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Commentary

Nigeria: una bufera si abbatte sul paese dei record

07 maggio 2014

Non più di un mese fa, grazie a un aggiornamento dei dati necessari al ricalcolo del prodotto interno lordo, la Nigeria ha sorpassato il Sudafrica, divenendo nell’arco di una notte la nazione più ricca del continente africano. Paese leader a livello regionale, in grado di conferire autorevolezza all’Ecowas, la comunità economica dell’Africa Occidentale, e continentale, con una leadership capace di tenere testa a Pretoria, la Nigeria è considerata come un interlocutore privilegiato da parte delle potenze occidentali e non solo, sia grazie alle ottime performance economiche, che alla facoltà d'influenzare le decisioni che contano all’interno dell’Unione Africana. 

La Nigeria è uno dei principali paesi esportatori di petrolio nel continente africano ed è principale partner commerciale di diversi paesi dell’Unione Europea (fra i quali l’Italia). La Francia, prima propensa ad avere rapporti privilegiati con i paesi francofoni dell’area, ha recentemente rincorso la Gran Bretagna nella conquista di una fetta più ampia del mercato nigeriano, e la stessa Unione Europea, anche grazie alla lezione della crisi maliana, ha affermato più o meno velatamente di voler rinsaldare i suoi rapporti con il gigante nero. Tra i principali partner commerciali di Abuja figurano anche gli Usa e la Cina, il premier cinese è in visita ad Abuja in queste ore. 

La Nigeria è il paese dei record: una popolazione di quasi cento settanta milioni di abitanti, una superficie vastissima, una classe media in ascesa che la rende uno dei mercati più promettenti del continente, e una diseguaglianza feroce, a fare da contro canto ad una crescita rapidissima e costante. Non a caso oggi si apre ad Abuja il World Economic Forum sull’Africa, dedicato allo sviluppo economico. 

Prima di Boko Haram è stato il movimento separatista del Mend del delta del Niger a offuscare l’immagine di un paese che prometteva una crescita diffusa della quale prima o poi avrebbero beneficiato tutti i cittadini. Gli attacchi del Mend ai lavoratori stranieri e agli impianti petroliferi avevano suscitato la riprovazione delle potenze occidentali, nonché la richiesta di un intervento deciso e risolutivo da parte del governo nigeriano. Anche le violenze comunitarie, con relativi attentati alla componente cristiana del centro del paese, provocano reiteratamente ondate di disappunto verso un paese che pare non riuscire a garantire la sicurezza dei suoi cittadini – e di conseguenza quella degli investimenti internazionali.

Boko Haram, attivo dal 2002 negli stati musulmani del Nord Est, e riorganizzatosi dopo una forte repressione nel 2009 (anno in cui l’esercito ha ucciso 700 persone arrestando anche il suo fondatore, Mohamed Yusuf, poi deceduto in prigione) ha moltiplicato la sua capacità destabilizzante, uccidendo 1.500 persone solo dall’inizio di quest’anno e facendone fuggire 250.000, mentre più di tre milioni di individui versano in una crisi umanitaria endemica in quella zona della Nigeria. L’attività eversiva di Boko Haram aveva raggiunto Abuja già nel 2011, con un attentato alla sede Onu, e lo ha rifatto recentemente, con un attentato alla stazione degli autobus che ha provocato un centinaio di morti. Il rapimento di circa 276 studentezze a Chibok, nel Borno, ha però segnato un ulteriore record, negativo, che, grazie alla mobilitazione della società civile nigeriana, a partire dai genitori delle vittime, ha suscitato scandalo e preoccupazione fra i grandi: negli ultimi giorni John Kerry, Catherine Ashton e Barack Obama hanno aspramente condannato l’accaduto. Gli Usa già da tempo avevano iscritto Boko Haram nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Senza tralasciare l’enorme gravità dell’atto e il suo forte valore, anche simbolico, come esplicita privazione di un futuro istruito per le donne nigeriane e in qualche modo per la Nigeria intera, il rifiuto della possibilità dell’educazione e dell’emancipazione, la sfida a un governo incapace di proteggere i propri cittadini, l’intervento delle potenze occidentali si gioca anche su un altro piano. 

Nell’invio degli esperti Usa e nell’interessamento dell’Unione Europea è possibile leggere la preoccupazione che Boko Haram si sia spinto troppo al di là dei confini della Nigeria, essendo ormai evidente che cellule del gruppo terrorista si muovono con facilità attraverso i confini porosi del Cameroun e del Ciad, paesi in cui pare il movimento abbia anche fatto reclutamento (nel 2013 Boko Haram aveva rivendicato il rapimento di una famiglia francese nel Nord del Cameroun), e sicuramente in Niger, dove sono avvenuti diversi scontri a fuoco fra truppe regolari e militanti di Boko Haram, dapprima classificati come “banditi”, quasi a voler nascondere che il gruppo avesse varcato ormai da tempo i confini nigeriani. Se si aggiungono i legami, sostanzialmente provati, con Al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI) operante in Mali, Algeria, e Mauritania, il quadro che si ottiene è quello di una ferita aperta in territorio nigeriano le cui conseguenze sono passibili di estendersi agli stati vicini, peggiorando una situazione già sufficentemente instabile. 

Goodluck Jonathan è un presidente in difficoltà, con numerosi dissidenti all’interno del partito, già abbastanza impegnato a mantenere almeno la parvenza di una leadership che tiene fede al patto non scritto di un bilanciamento dei poteri fra comunità cristiane e musulmane, fra Nord, Centro e Sud. Le elezioni non sono lontane ed è già tempo di riscrivere le alleanze all’interno di un’élite estremamente serrata, mantenuta in vita dall’intreccio di corruzione, affari, e anche collusione con gruppi irregolari e separatisti. La proclamazione dello stato d'emergenza e l’offensiva dell’esercito regolare contro Boko Haram ha assunto tutti i crismi del fallimento e nemmeno il tentativo di amnistia collettiva, tra promesse e ritrattazioni, ha dato i suoi frutti. 

La comunità internazionale interviene per rinsaldare le crepe del paese dei record, davanti all’ammissione d'impossibilità dello stesso Jonathan. Al di là dei proclami le grandi potenze intervengono in punta di piedi, attente a non alterare un equilibrio regionale di cui comunque la Nigeria continua a essere il perno. Se riportare a casa le ragazze di Chibok sarà purtroppo un’operazione difficile, e probabilmente non attuabile nella sua totalità, Boko Haram si sentirà almeno un po’ più braccato, e questo recente e grave atto sarà per lo meno l’occasione di una riattivazione più efficace delle reti transnazionali e regionali per la sicurezza e l’antiterrorismo. 

Marta Montanini, ISPI Research Assistant

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Africa Nigeria Boko Haram terrorismo crescita economica sicurezza Goodluck Jonathan
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