Le elezioni di metà mandato (midterm elections) sono un importante momento di verifica dell’operato del Presidente degli Stati Uniti: a Novembre, infatti, i cittadini americani potranno scegliere i rappresentanti del Congresso, un terzo dei Senatori e la maggior parte dei Governatori federali. Quattro anni fa, il partito Democratico subì una pesante sconfitta elettorale(1) che portò a perdere la maggioranza in Congresso, e di fatto bloccò l’operato del governo Obama dal 2010 al 2012, mettendone a serio rischio la rielezione.
Ancora una volta, le proiezioni elettorali lasciano molta incertezza sulle decisioni che gli statunitensi prenderanno(2), e se Colorado, Kansas, Louisiana e Georgia dovessero decidere contro il governo uscente, Obama rischierebbe di trovarsi in minoranza in tutte e due le Camere. I temi di discussione sono molteplici: i risultati della riforma sanitaria, le politiche sociali nei confronti dei ceti più bassi, la riforma del mercato finanziario, l’andamento dell’economia interna, oltre naturalmente alle scelte di politica estera nei confronti di Russia, Califfato Islamico, Cina e Europa Occidentale, alla gestione delle minacce del terrorismo e dell’ebola.
Concentrandoci sul ruolo che le scelte economiche possono avere sul risultato delle elezioni, la nostra opinione è che gli Stati Uniti abbiano fatto molto più di gran parte dei paesi ad alto reddito pro capite per superare la crisi finanziaria, e le conseguenze che questa ha avuto sull’economia reale e sul tasso di disoccupazione. Gli Stati Uniti, infatti, spinti da una Banca Centrale che da subito ha reso disponibili misure eccezionali per far ripartire il mercato finanziario, hanno aumentato il deficit pubblico sostituendo in parte il calo di investimenti e consumi privati: certo, questo è avvenuto timidamente, lentamente e più a livello federale che nei singoli Stati, ma l’economia sembra essere ripartita, come dimostra l’andamento del prodotto interno lordo negli ultimi anni.
Figura 1 - crescita del prodotto interno lordo pro capite a dollari costanti, 2008-2014.
Fonte: IMF, World Economic Outlook, Ottobre 2014.
Figura 2 – Tasso di disoccupazione mensile in Unione Europea e Stati Uniti.
Fonte: Eurostat
Il tasso di disoccupazione si è ridotto per le tre principali etnie presenti negli Stati Uniti, bianchi, ispanici e afroamericani. Per i tre gruppi, la disoccupazione ha quasi raggiunto i livelli pre-crisi. Tuttavia l’amministrazione Obama non è riuscita a ridurre il divario tra bianchi, il cui tasso di disoccupazione a settembre 2014 era al 5,1%, e ispanici e afroamericani. A settembre il 6,9% di ispanici e l’11% di afroamericani erano disoccupati.
Figura 3 – Tasso di disoccupazione mensile negli Stati Uniti per etnia.
Fonte: Bureau of Labor Statistics.
La riduzione del tasso di disoccupazione non deve ingannare riguardo le condizioni dell’economia e del mercato del lavoro americano. Durante il 2009 il rapporto tra occupati e popolazione è passato dal 63 al 59% e a quel livello è rimasto fino al 2014. Tale calo non è dovuto unicamente alla crescita dei pensionamenti dei baby boomers, né all’aumento, lieve, degli scoraggiati che non cercano più lavoro: la riduzione del rapporto tra occupati e popolazione è quindi una conseguenza della crisi che Obama non ha saputo contrastare in maniera netta e definitiva.
Mercato del lavoro e andamento del Pil pro capite, tuttavia, non sono sufficienti a spiegare, da soli, le reali condizioni sociali ed economiche di un Paese, quelle che influenzano maggiormente la scelta elettorale – pensiamo ad esempio all’effetto delle bolle speculative: occorre quindi chiedersi se il governo è responsabile, e in che misura, delle componenti che portano alla crescita, e se la crescita sia o meno strutturale.
A queste due domande il noto economista Paul Krugman, premio Nobel, risponde con un’approvazione convinta, sottolineando il peso specifico della riforma sanitaria, voluta fortemente dai democratici: l’intervento del governo per rendere accessibile la sanità e diminuire il peso delle assicurazioni private sul mercato non si è dimostrato solo una riforma sociale, ma sta portando anche dei vantaggi economici, tra i quali l’aumento delle persone con un’assicurazione sanitaria e la diminuzione media dei premi assicurativi(3). Bisogna però sottolineare anche che il mercato finanziario sta ricominciando a crescere a ritmi vertiginosi(4), spesso con valori che non sono giustificati dai corrispettivi andamenti dell’economia reale: sono quindi le rendite finanziarie a crescere più degli investimenti e dei profitti delle imprese, e più dei redditi da lavoro, portando a una concentrazione della crescita nelle mani dell’elite finanziaria (il top 1%, o addirittura il top 0,1%).
Se, quindi, il governo ha speso molto investendo in sanità, ambiente, infrastrutture e nella ripresa dell’economia reale, poteva fare di più per fermare la polarizzazione dei redditi e la crescita non strutturale del mercato finanziario; tuttavia, il nostro giudizio dell’operato economico del governo degli Stati Uniti resta positivo, quasi un esempio di quello che l’Unione Europea dovrebbe fare, e se Obama rischia un altro stallo, come quello del 2010, le cause non sono da ricercare nell’andamento economico degli Stati Uniti.