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Summit Unione Africana

Niger: al via l’accordo commerciale che rivoluzionerà l’Africa

Giacomo Zandonini
06 luglio 2019

Una Niamey blindata accoglie, dal 4 all’8 luglio, uno degli appuntamenti simbolicamente più importanti per il continente africano nel 2019: un summit di ministri e capi di stato dell’Unione Africana che, domenica 7 luglio, lanceranno ufficialmente la Zona di libero scambio continentale africana. Frutto di un lavoro diplomatico intenso, in cui il presidente del Niger Mahamadou Issoufou ha giocato un ruolo centrale, l’AfCFTA (African Continental Free Trade Area) è destinata a diventare l’area di libero scambio più grande al mondo per numero di paesi coinvolti, ed è vista con interesse dai grandi partners commerciali del continente, Cina ed Unione Europea in testa.

Pur essendo il protagonista assoluto dell’incontro, il neonato accordo di libero scambio non è l’unico tema in agenda per l’Unione Africana in Niger. La 35a sessione del Consiglio Esecutivo, che riunisce ministri degli esteri e altri delegati dei 55 paesi africani, ha affrontato questioni cruciali per la futura architettura dell’Unione, aprendo la strada all’approvazione del budget 2020, all’entrata in vigore del nuovo ‘regime rafforzato di sanzioni’ nei confronti degli stati membri che non versano regolarmente le quote annuali e all’implementazione del ‘Peace fund’, un fondo africano per la risoluzione dei conflitti.

Un primo passo verso una gestione finanziaria più prevedibile e meno dipendente da donazioni esterne. 

Pochissimo lo spazio dedicato invece a questioni politiche di urgente attualità, dalla transizione in Sudan alle violenze in Libia, come per le questioni legate ai flussi di rifugiati o agli sfollati interni, tema dell’anno dell’Unione Africana.

A lanciare l’AfCFTA saranno il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, presidente di turno dell’UA, il presidente della Commissione dell’Unione Moussa Faki Mahamat, il padrone di casa Mahamadou Issoufou, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e il direttore dell’Organizzazione mondiale del commercio Roberto Azevedo. Tra i leader più influenti dell’Unione, il Presidente del Rwanda Paul Kagame, che pure ha lavorato nelle retrovie per l’avvio dell’accordo e del nuovo regime finanziario, interverrà in diversi panel.  

In apertura del summit, Faki Mahamat ha collegato la nascita dell’area di libero scambio alla visione dei padri fondatori dell’Organizzazione dell’Unità Africana, precorritrice dell’UA, e lodato la “inusuale rapidità” con cui si è realizzato l’accordo. La decisione di creare l’AfCFTA è stata adottata nel 2012 a Addis Abeba. Otto round di negoziazione sono seguiti, tra 2015 e 2017, fino alla firma dell’accordo da parte di 44 paesi, nel marzo del 2018 nella capitale ruandese Kigali.

L’area di libero scambio è diventata quindi una realtà lo scorso 30 maggio, raggiunta la soglia delle 22 ratifiche necessarie per l’entrata in vigore. Ad accelerare i tempi di ratifica sono stati l’attivismo di leader come Issoufou e Kagame, ma anche le numerose pressioni esterne. Ultimi successi diplomatici, rivendicati dal governo nigerino, sono le adesioni in extremis della Nigeria, prima economia continentale, la cui assenza avrebbe portato a un’AfCFTA parziale, e del Benin. Entrambi i paesi confinano con il Niger e hanno legami amichevole con il governo di Issoufou. Solo l’Eritrea manca a questo punto all’appello. 

Nella pratica, l’accordo prevede l’eliminazione delle tariffe doganali tra gli stati aderenti, sul 90 per cento dei prodotti e servizi commerciali che ne attraverseranno le frontiere. Il restante 10 per cento è riservato a settori economici particolarmente vulnerabili o rilevanti per gli interessi nazionali. L’eliminazione delle tariffe doganali dovrà avvenire progressivamente nei prossimi cinque anni, con una possibilità di estensione per economie più fragili. L’obiettivo centrale è di accrescere il commercio intra-africano, che nel 2018 rappresentava appena il 17 per cento degli scambi totali del continente e il cui volume - secondo stime dell’ECA (Economic Commission for Africa) delle Nazioni Unite - potrebbe aumentare di oltre il 50 per cento entro il 2022 (rispetto al 2010), diventando un motore di crescita e uno strumento di riduzione della povertà.

Dietro l’ottimismo che pervade i corridoi del Radisson Blu, il nuovissimo hotel ‘presidenziale’ di Niamey, inaugurato proprio per il summit, e la vicina sala conferenze del Palazzo dei Congressi, rimesso a nuovo negli ultimi mesi, ci sono negoziati complessi, ancora in corso, per determinare regimi doganali e beni eleggibili per l’abbattimento delle tariffe, e la realtà di un continente in trasformazione rapidissima ma ancora marginale nell’economia mondiale, con una crescente classe media e sacche persistenti di povertà estrema.

Il commissario agli affari economici dell’Unione, Victor Harison, ha puntato il dito sulla necessità di creare impiego. “12 milioni di persone entrano nel mercato del lavoro africano ogni anno, ma solo in quattro trovano un’occupazione”, ha detto durante la riunione del Consiglio Esecutivo. Investimenti in agricoltura, infrastrutture e industria sono centrali in questo senso per ridurre la dipendenza dall’export di un continente che ha “il 60 per cento di terre arabili non trasformate e il 30 per cento delle risorse mondiali, ma non riesce a capitalizzare”.

I paradossi di un sistema commerciale che privilegia i partner esterni dell’UA su quelli interni, sono citati di panel in panel: dal riso importato dall’Asia alla pasta di cacao lavorata per la produzione dolciaria in Egitto e Sud Africa e proveniente dalla Svizzera, nonostante la materia prima sia coltivata in Costa d’Avorio e Ghana, fino allo zucchero brasiliano, venduto in passato come prodotto del Malawi, per aggirare barriere interne. Potenzialmente, l’AfCFTA dovrebbe ridurre queste distorsioni e rendere più vantaggioso il commercio intra-africano.

Per evitare il rischio di dumping, ovvero che merci a basso costo prodotte fuori dal continente ‘invadano’ i paesi dell’AfCFTA approfittando della libertà di circolazione interna e in alcuni casi di accordi bilaterali con i paesi di primo ingresso della merce (la Cina ha già accordi con dieci paesi, mentre l’UE ha soprattutto accordi regionali e gli Usa un sistema tariffario complesso e a tratti svantaggioso per i partner africani), sarà cruciale il negoziato sulle ‘regole di origine’, destinate a stabilire quali prodotti sono ‘made in Africa’ - e quindi possono beneficiare dell’eliminazione delle tariffe doganali - e quali non lo sono.

Tre portali telematici, dedicati a concessioni tariffarie, barriere non tariffarie alla circolazione delle merci e pagamenti digitali, saranno presentati come primi strumenti al servizio di governi e imprese, per facilitare l’avvio dell’accordo, mentre un incontro tra l’UA e le otto comunità economiche africane già esistenti, in chiusura del summit, darà un’ulteriore spinta all’accordo.

Come evidenziato da Batanai Chikwene, economista dell’ECA, “l’area di libero scambio non è una panacea per tutti i mali del continente, ma un’opportunità per quei paesi che sapranno tessere relazioni e creare strategie economiche”. I rischi sono insomma dietro l’angolo ed alcuni paesi potranno subire shock di assestamento (si veda il caso del cotone del Burkina Faso, messo in ginocchio lo scorso decennio dalle sovvenzioni Usa, avallate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio). È innegabile però che, dopo aver cambiato per sempre il centro città di Niamey e lucidato l’immagine internazionale del governo nigerino, l’AfCFTA e i suoi cinque protocolli cambieranno il commercio africano e mondiale. Un processo da seguire da vicino, evitando le deformazioni dell’afro-ottimismo come dell’afro-pessimismo.

 

Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell'ISPI

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Africa economia Nigeria
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AUTORI

Giacomo Zandonini
Giornalista freelance

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