Lo spazio dovrà ben presto fare i conti con il capitalismo. Da un decennio ormai le attività spaziali sono diventate terreno di conquista di compagnie private affrancate dalle agenzie pubbliche (con cui però continuano a firmare lauti contratti). L’esempio negli occhi di tutti è SpaceX, la compagnia privata fondata dal miliardario Elon Musk che per prima (e unica, per ora) ha trasportato esseri umani verso la Stazione Spaziale Internazionale per conto della NASA. SpaceX è stata capace di 139 lanci in quindici anni e vanta nel curriculum solo due fallimenti dal 2010 a oggi. Tanto che se venisse quotata in borsa, come si vocifera, potrebbe valere attorno ai 100 miliardi di dollari.
Ma lo strapotere di Musk sta impensierendo i policy makers non per i razzi, bensì per un altro ramo del business: i satelliti. O per meglio dire nanosatelliti del programma Starlink, che mira a mandarne in orbita una costellazione intera per offrire connessione Internet rapida in tutto il globo. La notizia è l’intervista al Financial Times del direttore generale dell’ESA, l’agenzia spaziale europea, che ha affermato: “Oggi Musk è proprietario di metà dei satelliti attivi in tutto il mondo. È straordinario: di fatto, è lui che fa le regole. Mentre il resto del mondo non sta rispondendo adeguatamente”.
L’orbita terrestre inferiore si sta insomma affollando, e non sembra esserci nessuno vigile urbano a regolare il traffico. SpaceX ha già lanciato 1.750 nanosatelliti negli ultimi due anni, ma siamo ancora ben lontani dagli obiettivi: l’intera costellazione dovrebbe infatti raggiungere le 40mila unità e Starlink ha già ottenuto l’approvazione per 30mila. La compagnia americana per ora non ha rivali. La insegue OneWeb, startup inglese e indiana che ha lanciato fino a ora 358 satelliti e che mira a vendere i propri servizi Internet dall’anno prossimo (mentre SpaceX ha già 140mila clienti in tutto il mondo). Al banchetto non mancheranno la Cina e Amazon, che hanno in programma la messa in orbita di migliaia di satelliti. Salta all’occhio, ma purtroppo non è una novità sulla frontiera tecnologica, l’assenza di investimenti europei rilevanti, nonostante la posizione di rilievo che l’industria aerospaziale continentale si è costruita nei decenni.
L’allarme dell’ESA è motivato dalla paura che per i second movers ci saranno delle spiacevoli sorprese. Se infatti SpaceX rimanesse la sostanziale monopolista del mercato ancora per un paio d’anni, come sembra destinata a essere, potrebbe dettarne le regole. La bassa orbita terrestre è spaziosa – si stima che nel giro di un decennio si raggiungerà la soglia dei 100mila satelliti – ma chi prima arriva può accaparrarsi le orbite più interessanti. Il ministro dell’Economia del Lussemburgo - uno dei Paesi più all’avanguardia per la regolamentazione della new space economy – è arrivato a usare la parola “colonizzazione” per descrivere ciò che sta accadendo sopra le nostre teste.
L’economia dello spazio appare d’altronde un caso di studio di monopolio naturale. Nonostante i costi in rapida discesa – oggi un razzo costa una frazione di quanto era necessario spendere fino a venti anni fa – le barriere all’ingresso nel mercato della space economy sono ancora enormi: sia finanziarie che tecnologiche. Lo stesso Elon Musk, nonostante la sua enorme ricchezza e i variegati successi di SpaceX, ha scritto una lettera ai dipendenti affermando che, se non si riuscirà a trovare una soluzione per i motori di un nuovo razzo in costruzione, “si rischia la bancarotta”.
Per di più la regolamentazione è alquanto scarna e non adatta alla competizione privata, che ha preso ormai il posto della corsa allo spazio delle nazioni rivali. L’incertezza rischia di rallentare gli investimenti dei second movers e anche di aprire scenari complicati per il futuro: se davvero nel corso di un decennio l’umanità dovesse arrivare su un altro pianeta del Sistema Solare, chi regolamenterà i prezzi delle spedizioni evitando condizioni di monopolio? Chi regolerà l’utilizzo delle risorse extraterrestri sfruttabili? Si tratta di quesiti non più così lontani nel tempo, e la lotta per la conquista delle orbite migliori per i nanosatelliti è solo l’inizio della battaglia privata per la space economy.