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Daily focus
Non è Sophia
18 febbraio 2020

La missione Sophia terminerà il 20 marzo e sarà sostituita da una nuova operazione europea con il compito di controllare che l’embargo sulle armi in Libia venga rispettato. Ma quali saranno le regole di ingaggio e cosa cambia nel Mediterraneo?

 

Sarà una missione navale militare a far rispettare l’embargo sulle armi in Libia, sistematicamente violato dal 2011. Lo hanno deciso i ministri degli Esteri europei riuniti ieri a Bruxelles per il Consiglio dell’Unione Europea. La missione andrà a sostituire Sophia, nata nel 2015, il cui obiettivo principale in origine era però quello di fermare il traffico di esseri umani nel Mediterraneo. L’area di pertinenza dei pattugliamenti, inoltre, sarà spostata a est, lungo la costa orientale della Libia. L’intesa, annunciata un po’ a sorpresa e presentata come un grande successo nella gestione del dossier libico, evita ai 27 l’ennesimo pantano, dopo le clamorose spaccature degli ultimi mesi. Ma cosa prevede nello specifico la nuova missione navale e perché, al di là di quanto deciso ieri, il difficile potrebbe arrivare proprio ora?

 

Cosa prevedeva Sophia?

Dalla sua creazione nel 2015, Eunavfor Med, ribattezzata Sophia dal nome di una bimba nata a bordo di una delle sue navi, ha portato in salvo 49.000 persone. Anche se quello non è mai stato il suo obiettivo principale. Il fine ultimo dell'operazione - che al suo apice ha coinvolto oltre una dozzina tra risorse navali e aeree dei 27 - era di sbaragliare le reti di trafficanti di esseri umani operativi lungo le coste libiche e, di conseguenza, arrestare l'ondata di migranti che attraversano il mare in direzione della Sicilia. In occasione della prima proroga (20 giugno 2016) a Sophia era stato aggiunto il compito di addestrare la guardia costiera libica e contrastare il traffico di armi. Con la seconda proroga (25 luglio 2017) sono state aggiunte attività di sorveglianza e raccolta di informazioni sul traffico di petrolio e sulla tratta di esseri umani con le agenzie Frontex ed Europol.

 

Un mandato contraddittorio?

Ma alcuni documenti interni alle istituzioni europee, diffusi recentemente da Politico, dipingono una quadro diverso: nelle mail e note riservate i responsabili dell'operazione ammettono che il successo di Sophia è stato limitato dal suo stesso mandato – che prevede che possa operare solo in acque internazionali, e non in acque libiche o sulla terraferma, dove le reti di contrabbando hanno i loro quartier generali. Nei documenti confidenziali, inoltre, si parla di una missione a corto di finanziamenti e di personale e mal equipaggiata. Dai carteggi si evince pure che i funzionari europei chiudessero gli occhi sul fatto che la Guardia costiera libica collaborasse con i trafficanti, e che le politiche messe in atto dall’Unione Europea abbiano contribuito a rendere più pericolose le rotte dei migranti.

 

Cosa cambia ora?

La nuova missione – ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell – potrebbe partire entro fine marzo, a patto che al Consiglio Esteri del 23 marzo trovi un accordo definitivo sul mandato. Particolarmente ostica era la questione della componente navale, alla quale si erano duramente opposte Austria e Ungheria nel timore del ‘pull factor’, la teoria – smentita più volte da dati e statistiche – secondo cui la presenza di navi europee in mare ‘attrarrebbe’ i migranti incentivandone le partenze. Per superare l’impasse è stato deciso di inserire una clausola che prevede che in caso di ‘pull factor’ le navi saranno ritirate dalle aree interessate.

 

 

Tornano le navi, ma dove?

Le navi della futura missione saranno spostate dal Mediterraneo centrale, teatro delle principali rotte migratorie dalla Libia, a quello orientale, da dove invece arrivano le armi. Ma se anche lì la missione si dovesse imbattere in barconi carichi di migranti, dovrà agire “nel rispetto del diritto del mare, che obbliga a dare soccorso” ha precisato Borrell.

 

Nuova missione nuove incognite?

Ma allora dove sbarcheranno i migranti, in caso le navi della nuova missione intercettassero barconi in avaria? È solo una delle domande a cui, almeno per il momento, non c’è risposta. L’intesa di principio raggiunta ieri va limata nei contorni e ora inizia la parte più difficile. Vanno stabilite le regole di ingaggio, la procedura da seguire in caso fossero intercettare navi (turche?) cariche di armi, chi farà e dove sarà il comando dell’operazione. Last but not least, la questione del ‘pull factor’ introdotto per convincere Austria e Ungheria ad essere della partita: chi e come si deciderà se è in atto un “fattore di attrazione”? Mentre l’Europa cerca una risposta comune, in Libia resta il problema dell’arrivo di armi via terra e la tenuta di un fragile cessate il fuoco.

 

 

IL COMMENTO

di Matteo Villa, Research fellow programma migrazioni, ISPI

"Negli ultimi due anni tutte le partenze irregolari dalla Libia sono avvenute nel tratto di costa più occidentale. Mettere navi di fronte alla Cirenaica anziché davanti alla Tripolitania sembra inutile se lo scopo è quello di intervenire sul dossier migratorio.

Sembra dunque che gli europei cerchino di salvare la faccia rimettendo qualche nave davanti alla Libia, ma evitando in tutti i modi di poter essere accusati di incoraggiare le partenze".

 

***

A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)

 

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