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Il mondo in tasca

Myanmar: il mondo guarda altrove

11 gennaio 2022

Per un pugno di... walkie-talkie

Alla fine la condanna è arrivata, l’ennesima. Aung San Suu Kyi, 76 anni, dovrà scontare 4 anni di carcere per un capo d’accusa risibile: importazione illegale di walkie-talkie. La condanna si aggiunge a quella a due anni comminata a dicembre, per incitamento ai disordini seguiti al golpe militare di febbraio. 

San Suu Kyi, Nobel per la pace nel 1991, dal 2016 era leader di fatto del primo esecutivo civile democraticamente eletto dopo mezzo secolo di regime militare. Ma il suo periodo al potere aveva rivelato tutte le contraddizioni di un paese in cui i militari continuavano a svolgere un ruolo predominante. Fino, appunto, al golpe che l’ha ripiombato nella dittatura. 

Divieto d’accesso

La figura di San Suu Kyi ben riflette il clima che si viveva in Myanmar “in democrazia”: costretta a una convivenza forzata con i militari, si è spesso trovata a sostenere la repressione della minoranza musulmana, i Rohingya, che ha causato migliaia di morti e 750.000 sfollati. 

Adesso, dopo il golpe, il Myanmar è tornato sotto il controllo di un regime chiuso e brutale. A settembre l’opposizione democratica ha dichiarato guerra alla giunta. Ma le proteste e l’insurrezione armata, che hanno già causato oltre 1.400 morti e 11.000 arresti, hanno solo aumentato la tendenza del regime a compiere eccidi sempre più indiscriminati. 

E le stelle stanno a guardare

A marzo i ministri della Difesa di 12 paesi europei (tra cui UK e Italia) avevano condannato il golpe, mentre Biden aveva denunciato il nuovo “regno del terrore”, inasprendo le sanzioni. E l’ASEAN aveva adottato una posizione comune in cinque punti per la de-escalation. 

Ma le pressioni della comunità internazionale sono progressivamente diminuite. Certo, nessun paese riconosce ancora la giunta militare. Ma la Cina, partner tradizionale, pone il veto alle sanzioni Onu. La Russia ha rafforzato la cooperazione militare col regime. E venerdì in Myanmar è atterrato in visita ufficiale Hun Sen, leader autoritario della Cambogia e presidente di turno dell’ASEAN. 

Insomma, la cartina tornasole del mondo di oggi: incapace o poco propenso a far rispettare i diritti umani, anche in paesi con poco peso sullo scacchiere internazionale. 

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Myanmar Asia Aung San Suu Kyi
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