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Reagire alla crisi
Nel motore di un euro sempre più forte
Franco Bruni
18 Dicembre 2020

Di solito la BCE evita di commentare le vicende del cambio. Dopo la riunione di settembre del suo comitato direttivo fu la domanda di un giornalista a strappare a Mme Lagarde un segno di preoccupazione per la forza dell’euro, pur ribadendo che il cambio non è fra gli obiettivi della politica monetaria. Nella riunione del 10 dicembre, col valore dell’euro in dollari salito di un altro 2%, quella preoccupazione è stata inclusa anche nel comunicato stampa, garantendo che la BCE “continuerà a seguire l’andamento del cambio in relazione alle sue possibili implicazioni per le prospettive di inflazione a medio termine”. L’euro forte innervosisce la banca centrale che ha più difficoltà ad alzare l’inflazione verso i suoi obiettivi, visti i minori costi delle importazioni, e innervosisce gli esportatori europei, che risultano meno competitivi.

 In effetti l’euro ha una accentuata tendenza al rialzo fino da metà marzo, in pieno avvio della pandemia: contro dollaro si è rivalutato di circa il 13%, anche se nello stesso periodo la rivalutazione è stata poco più della metà, meno dell’8%, contro una media dei partner commerciali principali dell’eurozona. 

Per valutare la fase di rialzo dell’euro si può guardare alle tendenze passate del cambio col dollaro. Fra febbraio e marzo di quest’anno si è invertita una tendenza opposta col dollaro forte che proseguiva, con varie fluttuazioni, fin dall’inizio del 2018 quando occorrevano 1,25 dollari per acquistare un euro, più di questi ultimi giorni. Opposta, a sua volta, era stata la tendenza precedente, cominciata alla fine del 2016 con un euro rivalutato del 25%. Prima ancora c’era stata un’altra fase di dollaro forte cominciata nella primavera del 2014 quando l’euro valeva addirittura 1,40 dollari che, d’altro canto, era il 10% in meno del cambio appena prima della crisi Lehman, nel luglio del 2008: fu il momento di massimo valore dell’euro fin dalla nascita quando valeva, contro dollaro, poco meno di adesso. Si noti che durante il pieno della crisi Lehman, una crisi molto americana, fra agosto e ottobre del 2008, il dollaro si rivalutò del 27% contro euro. 

 

Risk-on, risk-off

Come inquadrare la forza attuale dell’euro nella logica dei considerevoli su e giù dei suoi vent’anni di vita? Guardiamo la cosa dal punto di vista del dollaro. Una causa importante dell’alternarsi della sua forza e debolezza è l’atteggiamento dei mercati finanziari internazionali nei confronti del rischio: nelle fasi cosiddette di risk-on, quando la situazione economico-politica globale e le aspettative alimentano la propensione a prendere rischi,il dollaro tende a svalutarsi e viceversa. Come mai? La ragione è che, quasi indipendentemente da come vanno le cose nell’economia americana, il dollaro costituisce un rifugio nelle fasi di risk-off: o meglio, a costituire rifugio sono la ricchezza, la profondità e l’efficienza del mercato finanziario statunitense, l’ampia gamma di attività finanziarie e reali, le varie combinazioni possibili di rischio e rendimento a disposizione di un portafoglio di dollari. 

Una lunga fase prevalentemente di risk-on sono stati gli anni precedenti il 2008, quando c’era troppo ottimismo sul fatto che il mondo fosse in grado di crescere per sempre, con tanta moneta, tanto debito e poca inflazione. La crisi da eccesso di debiti che seguì invertì la propensione al rischio avviando il risk-off che sostenne la rivalutazione del dollaro nonostante il disastro che emergeva nella finanza statunitense. La forza tendenziale del dollaro continuò fino a dopo la crisi dell’eurozona e fino all’arrivo di Trump alla presidenza USA e la prospettiva di politiche economiche (detassazioni, deregolamentazioni, ecc.) foriere per molti commentatori e gestori finanziari di una nuova età dell’oro. Due anni di prevalente risk-on, col dollaro che imboccò presto una rapida discesa. Nel 2018 si accentuarono problemi globali di vario genere, dalla frenata dell’economia cinese a minacce protezionistiche, comprese le tensioni politiche nell’area dell’euro con lo spread italiano in prima fila. Tornò dunque il risk-off, col dollaro-rifugio che si rivalutò fino allo scoppio della pandemia. La quale, paradossalmente, finì presto per esser considerata fase di prevalente risk-on con una quasi continua svalutazione del dollaro.

Infatti durante il 2020, al di là di atteggiamenti che si alternavano a seconda delle notizie sulla pandemia, ha prevalso la tendenza a cercare rischi e rendimenti in un ambiente mondiale con ferite pandemiche considerate temporanee, tassi bassissimi o negativi e il sostegno continuamente proclamato di politiche monetarie e di bilancio estremamente espansive e delle quali non si è mai presa in seria considerazione l’inversione. A far da sfondo c’è stato il rigonfiamento vertiginoso della borsa azionaria USA che ha sfondato ogni record, con gli indici S&P 500 e Nasdaq cresciuti da marzo a inizio dicembre più del 40%.

 

Per una moneta attraente ma non sopravvalutata

Il rafforzamento dell’euro durante la pandemia non è solo l’altra faccia della debolezza del dollaro di una fase globale di risk-on. È anche il riflesso dell’apprezzamento riservato dai mercati alla coesione mostrata dall’eurozona con l’importante iniziativa del New Generation EU (NGEU), prima proposta e poi avviata all’approvazione del Consiglio le cui decisioni di dicembre hanno confermato la forza del cambio nonostante negli stessi giorni la BCE abbia assicurato nuovi lunghi periodi di tassi bassi e negativi e abbia ricordato con inusuale spicco la sua preoccupazione per la forza del cambio. 

Ma c’è modo di non pagare i successi dell’integrazione dell’eurozona con una sopravvalutazione del cambio? Se si vuole che una moneta diventi più attraente ma non sopravvalutata occorre emetterne di più. Ma non in forma liquida e priva di rendimento, cioè sovrabbondante e meno desiderabile anche perché infragilisce il sistema finanziario. Vanno denominati in quella moneta titoli con un buon rapporto fra rischio e rendimento e trattati in un mercato ampio, diversificato, profondo ed efficiente. È anche per questo che sono cruciali le emissioni per finanziare il NGEU. 

Andando oltre le obbligazioni emesse finora da alcune istituzioni comunitarie come la Banca Europea degli Investimenti (BEI), l’UE si affaccia come tale al mercato globale dei capitali con un debito comune di una certa consistenza. Ed è bene che questi titoli vengano diffusi nel mondo e non si conti sulla BCE per la loro detenzione, magari fingendo che non siano veri debiti ma miracoli della macchina che stampa moneta. È inoltre auspicabile che il bilancio dell’UE si espanda adeguatamente anche dopo l’epidemia e che il suo disavanzo, pur limitato e ben controllato, sostituisca una parte dei disavanzi nazionali, divenga strutturale e trovi finanziamento in un flusso di emissioni regolare con titoli sempre meglio diversificati. 

 

Il sistema monetario internazionale

Finora il ruolo del dollaro come moneta internazionale e di riserva è rimasto assolutamente dominante e indipendente dal declino del peso economico e commerciale degli USA nel mondo. Ciò, come già detto, dipende dalla ricchezza del mercato dei capitali denominato in dollari. Fu così, tanto tempo fa, anche con la sterlina il cui dominio non dipendeva dall’importanza produttiva e commerciale del Regno Unito ma dal primato assoluto di Londra come centro finanziario. Ed è dall’evoluzione del mercato mondiale dei capitali che dipenderà il ruolo futuro del dollaro. Solo se altre aree monetarie saranno in grado di competere in misura adeguata con le piazze finanziarie in dollari, la gamma di “monete internazionali” potrà articolarsi diversamente. L’Europa è candidata naturale a questa competizione insieme alla Cina, i cui progressi finanziari sono però inevitabilmente più lenti e rimarranno forse a lungo più regionali. Ma per concretizzare questa candidatura, oltre al successo delle emissioni targate NGEU, va completata l’Unione bancaria e dei mercati dei capitali, che invece l’ultimo Consiglio europeo ha nuovamente rimandato. 

L’eurozona è ancora segmentata lungo confini nazionali al punto da ostacolare persino la circolazione della liquidità. La segmentazione è dovuta ai rischi-Paese che originano dai comportamenti discordi degli Stati membri, soprattutto nella finanza pubblica e nel controllo di quella privata. Come mostra l’aumento del valore dell’euro quando applaude i piani anti-pandemici comunitari, ogni aumento dell’armonizzazione, dell’integrazione e dell’accentramento delle regole e delle politiche finanziarie europee può irrobustire, a vantaggio di tutti, il mercato dei capitali europeo e il suo ruolo globale. 

L’eurozona può avere un ruolo importante anche nello sviluppo di nuove monete internazionali elettroniche derivate delle tecnologie dei “bitcoin”. Lasciando perdere le idee di forme private non regolate di creazione monetaria, perché la moneta è un bene pubblico, i “bitcoin” del futuro possono essere quelli che le banche centrali stanno studiando e della cui circolazione possono divenire responsabili promuovendo grandi progressi nei sistemi di pagamento. In questo non mancano certo l’attenzione della BCE e il potenziale ruolo globale di strumenti originati nell’eurozona. 

Una maggior importanza globale dell’euro non va però concepita in competizione ostile al dollaro, ma come arricchimento del sistema finanziario mondiale. Battere una moneta internazionale assicura l’utile del cosiddetto “signoraggio”, del quale gli USA certamente approfittano oggi largamente sfruttando la generale accettabilità della moneta che stampano. Ma l’incasso di una quota di signoraggio globale sproporzionata al peso relativo di un’economia non è sostenibile a lungo. Si può pensare a un futuro dove vi sia più equilibrio fra le monete con un ruolo internazionale: dovrebbe essere un futuro dove le politiche finanziarie di chi le emette siano coordinate, coerenti e responsabilizzate circa il loro impatto globale. Un futuro dove il multilateralismo monetario è il riflesso di un’intensa concertazione economico-politica e della profonda convinzione che siamo tutti sempre più “sulla stessa barca”.

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AUTORI

Franco Bruni
ISPI Vice President and Co-Head, Centre on Europe and Global Governance

Image credits (CC BY 2.0)

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