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Commentary

Nel Sahel, Al Qaeda riscopre la sua vocazione “Glocal”

01 febbraio 2016

Gli ultimi eventi di cronaca provenienti dall’Africa occidentale riportano l’attenzione sulla recrudescenza del jihadismo saheliano, che risulta tutt’altro che sconfitto dal dispositivo antiterrorismo franco-americano dispiegato da oltre due anni nella regione. Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) a differenza del passato sta riuscendo a concentrare sotto il proprio controllo la pletora di sigle della galassia neo-jihadista regionale e per farlo sta cambiando strategia, modus operandi e comunicazione. In questa evoluzione gioca un ruolo fondamentale la competizione fra il brand di Al Qaeda e quello del sedicente Stato Islamico che negli ultimi mesi in Africa, oltre a confermare la propria supremazia in Libia, sembra guadagnare terreno e importanti defezioni in Paesi nordafricani come Algeria e Tunisia arrivando a minacciare perfino la leadership qaedista nel Sahel. Confrontandosi con tale concorrenza Aqmi sembra riscoprire la sua vocazione “Glocal” continuando a tessere relazioni e conflitti etnici locali e giustificando velleità regionali supportate da una retorica sempre più internazionale, dove il principale nemico è la Francia e l’Occidente “infedele e crociato”.

Gli attentati di Bamako (al bar-ristorante La Terrasse il 6 marzo e all’Hotel Radisson il 20 novembre 2015) e il più recente attacco all’Hotel Splendid di Ouagadougou (15 gennaio), in Burkina Faso, offrono preziosi spunti per tentare di analizzare il cambio di pelle di Aqmi. Tralasciando qui la specificità delle situazioni in Mali e Burkina Faso, Paesi confinanti che vivono momenti storico-politici molto differenti, questi attentati marcano l’impiego di una nuova tipologia d’attacco che in qualche modo ricalca quelli di Parigi: piccoli commando molto mobili di 3-4 kamikaze che, con armi automatiche, prendono di mira luoghi pubblici ad alta concentrazione di civili occidentali.

Per organizzare questo tipo di attacchi è necessario un supporto logistico e strategico di militanti infiltrati che conoscano nei dettagli i luoghi da colpire, come le cellule dormienti di Aqmi che, secondo le inchieste in corso in Mali e Burkina Faso, si nasconderebbero nelle periferie delle capitali regionali. Questo particolare rimanda alle misure di sicurezza ancora insufficienti in città come Bamako e Ouagadougou dove anche dopo quest’ultima ondata d’attentati i controlli nelle strade non sono ancora stati sufficientemente rinforzati e dove la presenza di occidentali - operatori delle Ong, personale ONU (Mali) e soldati francesi (Burkina Faso) - rende particolarmente efficaci atti terroristici relativamente semplici da portare a termine. Atti terroristici che moltiplicano i fronti contro la Francia dimostrando di poter colpire interessi e vite occidentali anche lontano dall’Europa.

Dietro agli attentati di Bamako e Ouagadougou c’è la mano di Mokhtar Belmokhtar, jihadista algerino attualmente a capo del gruppo Al Murabitun che fin dagli Anni novanta si è insediato nel nord del Mali intessendo alleanze, matrimoni e traffici illegali con potentati locali. Se “Il Guercio” (per via di una ferita rimediata in Afghanistan) proprio grazie a tale padronanza del Sahel ha sempre goduto di una discreta autonomia - che ha rasentato l’ammutinamento nel 2012-13, durante la guerra in Mali - rispetto alla casa-madre algerina, firmando questi ultimi attentati Belmokhtar ha mandato un forte segnale di piena affiliazione ad Al Qaeda. Tale rinnovato matrimonio con Aqmi (che Mr. Malboro ha sempre aspirato a comandare senza mai riuscire a farsi nominare Emiro) arriva dopo il tradimento del suo delfino Adnan Abu Walid al-Sahraoui che a maggio, approfittando di un periodo di vuoto di potere dovuto all’assenza del capo, ha inviato una richiesta di bay’a (affiliazione) allo Stato Islamico di Al Baghdadi. Qualora fosse confermata attraverso una risposta ancora non pervenuta, questa defezione eccellente subito smentita da Belmokhtar rappresenterebbe l’entrata nel Sahel di Daesh che in Africa subsahariana al momento può contare solo sull’appoggio di Boko Haram, diventato “Stato Islamico in Africa occidentale” nel 2015. Proprio come sta succedendo con Al Shabab nel Corno d’Africa, nel Sahel l’ISIS cerca di reclutare nel bacino d’utenza di Al Qaeda mentre continua a erodergli consensi in Algeria e Tunisia.

Alla luce di tale concorrenza interna al panorama jihadista Abdelmalek Droukdel (Abu Musab Abdelwadoud), Emiro di Aqmi, ha voluto rivendicare personalmente l’attentato di Bamako del 20 novembre ribadendo in un video la complicità e la fedeltà di Al Murabitun che, ad oggi, rappresenta senza dubbio il gruppo più pericoloso della regione. Nella rivendicazione messa in rete durante l’attentato di Ouagadougou, invece, Aqmi ha lanciato un appello diretto ad Al Zawahiri, capo supremo di Al Qaeda, invitandolo a reclutare nuovi soldati per “la guerra santa nel Sahel”.

E’ interessante notare inoltre che l’attacco all’Hotel Radisson di Bamako, caduto a una settimana da quello di Parigi e per questo motivo iper-mediatizzato, è stato rivendicato anche da Ansar Addin, gruppo tuareg-jihadista guidato da Iyad Ag Ghali. Questo capo tuareg terrorista è rimasto fedele ad Al Qaeda fin da quando nel 2007 ne è entrato in contatto in Arabia Saudita, ma durante la guerra in Mali ha manifestato divergenze con Aqmi simili a quelle di Belmokhtar. Oggi, viste le scaramucce al nord per il controllo di pozzi, villaggi e rotte commerciali fra jihadisti e indipendentisti tuareg, Ag Ghali ha spostato la propria zona d’influenza nel centro-sud del Paese creando Ansar Addin Sud. Nelle regioni di Mopti, Segou, Bamako e Sikasso (al confine con Burkina Faso e Costa D’Avorio) suoi uomini alleati con i peul di Amadou Kouffa e di Suleiman Keita del Fronte di Liberazione di Macina minacciano la popolazione con messaggi radio, proclamano la sha’aria nelle moschee e continuano ad attaccare posti di frontiera e militari locali.

Se è vero che quello di Ouagadougou è stato il primo attentato terroristico che ha colpito il Burkina Faso, negli ultimi mesi si erano moltiplicati gli episodi di violenza al confine con il Mali. Il pericolo più grosso che questi gruppi stanno risvegliando è la possibile infiltrazione di ex-miliziani e mercenari della guerra civile della vicina Costa D’Avorio rimasti senza guerra né paga proprio in queste zone. Se i timori di alcuni ufficiali delle forze di sicurezza maliani venissero confermati, soldati, armi e conoscenze militari rafforzerebbero le fila di Ag Ghali e, di conseguenza, di Aqmi.

Se il modus operandi di Aqmi e compagni assomiglia sempre più a quello dei cugini di Al Baghdadi, come confermato anche dalla nuova ondata di rapimenti di stranieri in Mali e Burkina Faso, anche lo stile comunicativo non è da meno. Nelle rivendicazione di tali atti dalla grande eco mediatica, infatti, l’ufficio stampa di Aqmi, Al Andalus Media, ha ripreso alcuni particolari dei video dell’Isis come l’uso dell’arabo standard (prima invece non disdegnavano le lingue locali saheliane) mischiato a un inglese perfetto e l’impiego degli anasheed, canti religiosi cari alla propaganda del Califfato. Se la lotta resta prettamente locale, il discorso retorico e ideologico di Aqmi sta diventando sempre più internazionale facendo leva soprattutto sui sentimenti anti-occidentali e anti-neocoloniali in crescita fra i più giovani.

Mentre i droni di sorveglianza e i caccia francesi e americani continuano a sorvolare l’intero Sahel e a colpire sporadicamente i gruppi jihadisti, nella regione si combatte una battaglia locale fatta di alleanze personali, conflitti etnici e colpi spettacolari che rappresenta l’ennesimo fronte aperto della guerra globale (mediatica e psicologica) fra Isis, Al Qaeda e l’Occidente.   

Andrea De Georgio, ISPI Associate Research Fellow and Freelance journalist

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