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Commentary

Motore inceppato per i Paesi in via di sviluppo?

Lorenzo Borga
17 giugno 2022

 

Se l’Occidente si sta rendendo rapidamente conto del guaio economico in cui si sta cacciando – con una recessione che, secondo sempre più esperti, è alle porte – le cose si stanno mettendo decisamente peggio per i Paesi emergenti e ancor più per quelli a basso reddito. La guerra in Ucraina ha solo esacerbato una condizione di fragilità che covava da tempo. Le cattive notizie si stanno accumulando: rialzo dei prezzi alimentari ed energetici, rafforzamento del dollaro, inflazione che esplode, crescita che rallenta, povertà che dopo decenni di cali dal Covid in poi è tornata a salire leggermente.

 

Dollaro forte e rincari delle commodities

Partiamo dai problemi monetari. Il dollaro in rafforzamento indebolisce i Paesi emergenti che devono ripagare debiti nella valuta americana (pur escludendo le banche, si tratta di più di 4mila miliardi di dollari di debito in dollari). E lo stesso vale per chi deve importare beni comunemente venduti in dollari, come prodotti alimentari ed energetici. Quasi tutte le più comuni valute di questi Paesi hanno perso terreno rispetto al biglietto verde nell’ultimo anno, facendo preoccupare molto le istituzioni internazionali. Usando le parole di Manik Narain, responsabile di Ubs per i Paesi emergenti: “Le crepe si stanno allargando: quando un dollaro forte incontra alti prezzi delle commodities, non è una novità che si abbiano problemi nei mercati emergenti”. Era già accaduto nella crisi messicana del 1994 e con il default russo del 1998. E la prima vittima di questa nuova tornata di rialzi dei tassi è stato lo Sri Lanka, che a maggio ha dichiarato default dopo non essere riuscito a ripagare più di 78 milioni di dollari agli investitori internazionali.

Valute più deboli possono causare in economie dipendenti dall’estero forti fiammate di inflazione. Soprattutto se associate a rialzi dei prezzi globali dei prodotti importati. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato per il 2022 un rialzo dei prezzi nelle economie in via di sviluppo dell’8,7%, un peggioramento delle previsioni di quasi tre punti rispetto all’outlook precedente. I numeri della Banca Mondiale – che concentra la propria ricerca sui Paesi più poveri – sono ancora più impressionanti: ad aprile la mediana del rialzo dei prezzi aveva raggiunto il 12%, mentre la media dei due anni precedenti alla pandemia si era attestata solo al 4%.

A preoccupare è anche la crescita economica in forte rallentamento. La Banca Mondiale a giugno ha ridotto le stime di crescita per 7 economie emergenti su 10, e per 8 su 10 per quelle a basso reddito, in particolare per quei Paesi – Repubblica Democratica del Congo, Rwanda e Uganda – che dipendono pesantemente dall’import di grano da Russia e Ucraina. Per questi Stati le stime di crescita si fermano quest’anno al +4,1%, ben sotto la media degli ultimi vent’anni.

 

Il nodo della globalizzazione

Le economie in via di sviluppo stanno soffrendo l’inflazione e il conseguente rialzo dei tassi americani, così come anche la guerra in Ucraina con i suoi risvolti energetici e alimentari. Ma è il medio termine a preoccupare le istituzioni internazionali: se davvero la globalizzazione dovesse subire un colpo mortale e tornasse di moda il reshoring (o friendshoring, come ultimamente è chiamato), i Paesi in via di sviluppo dovrebbero trovare un motore di crescita diverso da quello degli ultimi due decenni, in cui hanno beneficiato degli scambi commerciali e delle catene del valore globali (rimanendo però, in particolare le regioni più povere, l’anello più vulnerabile della catena).

 

Contenuti correlati: 
Global Watch: Speciale Geoeconomia n.108
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AUTORI

Lorenzo Borga
Sky Tg24

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