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Commentary
Messico: ricette anti-crisi non ortodosse
Antonella Mori
30 settembre 2020

Il Messico ha il poco invidiabile primato di essere uno dei paesi al mondo con più morti per COVID-19 – circa 75 mila – a fine settembre. L’alto numero ufficiale di morti – a cui va associato un alto numero di contagiati – è con ogni probabilità una sottostima del vero impatto della pandemia, vista la difficoltà di appurare l’esatta causa della morte anche in paesi ben più ricchi.

Al di là dei numeri, ufficiali e non, è fuor di dubbio che il Paese sia stato colpito molto duramente dalla pandemia, in parte anche per le esitazioni del governo di Andrés Manuel López Obrador, noto anche come AMLO, spesso criticato per essere stato lento nell’introdurre misure di distanziamento sociale e veloce nel rimuoverle.

Nella sostanza, se non necessariamente nella forma, il presidente messicano - che anche pochi giorni fa ha pronunciato un discorso alla nazione senza mascherina - non ha avuto una posizione pubblica molto diversa da quella dell’americano Trump o del brasiliano Bolsonaro: il benessere della popolazione richiede che si ritorni a una qualche forma di normalità il più velocemente possibile.

Questo tentativo di trovare un equilibrio tra salute pubblica e crescita economica non è però riuscito e, nonostante l’alto numero di morti, nel 2020 il Pil del Messico probabilmente subirà una contrazione di circa 10 punti percentuali (secondo le stime più recenti sia dell’OCSE che del FMI). Una recessione tra le più severe al mondo, ma purtroppo comune ad altri paesi dell’America Latina.

Questi numeri meritano una nota di cautela: le previsioni sono sempre difficili da fare, a maggior ragione in un contesto senza precedenti come quello di una pandemia. A queste considerazioni bisogna aggiungerne una tecnica, dovuta al fatto che gli uffici statistici dei vari paesi stanno adottando metodologie diverse per tener conto della produzione non realizzata (o realizzata parzialmente) dai vari comparti del settore pubblico (istruzione o amministrazione giudiziaria, per esempio).

Che la contrazione del Pil del Messico nel 2020 possa essere, a parte i numeri assoluti, tra le più severe al mondo è in parte spiegato dalle scelte di politica fiscale del governo che, secondo il presidente, non si deve indebitare per aiutare grandi imprese private. Il Messico è stato nella condizione quasi unica di poter spendere per sostenere la domanda aggregata e di decidere di farlo in modo molto modesto. Il Paese, infatti, alla fine del 2019 aveva sia un basso disavanzo del bilancio pubblico (2,3 per cento del Pil) che un livello di debito pubblico non preoccupante (53,7 per cento del Pil).

Le ultime proiezioni del World Economic Outlook aiutano a mettere in prospettiva quanto poco abbia fatto il governo messicano: il FMI calcola che nel 2020 i paesi emergenti abbiano mediamente risposto alla pandemia con spese pari a circa il 5% del loro Pil, costituite per circa il 2% da prestiti e garanzie per le imprese e il resto da spese addizionali e minori entrate. Per il Messico entrambe le forme di intervento sono sotto l’1% del Pil.

Messi di fronte all’inazione del governo centrale gli stati che ne avevano la possibilità sono intervenuti direttamente, per esempio sospendendo la tassazione per le imprese; dal canto suo il settore privato ha cercato risorse altrove, per esempio ottenendo dall’Inter-American Development Bank circa 12 miliardi di dollari in prestiti per aiutare le piccole e medie imprese a superare la pandemia.

Il governo ha invece tenuto la barra ferma sulle priorità di politica economica definite al principio della amministrazione AMLO, tra cui lo sviluppo infrastrutturale, soprattutto nel sud del Messico, che è anche una delle parti meno sviluppate del Paese, e il sostegno alle fasce più povere della popolazione. All’aumento del salario minimo, che è progressivamente cresciuto durante i passati due anni, durante la pandemia si sono aggiunti circa 10 miliardi di dollari di spesa pubblica in programmi specificamente orientati ad aiutare i più poveri.

L’austerità della politica fiscale del governo è riflessa anche nel bilancio per l’anno prossimo, appena presentato: viene previsto un piccolo avanzo primario del bilancio pubblico (prima delle spese per interessi) sia per quest’anno che nel 2021, illustrando abbastanza chiaramente che il governo non ha ripensamenti sulle scelte fatte. Le voci a bilancio che aumenteranno maggiormente sono quelle per spese infrastrutturali: la costruzione del Treno Maya e dell’aeroporto Santa Lucia.

La moderazione nella spesa pubblica è giustificata dal presidente come necessaria e funzionale alla riduzione della corruzione nel Paese. I sondaggi indicano che l’approvazione dell’azione del governo è diminuita durante la pandemia, anche se rimane alta.  Inoltre, il progresso che il presidente sta presentando al Paese sul fronte della lotta alla corruzione, e un recente caso eclatante di corruzione da parte di persone legate ai precedenti governi, con ogni probabilità limiterà la perdita di consenso.

Nonostante l’enormità delle conseguenze sociali e economiche della pandemia e a dispetto dell’avvicinarsi di importanti elezioni (da tenersi a giugno dell’anno prossimo), lo scenario più plausibile per i prossimi mesi in Messico è quello di una relativa stabilità. Il presidente, figura carismatica anche se polarizzante, dovrebbe essere in grado di continuare a gestire la narrativa politica senza una significativa opposizione, concentrato sulla realizzazione del suo progetto di “trasformare” il Paese e sperando che il resto del mondo, ma in particolare gli Stati Uniti, escano velocemente dalle loro difficoltà economiche trascinandosi dietro il Messico.

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Tags

Geoeconomia
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AUTORI

Antonella Mori
Univeristà Bocconi e ISPI

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