Osservando le proiezioni sulle prossime elezioni di midterm, si evince con relativa facilità come – a pochi giorni dal voto – il Partito Repubblicano sia in una posizione di forza nei confronti del suo rivale Democratico. Oltre a mantenere il controllo della Camera dei rappresentanti, il ‘Grand Old Party’ (Gop, come viene comunemente definito) sembra godere di un vantaggio decisivo nella battaglia per il Senato. Le chance complessive dei repubblicani d'imporsi nella Camera Alta del Congresso sono al momento stimate al 68% circa dai principali sondaggisti del paese(1): il Gop dovrebbe quasi certamente aggiudicarsi 18 seggi in altrettanti stati (contro gli 11 dei democratici). Dei 7 seggi in cui il risultato è incerto, in due (Colorado e Iowa) il candidato repubblicano può contare su un vantaggio determinante, in altri 2 ha comunque buone probabilità di vincere (Alaska e Georgia). Sommando questi dati ai 30 seggi già in possesso dei repubblicani per cui non si voterà settimana prossima, il Partito Repubblicano supererebbe di almeno 6 seggi i democratici, assumendo così quel controllo assoluto del Congresso che mancava ai conservatori dal 2009(2).
Per quanto questi dati potrebbero essere smentiti il 4 novembre prossimo, a prima vista un simile risultato elettorale andrebbe in controtendenza rispetto alla profonda crisi nella quale il Gop sembrava essere entrato dopo la sconfitta alle presidenziali del 2012. Candidati repubblicani sono, infatti, in vantaggio in diversi stati ‘liberal’, come nel caso dell’Iowa o del Colorado, che nel corso degli ultimi anni ha legalizzato la cannabis e i matrimoni gay. Anche nel campo delle strategie di comunicazione politica e in quanto a presenza sul territorio, domini incontrastati del team Obama nelle ultime due presidenziali, i repubblicani sembrano aver decisamente recuperato terreno. A ciò si sommano i consensi in caduta libera del presidente (al minimo storico del 42%, secondo Gallup), e la conseguente disillusione di molti elettori della classe media nei confronti dei democratici, i cui candidati sembra stiano facendo di tutto per presentarsi proprio come ‘indipendenti’ dall’amministrazione Obama al Senato.
Al contempo, attraverso un’analisi più approfondita, è possibile comprendere come un risultato positivo alle elezioni di midterm contribuirebbe solo fino a un certo punto a dissipare le nubi che seguitano ad aleggiare sul Gop in vista del vero obiettivo dei conservatori nel 2016, quello decisivo delle elezioni presidenziali.
In primo luogo, la mobilitazione elettorale per un’elezione di midterm è storicamente diversa da quella per le presidenziali, richiamando alle urne il tradizionale elettorato mediamente più anziano, più ricco e ‘bianco’ che favorisce i repubblicani. Oltre che nelle strategie elettorali, con la vittoria nel 2012 il ‘Team Obama’ aveva infatti ribadito e addirittura amplificato la capacità di mobilitazione al voto democratico delle classi meno abbienti della società, delle minoranze etniche, dei giovani e delle donne; e queste categorie sono precluse al Partito Repubblicano a causa della sua stessa natura ideologica. Come sottolineato dal Foreign Affairs, il ‘Grand Old Party’ è mutato profondamente nei quasi sei anni di amministrazione Obama a causa di tre principali trend socio-politici, tutti interconnessi e dipendenti fra loro: all’invecchiamento dell’elettorato medio conservatore si sono sommati la crescente radicalizzazione ideologica dei finanziatori e un irrigidimento dei processi politici interni, che ha ulteriormente impedito al partito di adattarsi al mutamento della società.
Invecchiando, e quindi dipendendo sempre più dalla spesa pubblica, l’elettorato a cui storicamente attingevano i conservatori per vincere è così entrato progressivamente in conflitto con l’ideologia politica radicale promossa dalla fazione dominante tra i militanti repubblicani, quella del ‘Tea Party’, che combina conservatorismo social-religioso a un libertarismo spinto in campo economico.
Nello stesso tempo, i donors del Partito Repubblicano sono divenuti sempre più espressione del cosiddetto one percent più benestante del paese. Da un lato il mondo di Wall Street, spaventato dalle misure fiscali promosse dall’amministrazione Obama, si è stretto attorno al Gop, ricoprendolo di finanziamenti. Ciò ha imposto al partito una ricetta economica incentrata sull’austerità fiscale e monetaria (contraria al quantitative easing come all’aumento della spesa pubblica) estremamente impopolare nel momento in cui il paese lottava per uscire dalla peggiore crisi dal ’29, che peraltro proprio l’amministrazione Bush aveva contribuito a scatenare con queste stesse politiche restrittive. L’allontanamento dei conservatori moderati ha paradossalmente rafforzato il potere interno della base ideologica del ‘Tea Party’, un tempo relativamente marginale tra i repubblicani. Il risultato di questi tre processi è quindi un Gop più conservatore, maggiormente legato alla sua base elettorale, ma proprio per questo incapace di raccogliere i voti degli indecisi, da sempre necessari a qualsiasi partito per portare il proprio candidato alla Casa Bianca.
Le problematiche strutturali del Partito Repubblicano si sommano al mutamento demografico del paese, riducendo esponenzialmente le possibilità di una vittoria conservatrice nel 2016. La riduzione del voto dei bianchi – che alle ultime elezioni del 2012 erano il 72% dell’elettorato, mentre nel 2016 saranno circa il 67%(3) - si somma alla crescita esponenziale delle minoranze nera, asiatica, ma soprattutto ispanica. Di quest’ultima comunità, che molti analisti vedevano ideologicamente più affine ai conservatori, ben il 69% è favorevole all’assistenza sanitaria gratuita, e il 64% sarebbe disposto a pagare più tasse in cambio di un aumento dei servizi pubblici. Il trend è ancora più evidente se osserviamo le preferenze dei giovani di etnia non bianca (in forte espansione nelle minoranze). Il Pew Research Center sostiene che il 67% di essi è ancora allineato con il presidente Obama, e il 71% vorrebbe addirittura un incremento della spesa pubblica.
Tornando alle elezioni di midterm di martedì prossimo, il controllo del Senato potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio per i repubblicani. La maggioranza repubblicana del Congresso e il relativo aumento dei parlamentari del ‘Tea Party’ rischia di causare la paralisi del sistema legislativo americano, come ci insegnano i default tecnici del 2011 e del 2013. La ‘coabitazione’ tra presidente e Parlamento di colori politici diversi non sarebbe certo una novità a Washington, ma lo scollamento tra le richieste della base radicale (a cui i Congressmen devono la loro elezione) e le necessità di compromesso che questa coabitazione richiede non erano mai stati tanto evidenti quanto oggi. Come evidenziato dal Washington Post, a fare le spese di un protratto blocco istituzionale sarebbe proprio il Partito Repubblicano: Obama ha comunque diritto di veto su molte delle proposte di legge in discussione e sulle tematiche di rilevanza internazionale, e i democratici avrebbero quindi vita facile nell’attribuire al Gop le colpe di un biennio di paralisi nel 2016. Oltre al presidente, tra due anni gli americani rinnoveranno di 1/3 lo stesso Senato, e questa volta 24 dei 34 seggi in discussione saranno repubblicani.
Come evidenziato dai problemi strutturali e dalla stessa natura della società americana in continuo mutamento, il ‘Grand Old Party’ sembra essere oggi in grave difficoltà. Pur non impedendogli una vittoria significativa alle prossime elezioni di midterm, i problemi interni del Partito repubblicano sembrano porre seri interrogativi sulle possibilità concrete dei conservatori di riconquistare il loro obiettivo principale, ossia la Casa Bianca. Tuttavia, è anche vero che non mancano all’interno dello stesso Gop gli elementi per un cambio interno: le due personalità che potrebbero impersonarlo sono al momento il senatore della Florida e astro nascente, Marco Rubio, e l’ex governatore della stessa, nonché esponente di un’illustre dinastia politica, Jeb Bush, figlio e fratello degli ex-presidenti George Senior e Junior. Come possibili candidati presidenziali, entrambi potrebbero distanziarsi dall’ideologia radicale polarizzante del ‘Tea Party’, riformando finalmente la struttura partitica dei conservatori, ma resta da vedere se riusciranno a dimostrare quella vocazione alla leadership che è mancata al ‘Grand Old Party’ nell’ultima decade, e di cui il partito sembra avere disperatamente bisogno.
1. http://www.vox.com/2014/10/27/7077603/senate-forecasting-gop-takeover
2. http://www.nytimes.com/newsgraphics/2014/senate-model/?ref=midterms
Davide Tramballi, ISPI Research Assistant