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Focus Mediterraneo Allargato n.15
Monarchie del Golfo: fine della crisi?
Valeria Talbot
10 febbraio 2021

L’accordo siglato il 5 gennaio tra il Quartetto – composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (Eau), Bahrein ed Egitto – e Qatar mette fine al blocco commerciale e dei collegamenti aerei, terrestri e marittimi imposto nei confronti di Doha il 5 giugno del 2017 dai vicini del Golfo insieme al Cairo. Un passo indubbiamente importante e atteso dopo l’accelerazione degli sforzi diplomatici profusi dall’amministrazione Trump negli ultimi mesi del suo mandato con l’abile e paziente sponda mediatrice del Kuwait. Tuttavia, l’Accordo di Al Ula – che prende il nome dalla città in cui si è svolto il summit del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) e dove è avvenuto il simbolico abbraccio tra il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani – non costituisce la conclusione della crisi che ha spaccato il Gcc negli ultimi tre anni e mezzo, ma rappresenta piuttosto l’inizio di un processo di distensione i cui risultati sono in là da venire. Una distensione su cui ha premuto in particolare l’Arabia Saudita, più incline degli Eau alla riconciliazione, per dare un segnale al neo-eletto presidente Biden, meno conciliante del suo predecessore nei confronti delle politiche di Riyadh e critico dell’atteggiamento saudita nel caso Khashoggi. Emblematico della volontà saudita di superare l’impasse intra-Gcc per presentarsi come attore costruttivo nelle dinamiche regionali nonché nelle relazioni con la nuova amministrazione statunitense è il fatto che al summit l’Arabia Saudita era rappresentata ai massimi livelli. Al contrario, per gli EAU era presente il primo ministro, Mohammed bin Rashid al-Makhtoum, e per Egitto e Bahrein figuravano i rispettivi ministri degli esteri.

 

Se Abu Dhabi ha seguito la leadership saudita, sul piano diplomatico le divisioni con il Qatar non sono ancora superate e una piena ripresa delle relazioni è subordinata alla previa soluzione delle questioni politiche e geostrategiche alla base della crisi. Delle tredici richieste cui il Quartetto aveva presentato al Qatar e al cui adempimento aveva condizionato il ripristino delle relazioni diplomatiche e commerciali non si è fatta menzione né da una parte né dall’altra. Non sembra che, al di là di una manifestazione di buona volontà, Doha abbia finora fatto concessioni e difficilmente le divergenze di questi anni su questioni considerate cruciali da Riyadh e soprattutto Abu Dhabi potranno essere cancellate con un colpo di spugna. Il Qatar, che da “battitore libero” non si è adeguato di buon grado alla linea dettata dalla leadership saudita all’interno del Gcc, era stato criticato per il suo sostegno all’islam politico rappresentato dalla Fratellanza musulmana considerata da sauditi ed emirati come una minaccia esistenziale; per i buoni rapporti con l’Iran con cui Doha condivide lo sfruttamento del più grande giacimento di gas del Golfo; per la partnership con la Turchia e l’apertura di una base militare turca sul suolo qatarino; e non da ultimo per il ruolo della diffusa emittente Al Jazeera, spesso cassa di risonanza di critiche nei confronti delle monarchie dei vicini del Gcc. In questi anni, non soltanto il blocco non ha piegato il Qatar ma ha anche sortito l’effetto opposto, cioè quello di rinsaldare i rapporti con l’Iran e la Turchia.

Se all’interno del Gcc lo scontro si è manifestato più sotto forma di “guerra fredda” – sono in molti a ritenere che l’invio di 3.000 soldati turchi in Qatar all’indomani del blocco sia servito da deterrente per eventuali azioni militari da parte del duo saudita-emiratino –, esso non ha mancato di proiettarsi al di fuori della penisola arabica nei principali teatri di crisi del Mediterraneo allargato e del Corno d’Africa, contribuendo ad accresce l’instabilità regionale. Proprio la Libia è diventata terreno privilegiato della guerra per procura tra il Qatar, e l’alleato turco, e gli Eau, che qui ha assunto una connotazione tanto ideologica quanto geopolitica. La competizione geopolitica tra l’asse Doha-Ankara e gli Eau sostenuti dall’Arabia Saudita ha aggiunto un’ulteriore linea di faglia nelle complesse dinamiche della regione che difficilmente troverà una composizione nel breve termine.

 

Sul piano economico, la fine del blocco rappresenta una importante boccata di ossigeno per il Qatar e per le altre monarchie in tempi di crisi pandemica, di bassi prezzi del greggio, di riduzione degli investimenti diretti esteri (Ide) e delle esportazioni energetiche. Anzi proprio le esigenze dell’economia innescate dalla pandemia costituiscono, insieme al cambio di direzione alla Casa Bianca, il game changer che ha spinto a decretare la fine del blocco al Qatar. Per quanto riguarda il Qatar, che in questi anni è stato abile nell’avviare produzioni interne così come nel creare catene di approvvigionamenti alternative rispetto ai tradizionali partner del Golfo, la fine dell’embargo avrà indubbi vantaggi economici, anche in vista dei Mondiali di calcio che si disputeranno nel piccolo emirato nel 2022 e che sono considerati un’opportunità di crescita per l’intera penisola arabica. Vantaggi innanzitutto per la compagnia di bandiera, la Qatar Airways, che potrà riprendere i collegamenti con i vicini del Golfo e in particolare con l’hub internazionale di Dubai. Benefici anche nel settore bancario, con i flussi di capitali soprattutto sauditi che ritorneranno nel paese, nel comparto turistico e nel commercio. Se si guarda al commercio del Qatar con il resto del Gcc e l’Egitto si nota il crollo dal 28% del 2016 al 7,8% del 2019, mentre prima del 2017 i turisti dalle altre monarchie del Golfo rappresentavano oltre il 50% degli arrivi nell’emirato. Ridare dinamismo al commercio, agli Ide e ai flussi turistici intra-Gcc, ma non solo, è una priorità per fare ripartire le economie del Golfo colpite dal doppio shock della crisi pandemica e del calo del prezzo del greggio, ma anche per portare avanti i piani di diversificazione economica che questi paesi hanno messo a punto per ridurre la dipendenza dagli idrocarburi, oggi più che mai necessari alla luce di risorse energetiche non illimitate e di un prezzo del petrolio che non sembra destinato a superare la soglia dei 50 dollari al barile nel medio periodo. Se “economy first” è il mantra all’interno del Gcc, resta da vedere se le esigenze dell’economia riusciranno a creare le condizioni per fare avanzare il processo diplomatico e superare le divergenze sul piano geopolitico.

 

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Valeria Talbot
Co-Head, ISPI MENA Centre

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