è sottile, ci sono infiltrazioni. È la progressiva militarizzazione, nel look come nelle tattiche. I sicari indossano equipaggiamenti da soldati, elmetti, corpetti anti-proiettile, divise con logo, caricatori a tamburo. Molto curati gli apparati di trasmissione, dai telefoni criptati alle radio ricetrasmittenti, sostenute da reti parallele. I banditi attaccano in modo diretto, non hanno timori ma in alcune aree – hanno scritto i media – pagano i civili per colpire le forze dell’ordine. Bastano pochi pesos.
Infine la ferocia. Torture, corpi mutilati, sadismo ricordano la strategia dell’orrore e della distruzione predicata da qualche ideologo jihadista. Così come la diffusione a fini propagandistici di video dove sono mostrate crudeltà mostruose, indicati funzionari traditori, annunciate spedizioni punitive. La comunicazione è intensa, pari alla barbarie.
È un insieme spaventoso. Siamo testimoni di un tipo di conflitto a bassa intensità, dove l’avversario è un ibrido. Ci sono azioni da guerriglia, atti di terrore, collusioni, traffici, impunità, regioni dove l’autorità statale è messa in discussione. E le prospettive non promettono nulla di positivo.