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Focus
Mosul: battaglia decisiva o vaso di Pandora?
18 ottobre 2016

Dopo settimane di rinvii ha ufficialmente preso avvio l’offensiva militare guidata dall’esercito iracheno e dai peshmerga curdi, con l’ausilio delle forze speciali statunitensi, per liberare Mosul dai miliziani dello Stato islamico (ISIS). Baluardo simbolico e politico dell’ISIS e secondo centro iracheno, Mosul è in mano al califfato dal giugno 2014. La campagna per riconquistare la città è la più grande operazione militare nel paese dal ritiro delle truppe statunitensi nell’agosto 2011. Fin dalle prime ore dell’offensiva l’esercito iracheno ha dichiarato di aver inflitto pesanti perdite umane e militari all’ISIS, mentre i peshmerga curdi hanno annunciato di aver strappato alle milizie del califfo otto villaggi sul fronte di Khazir. La possibile presa di Mosul entro la fine dell’anno rappresenterà l’ennesimo duro colpo inferto all’organizzazione di al–Baghdadi, ma rischia anche di scatenare vecchi problemi irrisolti con conseguenze incerte sul paese e sull’intero scenario internazionale.

 

Quale impatto nella lotta a ISIS in Iraq?
Gli effetti sarebbero estremamente rilevanti a ogni livello. Come spiegato da Andrea Plebani (Università Cattolica e ISPI), sul piano della legittimità, la ripresa di Mosul rappresenterebbe un duro colpo per al–Baghdadi. Benché lo Stato islamico detenga ancora il controllo di Raqqa, nell’est della Siria, la perdita di Mosul risulterebbe un fattore strategico e simbolico decisivo. L’immagine di ISIS, inoltre, già pesantemente segnata dalle sconfitte subite nel 2015 e 2016, ne sarebbe fortemente compromessa, dato che essa era legata alla capacità del movimento di presentarsi come unico attore in grado di sfidare e tenere a bada i molti nemici della comunità islamica. Sul piano militare, una vittoria a Mosul potrebbe dar luogo ad un’atomizzazione delle forze di al–Baghdadi attive in Iraq, soprattutto qualora l’offensiva su Mosul venisse accompagnata da una campagna parallela su Hawija e Tal Afar. Rimarrebbero sacche ostili sul territorio e, con ogni probabilità, si assisterebbe a un incremento degli attentati, ma per l’ISIS verrebbe meno un centro nevralgico cruciale.
 
Un intervento risolutivo?
Per Giovanni Parigi (Università degli Studi di Milano) la liberazione della città, più che un appuntamento con la storia, rischia di trasformarsi in un ulteriore passo verso il caos per un paese, l’Iraq, avviato verso una disorganica disintegrazione. Troppe le criticità esistenti che rischiano di accelerare tale processo. A partire dal fattore ISIS, che non scomparirà affatto ma rimarrà attivo sotto altre forme come movimento di insurgency nutrendo e allo stesso tempo nutrendosi dello scontento sunnita. Direttamente collegata al primo nodo rimane centrale la questione dei sunniti iracheni, che per lungo tempo sotto al–Maliki si sono sentiti discriminati e perseguitati. In questo senso la liberazione di Mosul dall’ISIS non migliorerà certo la situazione e rischia invece oggi di lasciare questa comunità schiacciata tra le ambizioni territoriali curde e politiche sciite da un lato, e la debolezza del governo centrale dall’altra. Altro punto è il complesso rapporto tra le autorità centrali di Baghdad e quelle curde di Erbil, che, come spiegato nell’ISPI Report "Kurdistan: An Invisible Nation", rappresentano ad oggi un’altra grande incognita. La caduta di Mosul riporterà in primo piano la questione dei territori contesi tra governo centrale e governo regionale del Kurdistan, lasciando presagire un duro scontro politico. A tutto ciò vanno infine aggiunte le profonde divisioni politiche interne al governo iracheno e la rilevante influenza esercitata dagli attori esterni sul paese, con Turchia, Iran e Stati Uniti fortemente interessati a un Iraq post–ISIS.
 
Quali conseguenze per la Siria?
Con ogni probabilità, nel giro di poche settimane, l’offensiva militare in Iraq spingerà le milizie dell’ISIS ad abbandonare Mosul e a ripiegare verso la Siria, dove il gruppo possiede una seconda roccaforte, a Raqqa. Di certo, spiega Jason Burke dalle pagine del quotidiano The Guardian, il califfato uscirà fortemente indebolito dalla perdita di un territorio ampio e strategico come quello di Mosul e anche se i miliziani in fuga cercheranno verosimilmente di rimpolpare le fila del gruppo dall’altro lato del confine, l’ISIS dovrà necessariamente riorganizzare le proprie forze e cambiare strategie. In Siria, le conseguenze della disfatta a Mosul potrebbero essere molteplici. Almeno nell’immediato, la sconfitta dell’ISIS come potenza territoriale andrà con ogni probabilità a beneficio del regime di Bashar al–Assad, sempre più impegnato con le forze russe sue alleate nella campagna militare di conquista di Aleppo. Sul lungo termine, l’indebolimento del califfato potrebbe però rappresentare un vantaggio anche per le altre milizie islamiste, come per esempio il gruppo Jabhat Fatah al-Sham (JFS, ex Jabhat al-Nusra), ufficialmente non più legato ad al–Qaeda e da tempo impegnato in un’opera di unificazione dei gruppi di opposizione armata in un’unica "grande coalizione" islamista.
 
Un rischio calcolato per Obama?
Per l’amministrazione Obama, il lancio della campagna militare su Mosul potrebbe dischiudere l’allettante prospettiva di una sconfitta dell’ISIS in Iraq prima delle elezioni dell’8 novembre. Infatti, oltre ad indebolire significativamente il califfato, la presa della città irachena offrirebbe al presidente un argomento efficace per difendersi dalle critiche persistenti di non essere stato tempestivo nell’affrontare la minaccia dello Stato islamico, un’accusa che secondo diversi commentatori continuerà a pesare ancora per molto tempo sull’eredità politica del presidente uscente. Benché, come spiega Geoff Dyer dalle colonne del Financial Times, siano in pochi a prevedere una vittoria rapida a Mosul, è assai probabile che le forze governative irachene riescano ad entrare nella città prima del voto americano, grazie soprattutto all’aiuto dei militari USA. Nell’operazione, sostiene il quotidiano britannico, il sostegno americano è stato infatti fondamentale, benché al tempo della presa di Mosul da parte dell’ISIS nel 2014 l’amministrazione Obama optò per non intervenire immediatamente, preferendo investire sulla formazione e sull’equipaggiamento dell’esercito di Baghdad.

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