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Commentary
Messico: una ricetta controcorrente
Antonella Mori
27 novembre 2020

Il secondo trimestre del 2020 è stato terribile per l’economia messicana: l’uscita precipitosa di capitali stranieri ha portato a una forte diminuzione del tasso di cambio e contribuito ad aumentare l’ansia tra imprese e consumatori nazionali, già preoccupati dall’andamento dei contagi e dall’atteggiamento ondivago del governo sulla strategia da adottare per contrastare la pandemia. Il crollo del prezzo del petrolio sul mercato mondiale, il rallentamento dei flussi turistici e dell’attività economica nei Paesi che tipicamente comprano prodotti messicani hanno ridotto fortemente le esportazioni. 

Diminuzioni senza precedenti della domanda, sia interna che esterna, si sono osservate negli stessi mesi in quasi tutto il mondo ma, a differenza di altri Paesi, in Messico il governo ha fatto molto poco per contrastare le forze in gioco: il Fondo Monetario Internazionale (FMI) stima che nel complesso le spese discrezionali riconducibili all’epidemia siano state meno dello 0,7% del Pil. Si spiega quindi perché nel secondo trimestre il Pil sia sceso del 19% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

 

Una ripresa trainata dall’export

Nel terzo trimestre la ripresa dell’attività economica è stata vistosa ma largamente concentrata nel settore industriale, e in particolare in quello manifatturiero. Nonostante la situazione sanitaria ancora precaria, il governo ha deciso la riapertura di numerosi settori, incluso quello automobilistico, consentendo loro di partecipare al riavvio delle catene globali del valore, soprattutto quelle del Nord America, e alla ripresa della domanda estera, in gran parte sostenuta dalle più decise politiche fiscali del resto del mondo.

La domanda interna e l’attività in settori più orientati ai servizi è ripresa a ritmi più modesti, come si è osservato anche altrove: i consumatori in media si comportano prudentemente, anche in assenza di divieti formali alla mobilità, a maggior ragione in un Paese con livelli di infezione ancora alti. Il settore turistico, in cui l’attività si era quasi dimezzata nel secondo trimestre rispetto all’anno precedente, ha visto miglioramenti modesti, e probabilmente un miglioramento veramente sostanziale non avverrà fino a quanto un vaccino sarà ampiamente disponibile.

 

Nuovi segni di rallentamento

In settembre, però, tutti gli indicatori di attività hanno fatto un passo indietro rispetto ai due mesi precedenti; il peggioramento delle statistiche sanitarie osservato in ottobre in quasi tutto il mondo occidentale giustifica pensare che tra ottobre e novembre i livelli di attività abbiano rallentato ulteriormente. Alcuni Stati messicani hanno aumentato il livello di allerta sanitaria, il che consentirebbe loro di reintrodurre limiti formali alla mobilità. Se la ripresa continuerà nel quarto trimestre, e a che ritmi, è quasi impossibile da dire, dipendendo da una serie di fattori – tra cui un possibile lockdownnegli USA – molto difficili da prevedere.

Per queste ragioni conviene usare molta prudenza nel leggere le ultime previsioni di crescita pubblicate dal FMI (Mexico, IMF Country Report No. 20/306, November 2020), secondo il quale nel 2020 il Pil messicano diminuirà del 9% rispetto all’anno prima. Più che il numero assoluto è interessante metterlo in prospettiva e considerare che il Brasile, il Paese latinoamericano che per dimensioni più si avvicina al Messico, nel 2020 potrebbe avere - sempre secondo il FMI - una contrazione economica poco inferiore al 6%.

Una debolezza che viene da lontano

È necessario aggiungere che il Messico aveva già avuto una recessione nel 2019 – evento quasi unico in America Latina per quell’anno – causata da un gioco di squadra poco fortunato tra la banca centrale, che aveva alzato i tassi di interesse per contenere l’inflazione, e il governo, che aveva ridotto la spesa per consumi pubblici, oltre ad aver probabilmente causato una diminuzione degli investimenti con decisioni, poco rassicuranti, sul futuro di grossi progetti avviati dalla precedente amministrazione.

Con un’economia che stenta oramai dal 2018 e un accentuato dualismo, sia geografico che economico, non sorprende vedere che le fasce più vulnerabili della popolazione stiano soffrendo più di altre: la percentuale della popolazione che lavora ma rimane sotto la soglia di povertà è salita di 12 punti percentuali dall’inizio della pandemia e a metà 2020 sfiorava il 50% della popolazione.

Sia il governo che la banca centrale, in ogni caso, sembra non abbiano dubbi sul percorso da seguire: i tassi di interesse reali restano positivi e il governo ha riaffermato la sua determinazione a raggiungere obiettivi di probità fiscale: il budget per il prossimo anno include una previsione di aumento della spesa pubblica in termini reali dello 0,1%.

 

Investitori esteri alla finestra

Osservato dal particolare punto di vista degli investitori esteri il Paese si presenta con caratteristiche quasi uniche: un disavanzo del bilancio pubblico del 5,8% (in percentuale al Pil) e un avanzo del conto corrente della bilancia dei pagamenti superiore all’1% del Pil, secondo le proiezioni del FMI. Non solo, una banca centrale indipendente che ha mostrato anche in condizioni avverse una determinazione rara nel perseguire la stabilità del livello dei prezzi; un governo che spicca per anteporre la stabilità di bilancio alle domande di tutela di parte della popolazione, domande ritenute assolutamente legittime da tutti i Paesi in grado di finanziarle.

La cancellazione di alcuni grandi progetti avviati dall’amministrazione precedente, soprattutto nel settore dell’energia, ha però minato la fiducia internazionale nel rispetto degli accordi, e l’esoticità di alcuni dei progetti di sviluppo caldeggiati dal presidente in carica non aiuta. Ci vorrà quindi ancora un po’ di tempo prima che si possa valutare la capacità della stabilità istituzionale messicana di attrarre investimenti diretti e stimolare investimenti domestici.

In questo senso l’USMCA (accordo di libero scambio USA-Messico-Canada), entrato in vigore nel luglio di quest’anno, resta comunque un buon punto di riferimento. L’accordo ha molto ridotto le incertezze che aleggiavano sulle relazioni commerciali tra Messico e Stati Uniti e l’ha collocato in una zona di chiaro interesse per le imprese che volessero riavvicinare le proprie catene globali del valore al continente nord-americano.

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Geoeconomia
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AUTORI

Antonella Mori
Univeristà Bocconi e ISPI

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