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Commentary
Niger: il perno instabile della politica UE nel Sahel
Giacomo Zandonini
| 01 Agosto 2018

Un’aula di tribunale stracolma ha accolto, il 24 luglio scorso, il verdetto del processo più atteso dell’anno. Attivisti, ricercatori universitari e membri dell’opposizione politica, radunatisi sotto il sole cocente di Niamey, hanno reagito alla pronuncia con sollievo e rabbia al contempo. Quattro dei 22 imputati sono stati condannati a tre mesi di carcere e tre di loro sono stati rilasciati il giorno stesso. Si tratta di Ali Idrissa, Moussa Tchangari e Nouhou Arzika.

Per altri sette, la pena è stata prolungata fino ai 12 mesi, per “danneggiamento di beni pubblici e privati”, mentre i restanti sono stati dichiarati innocenti. L’attenzione si è però concentrata sui tre rilasciati, animatori delle proteste scoppiate nel paese nel dicembre 2017 e culminate lo scorso 25 marzo, con l’arresto dei principali leader e di alcuni manifestanti. Per loro, l’accusa è di “organizzazione e partecipazione a manifestazioni non autorizzate”.

Moussa Tchangari, presidente della ONG Alternative Espaces Citoyens, Ali Idrissa, coordinatore del ROTAB, rete di organizzazioni che si occupa di trasparenza del budget, e Nouhou Arzika, presidente dell’associazione di tutela dei consumatori MPCR, avevano lanciato le ‘Giornate di azione cittadina’ per protestare contro alcune misure della legge finanziaria 2018. Aumento dell’IVA e delle imposte su beni di prima necessità, dal riso all’acqua corrente, avrebbero colpito le fasce deboli della popolazione.

Spaventate dal successo della mobilitazione, partita dalla capitale Niamey e estesa ai principali centri urbani del Niger, le autorità nazionali hanno incarcerato i vertici di questo movimento, in una curiosa inversione dei ruoli: nel 2005, durante le ultime manifestazioni di simile ampiezza nel paese, l’attuale presidente della Repubblica, Mahamadou Issoufou, condivideva la piazza con gli stessi esponenti della società civile appena liberati, chiedendo - e infine parzialmente ottenendo - una revisione della legge finanziaria.

Tredici anni dopo quelle proteste, nessun dialogo è stato possibile. A differenza di allora, però, il Niger è al centro di flussi di denaro e interessi internazionali molto più ramificati, che - oltre all’antico impegno dei partner occidentali per lo sviluppo locale - si concentrano attorno al contrasto a gruppi armati jihadisti e alla migrazione verso Libia e Algeria. Sforzi che hanno fatto schizzare in alto la quota del budget dello stato destinata a difesa,  sicurezza e controllo delle frontiere: il 21 per cento oggi, a fronte di un 8 per cento solo tre anni fa.

Le riforme del budget, all’interno delle quali si situa la legge finanziaria 2018, mirano quindi a ridurre la dipendenza da finanziamenti stranieri, che oggi forniscono oltre il 40 per cento della liquidità dello stato. A sostenerle, sono soprattutto Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Unione Europea e singoli stati membri, Francia in testa. Per l’UE, come ripetuto in più occasioni dall’Alta rappresentate per la politica estera Federica Mogherini, il Niger è un partner fondamentale, soprattutto per la partita delle migrazioni.

Con 686 milioni di euro nell’attuale tornata del Fondo Europeo di Sviluppo, 220 milioni impegnati dal 2016 all’interno del Fondo fiduciario d’emergenza per affrontare le cause della migrazione in Africa e finanziamenti minori per emergenze umanitarie e riduzione dei conflitti, il Niger è il primo beneficiario nel mondo di aiuti europei, per spesa pro capite. Più del 70 per cento di questi fondi entra direttamente nelle casse dello Stato, come budget support, e una parte significativa - oltre 100 milioni - è dedicata all’immensa regione di Agadez.

È ad Agadez, alle porte del Sahara, che si concentrano gli occhi europei e le operazioni di controllo della migrazione. Mezzi e uomini sono stati accresciuti, pattuglie di polizia, militari e paramilitari percorrono la città giorno e notte. Più a nord, fra Dirkou e Madama, lungo la pista principale per la Libia, i pattugliamenti concentrici dell’esercito intercettano pickup carichi di migranti, arrestando gli autisti e confiscando i veicoli.

I numeri dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni parlano di una riduzione drastica: 290mila i migranti diretti dal Niger alla Libia nel 2016, poco più di 24mila nei primi cinque mesi del 2018.

Qui, in un territorio grande due volte l’Italia, l’intervento dell’UE e di singoli stati membri, tenta di ridurre l’impatto economico della stretta sulle migrazioni, uno dei mercati più fiorenti della regione, almeno fino al 2016. Ai due grandi progetti di sostegno alle infrastrutture, per commercio, agricoltura e servizi sociali, gestiti dalle agenzie di cooperazione francese e tedesca, si è affiancato il Piano d’Azione a Impatto Economico Rapido ad Agadez, PAIERA, progetto pilota di 18 mesi, appena concluso.

Il più piccolo tra i progetti finanziati dal Fondo Fiduciario dell’UE in Niger, PAIERA ha sostenuto la riconversione economica di 371 ‘attori della migrazione’, ovvero autisti, lavoratori di ghetti e connection houses, intermediari e guide nel Sahara - quelli che spesso vengono definiti, con una semplificazione estrema, trafficanti - fornendo kit di beni per l’avvio di piccole attività economiche.

Le critiche non sono mancate: il processo di selezione, secondo numerosi osservatori, è stato viziato da clientelismi, affiliazioni politiche e familiari; l’ammontare dei contributi, circa 2300 euro, corrisponde al guadagno di pochi viaggi verso la Libia di un autista; più di 5100 persone, infine, sono state inserite in una lista regionale in quanto attori della migrazione, senza ricevere però nessun contributo. Per l’UE, si tratta appunto di un progetto pilota, che dovrà avere una seconda fase.

È proprio questa una delle questioni aperte sul tavolo di Bruxelles, che entro fine estate dovrà decidere a quali paesi destinare i 500 milioni di euro stanziati lo scorso giugno per rafforzare le dotazioni del Fondo fiduciario d’emergenza per l’Africa. Niger e Libia sono in pole position, e solo per il Niger i progetti già presentati, ma non finanziati, ammontano a circa 180 milioni di euro. Una seconda fase del progetto PAIERA dovrebbe prevedere, secondo gli auspici dell’UE, il finanziamento di tutti gli ‘attori’ della migrazione esclusi dalla fase pilota, o almeno di una parte significativa, per una spesa oscillante tra i 7 e gli 11 milioni di euro.

Un intervento necessario, secondo autorità nazionali e europee, per ridurre le tensioni sociali in una regione chiave per la stabilità del Niger, già teatro di due ribellioni armate e oggi percorsa da traffici di armi, stupefacenti e psicofarmaci. Ma anche per ridurre ulteriormente il transito di migranti, calato sì ma spostato su rotte minori, più lunghe e rischiose.

Su questa nuova ondata di fondi si innestano negoziati politici e diplomatici importanti, che vanno oltre la questione migratoria, per tornare su dinamiche sociali e politiche. Il ministro dell’interno Mohamed Bazoum, protagonista della nuova stagione di controllo delle migrazioni (l’intervento realizzato ad Agadez è noto, negli ambienti europei, come "plan Bazoum"), ha spostato negli ultimi mesi l’attenzione dalla regione di Agadez a quella di Zinder, seconda città del paese, al confine con la Nigeria. E’ qui, secondo Bazoum, che bisognerebbe intervenire per ridurre i flussi d’ingresso dalla Nigeria, che attraversano il paese per raggiungere Libia e Algeria. Sul tavolo dei negoziati, il ministro ha quindi elencato i bisogni in termini di mezzi e fondi, da parte di UE e stati membri.

Proprio Bazoum, che si è espresso in maniera decisa contro le manifestazioni della società civile ("li abbiamo arrestati come polli", ha detto durante un’intervista), è stato riconfermato a marzo come segretario generale del PNDS-Taraya, il partito di maggioranza, e ambisce alla successione a Mahamadou Issoufou, nel 2021. E proprio Zinder è l’unico, ancora precario, feudo elettorale del ministro, appartenente alla piccola e poco rappresentata minoranza araba.

La decadenza dal seggio parlamentare, a inizio luglio, del principale leader dell’opposizione, Hama Amadou del partito Moden-Fa Lumana, in esilio in Francia, lascia un vuoto politico, che Ibrahim Yacouba, ex ministro degli esteri allontanato ad aprile dal governo, sta cercando di riempire. Il suo Front Patriotique, creato a inizio giugno, ingloba partiti di minoranza e movimenti sociali, ed ha presenziato all’udienza del 24 luglio.

Appena scarcerato, l’attivista Moussa Tchangari ha dichiarato che "la lotta per un paese democratico e sovrano continuerà".

Una nuova stagione si apre dunque per il Niger, in cui la legittimazione dell’attuale classe dirigente passerà attraverso equilibri delicati. Le operazioni antiterrorismo della forza G5 Sahel e della coalizione internazionale per il Lago Ciad, proseguono nel frattempo in sordina lungo i confini bollenti con Mali, Burkina Faso e Nigeria. E attori come Turchia, Arabia Saudita e Cina, stanno consolidando il loro peso economico e sociale nel paese, a scapito della Francia. Per l’Italia, il Niger rimane un terreno di gioco complesso, in cui ai dossier su migrazione e difesa, vanno affiancati altri elementi di cooperazione economica e culturale.

 

Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI

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Area Mena Africa Sahel

AUTORI

Giacomo Zandonini
Giornalista freelance

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