Mentre i gruppi armati a sostegno del Governo di Accordo Nazionale erano impegnati sui vari fronti di guerra a Tripoli per contrastare l’avanzata delle forze del Generale Khalifa Haftar, Sirte è caduta nelle mani del nemico. Un déjà-vu rispetto al 2015 quando Sirte fu consegnata allo Stato Islamico proprio da chi avrebbe dovuto proteggerla per conto di Tripoli. Seppure consapevoli del pericolo, sembrerebbe che il Governo di Serraj e le forze della sua coalizione non abbiano in loro potere alcun mezzo per evitare che il destino ineluttabile si compia e, inermi, ne prendono atto.
Sirte, città natale di Gheddafi e ultimo rifugio del raìs, fu teatro di intensi bombardamenti aerei durante la Rivoluzione del 2011 tanto da essere ridotta ad una città fantasma le cui macerie erano cosparse di mine antiuomo. Gli sfollati della tribù Al Madani, discendenti delle famiglie provenienti da Misurata, la città ‘martire’ per antonomasia in Libia per via dell’alto numero di persone cadute durante l’assedio dei gheddafiani sulla città nel 2011, trovarono riparo a Misurata. Mentre gli sfollati delle tribù gheddafiane Forjan, Warfalli e Gaddafa rimasero a vivere tra le macerie. Intoccabili per definizione perché erano quelli che avevano perso la guerra e quindi tenuti a sottostare alle regole del vincitore, questi ultimi non accettarono mai i nuovi governanti della Libia. Strategica per la sua posizione che segna la punta nord della direttrice che spacca in due il paese fino al confine sud nel deserto, l’allora città-stato di Misurata nel 2013 cercò sin da subito la riconciliazione politica con Sirte investendo ingenti capitali per la sua bonifica e ricostruzione.
Nel 2013 furono delegati al Governo della città costiera gli uomini di Ansar Al Sharia, formazione jihadista affiliata ad Al Qaeda e in Libia nata tra le fila della Brigata dei Martiri del 17 Febbraio a Bengasi. Una scelta strategica in quanto la matrice rivoluzionaria del gruppo li poneva tra le fila dei fedelissimi di Misurata e, allo stesso tempo, la loro formazione religiosa li smarcava da una identità puramente territoriale-tribale che avrebbe invece messo a repentaglio il processo di inclusione nella nuova Libia. Per due anni la formula pareva funzionasse. Eppure le tribù storicamente di fede gheddafiana non hanno mai cambiato colore. Già nel Febbraio del 2015 mentre i gruppi armati dell’asse Tripoli-Misurata impegnati a Ovest di Tripoli nell’operazione Fajr Libya contro le forze di Haftar e nel Golfo della Sirte nell’offensiva Al Shurooq per cacciare via le forze federaliste dai terminal di Sidra e Ras Lanuf nella Mezzaluna petrolifera, Sirte è caduta per tradimento. Ansar Al Sharia si è fusa con le cellule dormienti dello Stato Islamico in loco che hanno dichiarato guerra a Tripoli, e molti uomini e donne di Sirte hanno appoggiato la scissione contro l’asse Tripoli-Misurata. Già all’epoca il comandante della Brigata 166, Mohamed Hassan, incaricata delle trattative con lo Stato Islamico per evitare un nuovo bagno di sangue a Sirte, parlava di servizi segreti di Haftar dietro il passaggio dei combattenti dell’ISIS dalla città orientale di Derna dove precedentemente gli uomini del leader Al Baghdadi avevano istituito la loro prima Provincia in Libia fin dentro Sirte. Questa mossa sarebbe stata necessaria per il Generale dell’Est al fine di legittimare la sua guerra contro gli estremisti dell’Ovest.
L’allora capo dell’operazione Fajr Libya Salah Badi, di Misurata, fu accusato di aver prestato il fianco al gruppo ultraconservatore Ansar Al Sharia, sebbene solo per mero calcolo militare in quanto i fronti aperti erano molteplici e Misurata aveva bisogno di chiamare a raccolta più risorse possibile. Per Tripoli restava una priorità la conquista dei terminal di Sidra e Ras Lanuf nella Mezzaluna petrolifera libica, che pompano l’oro nero dai pozzi che puntellano tutta la regione centrale della Libia da Nord a Sud. Misurata successivamente dovette farsi carico delle proprie responsabilità e per due anni i suoi uomini rimasero in prima linea sul fronte contro l’ISIS, contando circa 700 tra il migliaio di caduti.
All’indomani della vittoria sugli uomini di Al Baghdadi a Sirte, Tripoli tornò nuovamente a ricostruire la città, che nel frattempo era divenuta l’avamposto della Libia dell’Ovest. Infatti approfittando del dispiego di forze del nemico sulla linea del fronte a Sirte, nel Settembre del 2016 Haftar conquistò i terminal petroliferi di Sidra e Ras Lanuf. Da allora Sirte è rimasta sotto il controllo della Brigata 604, una delle brigate che si formò proprio sul fronte anti-ISIS. Le forze di Misurata misero su questo gruppo radunando decine di salafiti madkhali da tutta la Libia. Da quando gli uomini della Brigata 604 diedero alle fiamme l’ultimo dei combattenti dell’ISIS rimasta intrappolato tra le macerie nel 2016, loro sono rimasti a guardia della città.
Nel frattempo il generale Haftar ha alzato il tiro sul campo di battaglia, nonostante i reiterati inviti delle Nazioni Unite a sedersi al tavolo del dialogo per una risoluzione diplomatica della crisi. Ad Aprile dello scorso anno ha lanciato la sua offensiva su Tripoli denominata Seil Al Karama, che in arabo significa ‘Alluvione della Dignità’. Quella che aveva inaugurato come una guerra lampo, confidando nella defezione di alcune milizie che obtorto collo sono schierate con il GNA, si è trasformata in una guerra di posizione che vede i suoi uomini attestati sul confine sud della capitale da circa dieci mesi. I gruppi armati che avrebbero dovuto passare dalla sua parte, si sono invece compattati con le forze rivali sul territorio.
Sul terreno entrambi gli schieramenti pare non abbiano la forza di vincere l’uno sull’altro. Nonostante la Libia sia ancora sottoposta all’embargo delle armi imposto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite secondo la Risoluzione 2420, entrambe le fazioni libiche ricevono armi e approvvigionamenti militari da diversi player, principalmente regionali, che in Libia stanno combattendo la loro guerra per procura. Mentre Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania dal 2015 garantiscono sostegno all’aviazione di Bengasi, la Francia da tre anni si presta per attività di spionaggio pro-Haftar e dall’inizio dell’offensiva su Tripoli anche forze speciali sul terreno. Al fianco di Tripoli, la Turchia invece garantisce approvvigionamenti di armi e munizioni.
Tuttavia la campagna di bombardamento aerea portata avanti da Haftar grazie, e solo per questo, alla tecnologia avanzata di Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Francia e Russia, ha messo in serie difficoltà la coalizione di Tripoli. Si contano dall’inizio dell’offensiva circa 1200 morti, di cui 200 civili, e queste ultime tutte vittime degli attacchi missilistici da parte delle forze di Haftar.
Sebbene lontana dai palazzi istituzionali di Tripoli e quindi dai riflettori dei media internazionali, Haftar sta portando avanti un’altra partita strategica a sud del paese dove sono ubicati i principali campi di estrazione petrolifera del paese OPEC nordafricano. Le forze che rispondono al Generale della Cirenaica sono in controllo di tutti i pozzi tranne quello di Al Wafa, al confine con l’Algeria.
Da Settembre anche la Russia ha fatto il suo ingresso sul campo di battaglia libico, mandando decine di combattenti della società di contractor Wagner, braccio armato del Cremlino sebbene ufficialmente non direttamente riconducibile alla sua affiliazione statuale. Tanto che anche gli Esperti delle Nazioni Unite nel report dello scorso Novembre non ne hanno fatto menzione. Questo passaggio ha portato il paese nordafricano a un’importante svolta del conflitto in corso, che da guerra per procura tra attori regionali si è trasformata in una guerra per procura internazionale dove superpotenze mondiali come la Russia occupano spazio per guadagnare potere in altre partite negoziali. La tecnologia anti-aerea della Russia ha fatto scattare subito l’allerta nella capitale, che ha quindi deciso di smarcarsi dall’immobilismo dell’ONU e dell’Europa, con Italia in prima fila, e ha accettato l’intervento della Turchia al suo fianco.
Mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan annunciava l’imminente arrivo dei suoi soldati sul suolo libico, le forze di Haftar stavano avanzando dalla Mezzaluna petrolifera verso Sirte. All’ingresso orientale della città gli uomini della Brigata 604 hanno tradito aprendo loro la strada, e i gruppi armati del Generale sono entrati senza sparare un colpo. Il Consiglio Militare di Misurata istituì la Brigata 604 a metà 2016 sul fronte anti-ISIS, chiamando all’appello decine di salafiti madkhali da tutta la Libia. Da quando gli uomini della Brigata 604 diedero alle fiamme l’ultimo dei combattenti dell’ISIS rimasto intrappolato tra le macerie della città a Dicembre dello stesso anno, loro sono rimasti a guardia della città. Anche questa volta l’asse Tripoli-Misurata è dunque caduta nella trappola di Sirte. La maggior parte degli uomini della brigata 604 appartiene alla tribù dei Forjan, una di quelle storicamente pro-Gheddafi. Inoltre sono salafiti madkhali, ossia si rifanno ad una branca dell’Islam ultra conservatore che nasce in Arabia Saudita, uno degli alleati stranieri di Haftar. I madkhali in Libia contano la leadership di diversi gruppi armati in Tripolitania. La loro convivenza con il Governo di Serraj è da leggersi in un’ottica di opportunismo politico laddove la maggioranza dei gruppi armati in Tripolitania non è madkhali. Inoltre in Libia la dottrina madkhali vanta un incremento di nuovi adepti.
Già nella guerra di Sabrata, città 70 chilometri a Ovest di Tripoli e uno dei principali snodi lunga la costa libica per lo smuggling di esseri umani verso l’Europa, i madkhali della Brigata Wadi aprirono un fronte interno alla città dichiarando guerra ai gruppi armati locali schierati invece con il GNA. Dopo un mese di combattimenti i madkhali riuscirono a scalzare i loro concorrenti dal business redditizio quale quello delle traversate dei migranti, ma soprattutto a delegittimarli politicamente laddove l’Unione Europea cercava all’epoca interlocutori in loco sul fronte della cooperazione anti-migrazione irregolare.
Il pericolo che Haftar possa stringere accordi con alcune milizie madkhali oggi a protezione del quartier generale del premier Serraj come le Forze Speciali Rada, resta tra le principali preoccupazioni per il GNA. Questo trasformerebbe la guerra di posizione alla periferia della capitale, in guerra totale nel centro città.
Nel frattempo il premier Serraj insieme con il Ministro degli Interni Fathi Bashga, l’uomo che rappresenta Misurata nella capitale, lasciano in sospeso la questione Sirte, temendo si tratti dell’ennesima trappola. D’altronde il vero obiettivo del Generale è conquistare la capitale dove ci sono i palazzi governativi e le principali istituzioni nazionali come la Banca Centrale della Libia e la National Oil Corporation, cassa di tutte le risorse petrolifere del paese.