Oggi le elezioni di midterm negli Stati Uniti: un referendum sulla Casa Bianca a due anni dall’elezione di Joe Biden. In palio c’è il rinnovo di tutta la Camera dei deputati e di un terzo del Senato. Ma qual è la posta in gioco? Cosa succede se vincono i Repubblicani? E Trump pensa di ricandidarsi? Una guida per districarsi attraverso 8 grafiche commentate.
Per cosa si vota?
Gli Stati Uniti vanno al voto per le cosiddette elezioni di metà mandato. Un appuntamento importante per il paese a due anni esatti dall’elezione del presidente Joe Biden e che avrà ripercussioni sul margine di azione dell’attuale amministrazione da qui alle prossime presidenziali previste a novembre 2024. In questa tornata elettorale vengono rinnovati tutti i 435 seggi della Camera dei rappresentanti (in carica per due anni) e un terzo dei 100 seggi del Senato (35 nel 2022).
Inoltre, gli elettori di 36 stati e 3 territori andranno alle urne anche per eleggere i propri governatori. Grazie alla possibilità del voto anticipato sono già più di 41 milioni gli americani che hanno già espresso le loro preferenze. Le elezioni di midterm determinano la composizione dei due rami del Congresso americano e le relative maggioranze ridefinendo l’equilibrio tra il potere legislativo e quello esecutivo. Il risultato di queste elezioni è spesso interpretato come un referendum sull’operato dell’inquilino della Casa Bianca e per vari motivi, storicamente, tende a premiare il partito di opposizione.
Quando sapremo i risultati?
Non conosceremo i risultati delle elezioni nel corso della notte elettorale. Ed è del tutto normale. I risultati definitivi arriveranno non prima di un paio di giorni dopo le elezioni. Ogni Stato ha infatti regole diverse per quanto riguarda i tempi e le modalità di conteggio dei voti arrivati via posta. E ad esempio Arizona, il Nevada e la Pennsylvania, fondamentali per il controllo del Senato, potrebbero impiegare più giorni per contare tutte e schede. Se i primi dati dovrebbero cominciare ad affluire verso l’una di notte, ora italiana, verso le tre o le quattro del mattino, quando i seggi nel Midwest saranno chiusi, è possibile che i Repubblicani abbiano abbastanza slancio per consentire agli esperti e ai media di avanzare le prime proiezioni sulla Camera. Se invece la gara dovesse rivelarsi più serrata del previsto mentre i conteggi arriveranno dalla costa occidentale, potrebbero volerci giorni prima che sia attribuito l’esatto controllo della Camera. Se la corsa al Senato della Georgia andrà di nuovo al ballottaggio. Inoltre, è possibile che non sapremo quale partito ha la maggioranza al Senato fino a dopo il secondo turno previsto il 6 dicembre.
En plein repubblicano o vittoria a metà?
Stando alle ultime proiezioni, però, i giochi per la Camera sarebbero già fatti. Il partito repubblicano avrebbe infatti ben quattro possibilità su cinque di ottenere la maggioranza dei seggi. Più incerta la partita al Senato dove le chance di una maggioranza per il Grand Old Party (GOP) sono del 54%. Molto dipenderà dall’esito del voto in alcuni Stati in bilico come Pennsylvania, Nevada e Georgia in cui le vicende e gli scandali che coinvolgono i singoli candidati hanno un peso non indifferente. È il caso di Herschel Walker, candidato repubblicano al Senato in Georgia. La fidanzata lo ha accusato di averla pagata per farla abortire. Non proprio la migliore pubblicità per un candidato pro-life che ha costruito buona parte della sua campagna sul diritto alla vita e che potrebbe aver compromesso le sue possibilità contro il senatore democratico Raphael Warnock. O come del democratico John Fetterman - non ancora del tutto guarito dalle conseguenze di un ictus – che si contende sul filo di lana il seggio alla camera alta per la Pennsylvania contro il trumpiano Mehmet Oz.
Complessivamente i due scenari più probabili sono quelli di una vittoria repubblicana in entrambi i rami del Congresso (41% di possibilità), o solo alla Camera (38% di possibilità). Pienamente in linea con quanto visto nelle precedenti midterm: storicamente, il partito del presidente perde seggi alle elezioni di metà mandato con due sole eccezioni nelle ultime diciannove tornate dalla fine della Seconda guerra mondiale. Nel 1998, i Democratici riuscirono a guadagnare 5 seggi nonostante lo scandalo Lewinsky che travolse il presidente Clinton. Ancora meglio fecero i Repubblicani quattro anni più tardi (+6 seggi). Ma era un voto “drogato” dall’incremento esponenziale della popolarità di Bush post attentati alle Torri gemelle.
Al di là dei ricorsi storici, le speranze di una vittoria dei Democratici sono scarse anche a causa di una campagna elettorale che non è andata come si aspettavano.
Una campagna tra aborto e inflazione
La prima speranza disattesa dei Democratici era che l’inchiesta parlamentare sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, attualmente in corso, potesse far leva sull’elettorato moderato. Non a caso nel discorso di fine campagna (tenuto proprio vicino al Campidoglio), Joe Biden ha dichiarato che la posta in gioco in queste elezioni è il futuro democratico del paese. Il suo appello sembra però passato inosservato in campo repubblicano. Dove ancora il 61% degli elettori ritiene che Biden abbia vinto le presidenziali solo grazie a brogli elettorali: una percentuale non tanto minore rispetto a quella che si registrava all’indomani del voto (70%).
In secondo luogo, i Democratici speravano che la sentenza di fine giugno con cui la Corte Suprema ha rovesciato la storica sentenza Roe vs Wade, che ha sancito il diritto federale all’aborto, potesse rivelarsi un autogol per i Repubblicani. In questo senso negli scorsi mesi si erano visti segnali incoraggianti per i Dem: in Kansas, una roccaforte del GOP, i cittadini hanno votato per mantenere il diritto all’interruzione di gravidanza. Tuttavia, nel corso dei mesi i Repubblicani sono riusciti a spostare il dibattito elettorale sui temi della sicurezza e dell’economia, decisamente meno favorevoli ai Democratici.
Si vota col portafoglio?
Molti sostengono che gli elettori voteranno “col portafoglio”. Ma come sta andando veramente l’economia americana? Da quando Biden è in carica, la crescita media del PIL è la migliore dai tempi di Clinton e la disoccupazione è ai minimi da 50 anni. Ma le prospettive future sono molto meno rosee. Il PIL si è già contratto per due trimestri di fila quest’anno, ed è in rapida discesa: dal 5,7% dello scorso anno all’1,6% del 2022. Complice il progressivo inasprimento della politica monetaria della FED, le stime di crescita per l’anno prossimo sono persino inferiori: 1%. Un rallentamento comune a tutte le economie avanzate alle prese con una fase di iperinflazione. Ma che secondo i Repubblicani ha Biden e i Democratici come principali colpevoli. Le politiche del presidente avrebbero infatti fallito nel contenere l’aumento dei prezzi, in lieve calo negli ultimi mesi ma comunque all’8,2% su base annua, il dato più alto da 40 anni.
In particolare, è l’incremento del prezzo della benzina negli States l’arma repubblicana in questa campagna elettorale. Non siamo più sopra i 5 dollari al gallone che si registravano a fine giugno, però i 3,8 dollari attuali sono comunque il 10% in più rispetto a un anno fa. Non a caso Biden ha fatto di tutto per provare a tenere sotto controllo i prezzi energetici. Dal discusso viaggio in Arabia Saudita di quest’estate (che non ha però evitato il taglio della produzione da parte dell’OPEC da 2 milioni di barili al giorno) al rilascio di quantità record di greggio dalle riserve strategiche nazionali. Il voto di oggi è quindi inevitabilmente anche un test sulle politiche economiche ed energetiche di Biden.
Verso Trump 2024?
Nella tornata elettorale odierna c’è però anche in gioco l’identità del partito repubblicano e della Corte Suprema. Attraverso il suo Super PAC Maga Inc. Trump ha sostenuto 200 tra i candidati repubblicani in corsa per il Senato, la Camera o nei ruoli di governatore. Se dovessero ottenere un buon risultato e i suoi fedelissimi in Arizona, Pennsylvania e Georgia una vittoria con ampio margine, Trump se ne intesterebbe di certo il merito; l’ala trumpiana del GOP prenderebbe ancor più il sopravvento e la strada per The Donald verso una nuova corsa alla presidenza sarebbe ancor più spianata. Già oggi resta il candidato preferito dal 56% degli elettori repubblicani.
La Camera a guida repubblicana con buona probabilità bloccherebbe la Commissione d’inchiesta sui fatti di Capitol Hill, eliminando un potenziale ostacolo per la presidenza Trump nel 2024. Nel frattempo, un Senato con maggioranza per il GOP rallenterebbe o addirittura bloccherebbe molte delle nomine di Biden di giudici federali come già avvenne durante la presidenza Obama nel 2014. La maggioranza di giudici repubblicani nella Corte Costituzionale potrebbe essere così preservata. E con ogni probabilità i Repubblicani aumenterebbero le pressioni per un impeachement di Joe Biden.
In arrivo un inverno repubblicano per l’Ucraina?
Le conseguenze del voto di oggi non si limitano alla politica interna ma si fanno sentire fino a Kiev. Sembrerebbe un controsenso: la guerra in Ucraina non è affatto un tema caldo della campagna elettorale. E non sorprende visto che la politica estera la fa il presidente, e quindi raramente ha avuto un peso nelle campagne elettorali per le midterm. Ma il Congresso vota sui pacchetti di aiuti finanziari e militari all’Ucraina e può quindi dettare la linea su quanto forte continuerà a essere il supporto americano.
In questo senso c’è stato più di un campanello di allarme per Zelensky. Il probabile futuro speaker Repubblicano alla Camera, Kevin McCarthy (non un trumpiano di ferro), ha infatti dichiarato che il tempo degli assegni in bianco all’Ucraina è destinato a finire. Una posizione sempre più popolare tra l’elettorato Usa: la percentuale di quelli che affermano che gli Stati Uniti stanno fornendo troppo sostegno all’Ucraina è passata dal 7% di marzo al 30% di ottobre. E il dato sale al 48% se si considerano solo gli elettori repubblicani.
Ma anche tra i Dem c’è stato l’appello rivolto da una ventina di parlamentari dell’estrema sinistra del partito per una pace da ottenere il prima possibile. I firmatari hanno poi sconfessato l’appello, spiegando come lo avessero redatto a giugno, quando la situazione in Ucraina era molto diversa. Anche tra i Repubblicani la linea non è poi così definita in tema di aiuti a Kiev: il leader del partito al Senato, Mitch McConnell, ha infatti sollecitato l'amministrazione Biden a velocizzarli e allargarli.
Di conseguenza, indipendentemente dal voto delle Midterm, è probabile che si continuino a trovare i voti per i prossimi pacchetti di aiuti all’Ucraina. Anche se le difficoltà sono destinate a crescere più saranno i candidati trumpiani che si siederanno nel nuovo Congresso e più ci si avvicinerà al momento delle primarie repubblicane per la presidenza nel 2024. Ecco perché Biden non esclude di sottoporre un nuovo maxipacchetto di aiuti pluriennali all’Ucraina al «vecchio» Congresso, (quello nuovo si insedierà a gennaio).
Le elezioni di midterm sono oggi, ma entrambi gli schieramenti sembrano guardare già al 2024. Non a caso, appena due giorni fa Biden e Trump hanno tenuto due grossi eventi elettorali - a poche ore e a pochi chilometri di distanza - in uno stato decisivo come la Pennsylvania. Entrambi hanno cercato di dare la volata ai rispettivi partiti nel ‘Keystone state’ che nel 2020 decise la vittoria di Joe Biden e che con ogni probabilità sarà cruciale anche per determinare il nome del prossimo presidente.
In conclusione, un voto nazionale negli USA non può mai passare inosservato. Una verità ancor più valida per questa tornata elettorale particolarmente incerta che sembra già la prova generale per una nuova sfida alle presidenziali del 2024.