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Il no della Bulgaria
Nazionalismo e veti bloccano la Macedonia del Nord, e l’UE stessa
Giorgio Fruscione
18 novembre 2020

Per vent’anni è stata la Grecia. L’anno scorso fu il turno della Francia. Oggi è la volta della Bulgaria. Porre un veto all’integrazione in UE della Macedonia è un’esperienza condivisa da molti paesi membri. Eppure si tratta del paese più europeista dei Balcani, che due anni fa cambiò addirittura nome per avvicinarsi ulteriormente a Bruxelles. Se fino ad allora fu l’intransigenza di Atene contro l’uso di un nome che connota la sua regione settentrionale, oggi è il nazionalismo di Sofia a mettere il bastone nella ruota che porta Skopje verso l’Unione Europea.

Nel Consiglio degli Affari Esteri UE di ieri, la Bulgaria ha così posto il veto che minacciava da settimane. Il governo di Sofia contesta l’identità macedone, e vuole che Skopje riconosca che la propria lingua e cultura siano in realtà di origini bulgare. Per quanto dietro il veto ci sia soprattutto la volontà del premier bulgaro Boyko Borisov di rilanciare il proprio governo in vista delle elezioni della prossima primavera, questo ennesimo stop costerà caro non solo alla Macedonia del Nord, ma a tutta la regione balcanica. Nonché al processo d’allargamento UE.

 

La Bulgaria ha ragione?

Il nazionalismo bulgaro contro la Macedonia del Nord ha origini lontane. Fu anche la causa che portò allo scoppio della Seconda guerra balcanica nel 1913: gli ex alleati della Lega balcanica che avevano combattuto contro l’Impero Ottomano fecero la guerra contro la Bulgaria, contraria all’annessione serba della Macedonia. Questa venne poi occupata sia nella Prima che nella Seconda guerra mondiale dalle truppe bulgare. Accrescendo, da parte macedone e jugoslava, il risentimento per il collaborazionismo di Sofia con gli Imperi Centrali prima e con le forze dell’Asse poi. E proprio questi momenti storici occupano parte delle motivazioni che hanno spinto la Bulgaria al veto: si richiede infatti che i libri di scuola macedoni smettano di incolpare Sofia per l’occupazione quando era alleata della Germania nazista. Non solo. Il ministero degli Affari esteri bulgaro vuole che il presidente jugoslavo Tito sia considerato un sostenitore di Stalin, anche se, in realtà, lo scontro tra i due leader portò allo scisma nel mondo socialista nel 1948, con la rottura tra Jugoslavia e Unione Sovietica. Infine, la Bulgaria vuole che Skopje riconosca che la lingua e l’identità macedone sono di origine bulgara. I due idiomi sono infatti molto simili, e il macedone viene spesso inteso come un dialetto bulgaro, sebbene i due alfabeti cirillici godano di autonome specificità.
Eppure, se anche la Bulgaria avesse ragione, le ragioni del suo veto sono oggi in contraddizione con lo spirito che portò alla firma degli accordi d’amicizia sottoscritti dai due paesi nel 2017, quando Sofia si impegnò a non ostacolare il percorso europeo della Macedonia del Nord in nome delle dispute storiche. Una volontà ribadita sia nell’ottobre del 2019, quando a porre il veto fu invece la Francia di Emmanuel Macron, che lo scorso marzo quando, alla luce di una nuova metodologia per l’allargamento, si diede finalmente luce verde al paese.
Infine, le motivazioni che hanno riattivato il nazionalismo bulgaro non sono tanto storiche quanto politiche. La Bulgaria è stata attraversata da proteste di piazza che per mesi hanno chiesto conto della corruzione endemica nel paese, al centro della quale ci sono diversi scandali del governo Borisov. Il premier vuole quindi giocarsi la carta del nazionalismo in vista del voto della prossima primavera al quale il suo esecutivo potrebbe essere punito dagli elettori.

 

Europeizzazione dei Balcani o balcanizzazione d’Europa?

Per la Macedonia del Nord, quella di ieri doveva essere solo una formalità a margine dell’incontro in teleconferenza dei ministri degli Esteri UE – in cui si è discusso di tanti importanti temi, come la lotta alla pandemia e al cambiamento climatico – e invece è arrivato il preannunciato, nuovo stop. L’ennesimo per un paese che più di tutti ha testato il principio di condizionalità dell’Unione Europea, il cui sistema dell’unanimità rischia di colpire duramente, ancora una volta, sia il governo più progressista dei Balcani che gli altri candidati della regione. Nel 2018, l’accordo di Prespa non risolse solo la decennale questione del nome macedone rimovendo il veto greco per l’integrazione euroatlantica di Skopje. Ebbe innanzitutto il merito di riaffermare l’arma del negoziato e del bilateralismo in una regione il cui recente passato è stato caratterizzato dalla violenza e dal fallimento della diplomazia internazionale per la risoluzione delle dispute territoriali.
Il governo socialdemocratico che dal 2017 guida Skopje ha compiuto straordinari passi in avanti nel processo di europeizzazione, accogliendo sia singole istanze nazionali degli stati membri che le richieste di riforma della Commissione. Lo stop di oggi rischia invece di portare a un nuovo ciclo di instabilità a Skopje – come dopo il veto francese del 2019, quando il premier Zoran Zaev si dimise – e non trasmette le necessarie rassicurazioni a una regione in precario equilibrio geopolitico. In primis se si guarda al processo di normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina, propedeutico per progredire verso la piena integrazione UE, già caratterizzato da continui stop-and-go e da opposte influenze.
Infine, la predominanza dei veti dimostra che il processo d’allargamento UE è, ancora una volta, ostaggio della politica, a prescindere dalla metodologia che viene adottata. E in particolare delle istanze nazionaliste, spacciate per tutela dei singoli interessi nazionali, fino a far risultare l’Unione stessa un organismo paralizzato dal proprio sistema procedurale e di scarsa incisività nel perseguire obiettivi comuni. Un’Unione Europea più frammentata tra gli stati membri, o, rendendo la situazione paradossale, più balcanizzata nell’integrare i Balcani.

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Balcani Europa
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AUTORI

Giorgio Fruscione
ISPI Research Fellow

Nella foto: i primi ministri di Macedonia del Nord e Bulgaria Zoran Zaev e Boyko Borisov

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