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Daily Focus

Nato: al vertice della tensione

03 Dicembre 2019

I leader dei paesi Nato si riuniscono nel 70esimo anniversario dell'Alleanza Atlantica. Ma al vertice di Londra c'è poco da festeggiare: Trump minaccia nuovi dazi sugli alleati europei, Erdogan è osservato speciale dopo l’intervento in Siria e Macron ha scioccato tutti parlando di un’alleanza ormai in stato di “morte cerebrale”.

 

A settant’anni dalla nascita, il futuro dell’alleanza militare tra Stati Uniti e paesi europei in funzione anti-sovietica è quanto mai traballante. Nel 1949 i suoi membri fondatori sottoscrissero un trattato in cui si definisce un attacco contro uno di loro, un attacco contro tutti. Nel 2019 però, più che agli attacchi dei nemici esterni l’alleanza sembra dover badare alle divisioni e ai contrasti tra gli alleati interni. Tra Macron e il presidente turco Erdogan già volano gli stracci, mentre Trump minaccia nuovi dazi e si agita lo spauracchio di un abbandono del Patto Atlantico se i paesi europei non provvederanno a stanziare più fondi. “La Nato è forte” sostiene il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg. Avrà anche ragione, ma allora perché l’alleanza – che aveva tutti i motivi per esistere durante la guerra fredda – oggi appare in profonda crisi di identità?

 

Perché un Patto Atlantico?

 

Nata per arginare la minaccia sovietica, la Nato ha il suo fondamento nell’articolo 5 del trattato, che impegna tutta l’alleanza a difendere un paese membro in caso di attacco. Negli anni della Guerra Fredda, non fu mai invocato. Lo è stato dopo l’attacco al World Trade Center di New York dell’11 settembre 2001. In risposta, i paesi dell’Alleanza organizzarono una missione militare in Afghanistan, l’Isaf, rimasta operativa tra il 2001 e il 2014. Prima di allora però, l’impegno militare iniziò nella regione balcanica, quando nel 1995 l’aviazione Nato intervenne nel conflitto in Bosnia-Erzegovina. Negli anni successivi la Nato è stata impegnata con missioni di addestramento in Afghanistan, in Iraq e nel Golfo di Aden in operazioni anti-pirateria. In Libia, invece, è intervenuta militarmente con la controversa operazione “Unified Protector” durata dal marzo all’ottobre 2011, allo scopo di garantire l’embargo sulle armi e l’interdizione al volo, ma anche per proteggere la popolazione civile. Oggi 29 paesi fanno parte della NATO e un’altra decina sono in trattativa per entrare a farne parte. 

 

 

Alleanza in coma?

 

Lo scorso 7 novembre, durante un’intervista all’Economist, il presidente francese Emmanuel Macron ha definito la Nato “cerebralmente morta”, aggiungendo che i paesi europei non dovrebbero più farci grande affidamento: “Dovremmo invece pensare a cosa è diventata alla luce dell’atteggiamento degli Stati Uniti” ha aggiunto Macron, spiegando che l’inaspettata decisione di ritirare l’esercito americano dalla Siria ha permesso alla Turchia, alla Siria e alla Russia di espandere la propria influenza nel paese, dimostrando l’intenzione degli Stati Uniti di “voltare le spalle” agli alleati europei. 

Il primo a rispondergli è stato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha accusato Macron di essere egli stesso “in stato di morte cerebrale”. A seguire, anche il presidente Trump ha criticato il suo omologo francese, definendolo “offensivo e irrispettoso” e definendo le sue parole "molto, molto malevoli”. Una stilettata che arriva proprio mentre gli Stati Uniti minacciano nuovi pesanti dazi su prodotti francesi ed europei in ritorsione alla ‘digital tax’, la tassa su giganti del web. Per aggiustare il tiro, Emmanuel Macron è stato costretto a precisare che non vuole far sparire la Nato ma solo accelerare la creazione di una difesa comune europea. La sua provocazione ha però il merito di aver dato voce al timore di molti: la politica di Washington sta cambiando e l’Europa non sa bene come comportarsi.

 

Quali sfide all’orizzonte?

 

Sembra accantonata, almeno per ora, la questione del burden-sharing (letteralmente la condivisione del peso dei costi dell’Alleanza): il presidente Trump si è detto soddisfatto degli aumenti di spesa dei paesi europei per la difesa. Da anni, è il leit-motiv del presidente, gli Stati Uniti spendono troppo per garantire la difesa degli alleati. Un’accusa solo parzialmente fondata e che non tiene in considerazione altri indicatori. Se alle spese economiche, ad esempio, si aggiungessero il numero di soldati messi a disposizione per le operazioni targate Nato, si scoprirebbe molti paesi europei fanno più di quanto dovrebbero in rapporto alla propria forza economica.

 

 

Altro dossier scottante è quello della Turchia, e non solo a causa della recente campagna militare nel nordest della Siria. A questo, va aggiunto l’acquisto da parte di Ankara degli S-400, un sistema antimissilistico di fabbricazione russa. Come se non bastasse, prima di partire per il vertice di Londra, Erdogan ha dichiarato che la Turchia non approverà un piano per difendere la Polonia, e le Repubbliche baltiche in caso di attacco russo fino a quando la Nato non riconoscerà la milizia curda dell’YPG come terroristi.

Last but not least: per la prima volta l’Alleanza affronta “la crescita cinese” come sfida alla sicurezza transatlantica. Su pressione americana, nell’agenda del vertice è stato inserito il tema della penetrazione di prodotti hi-tech cinesi all’interno dei grandi snodi infrastrutturali europei. Il nodo è in particolare la rete di ultima generazione 5G, fondamentale per l’interconnessione dei sistemi informatici e l’elaborazione di dati, ma soprattutto l’intelligenza artificiale e il machine learning.

In questo clima, avvelenato da polemiche e interessi contrastanti, le parole del premier britannico Boris Johnson in occasione dell’apertura dei lavori sembrano quasi surreali: La Nato "è in buona salute" ed è un simbolo di "fantastico successo" ha detto. “Siamo una grande alleanza che ha avuto un fantastico successo per 70 anni e ha portato pace e prosperità. Ciò che conta – ha aggiunto – è affrontare le minacce uniti”. Buona fortuna.

 

 

IL COMMENTO

di Davide Borsani, Associate Research Fellow Relazioni Transatlantiche ISPI

 

“La NATO ha diverse sfide davanti a sé. La retorica di Trump, cui tuttavia non corrisponde un disimpegno degli Stati Uniti, che anzi hanno incrementato fondi e unità in Europa. Ma anche quella rappresentata dalla Turchia sul fianco sud, un alleato recalcitrante che solleva dubbi sul suo ruolo euro-atlantico. E, sul fianco orientale, dalla Russia, un vecchio nemico il cui ritorno allo status di grande potenza preoccupa l’Alleanza.

 

Ma un’altra sfida urgente resta quella sul fronte interno dell’Alleanza, attraversata da attriti e discordanze che ne mettono a rischio la coesione”.

 

 

* * *

A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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