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Commentary

Morire per Sebastopoli? La crisi ucraina e i dubbi della NATO

03 marzo 2014

Il deteriorarsi della situazione in Ucraina, con il concreto rischio di una secessione di fatto di una parte del paese, ha determinato, nel corso del fine settimana, il marcato irrigidimento della posizione occidentale. In particolare gli Stati Uniti (che già la scorsa settimana avevano parlato di ‘grave errore’ di fronte al possibile coinvolgimento della Russia nella crisi) hanno ribadito, nelle ultime ore, la loro condanna per quello che hanno definito l’‘incredibile atto di aggressione’ di Mosca e minacciato ritorsioni in campo economico e diplomatico. L’azione di Washington – che lascia comunque aperto più di uno spiraglio per la soluzione politica della crisi – chiama in causa esplicitamente gli alleati occidentali e, fra questi, un’Alleanza Atlantica che nei giorni scorsi aveva anch’essa espresso la propria preoccupazione per le iniziative militari russe.

Prevedibilmente, la risposta dell’Alleanza è stata immediata, e ha preso la forma di un sostegno aperto alle posizioni di Kiev, espresso nella dichiarazione alla stampa del segretario generale Rasmussen al termine della sessione del Consiglio Nordatlantico del 2 marzo. Su richiesta di Kiev, l’Alleanza ha inoltre convocato, al termine della stessa sessione, una riunione della NATO-Ukraine Commission, organismo istituito dal Charter on a Distinctive Partnership del 1997 come principale foro di consultazione fra le parti. Al di là di queste iniziative diplomatiche rimangono però diversi dubbi rispetto a quelle che potranno essere la risposte della NATO a un ulteriore deterioramento della situazione, alla luce anche dell’intenzione annunciata dal Consiglio Nordatlantico di ‘ingaggiare’ anche il NATO-Russia Council nella risoluzione della questione.

La posizione dell’Alleanza Atlantica rispetto alla crisi ucraina non è, infatti, delle più facili. Se essa continua a limitare la propria azione a un ambito essenzialmente diplomatico, il rischio è che ciò si traduca in una significativa erosione della sua credibilità come organizzazione di sicurezza. Per contro, l’eventualità di un intervento diretto nella crisi – al di là dei dubbi che comporta rispetto alla sua forma e alla sua portata – rischia di avere pesanti ricadute sul sistema dei suo rapporti con la Russia. Per l’Alleanza, Mosca continua a rappresentare un interlocutore importante, non fosse altro perché l’unico capace di portare sfide credibili alla sicurezza delle sue frontiere orientali. Da questo punto di vista, nei vertici dell’Alleanza è ancora vivo il ricordo della crisi georgiana del 2008 e degli effetti che questa ha avuto sulle relazioni fra le parti.

Nonostante l’impressione di compattezza che garantisce il meccanismo del ‘consenso’, la NATO costituisce inoltre, oggi, una realtà profondamente frammentata. L’approssimarsi del vertice di South Wales e del rinnovo del segretario generale hanno aggiunto a questa frammentazione una nuova dimensione, che sembra emergere anche nella gestione ‘di basso profilo’ del dossier ucraino. In questo campo, la presa di posizione statunitense potrebbe rappresentare un punto di svolta. E’ tuttavia opportuno non dimenticare che la stessa amministrazione USA non sembra essere particolarmente unita intorno alla questione: come già in anche altre occasioni, vari e importanti sono gli interessi che Washington condivide con Mosca, e molti gli elementi che differenziano, in seno all’amministrazione stessa, il Presidente dai suoi principali collaboratori.

Gianluca Pastori, professore aggregato di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.

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