Il fallimento (già avvenuto) dello stato greco, l’ingovernabilità del paese sancita dalle urne e la pro-spettiva della sua uscita dall’euro evocano lo spettro del “contagio”. La paura che agita mercati e governi è che il precipitare della crisi greca provochi un crack di dimensioni continentali : uno scenario in cui attacchi speculativi contro i debiti sovrani di Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia, forzano il default disordinato di questi paesi, il fallimento a catena dei sistemi bancari nazionali, delle imprese, il crollo della produzione, la disoccupazione di massa e la rivolta sociale, il crollo dell’euro e la disintegrazione della Ue e del libero scambio in Europa. Insomma l’Argentina 2001 a livello con-tinentale. Sono giustificate queste preoccupazioni? In breve, la mia risposta è: «solo in piccola par-te».
Il contagio, quello vero, è «la trasmissione di una malattia infettiva per contatto». In un recente lavoro due economisti utilizzano gli archivi storici di un gran numero di città in Europa, Africa set-tentrionale e Asia minore, per ricostruire, attraverso le registrazioni dei decessi, il percorso della peste nera che falcidiò un terzo della popolazione europea nella prima metà del XIV secolo , si veda la Figura 1. L’epidemia si diffuse seguendo le rotte del commercio internazionale, per strada e per mare.
Le “epidemie” di oggi sono in parte diverse. Da un lato, proprio come la peste, si diffondono “per contatto” (ad esempio: l’uscita della Grecia dall’euro e la svalutazione della dracma aggraverebbero i problemi di competitività e bilancia commerciale di Spagna e Portogallo che esportano beni simili in Europa; oppure le banche francesi e tedesche esposte verso la Grecia subiscono perdite per la conversione forzosa dei loro crediti nella nuova valuta). Ma le epidemie finanziare si diffondono soprattutto tramite “effetti psicologici”. Le successioni di default sovrani verificatesi nei paese emergenti a partire dagli anni settanta (per l’immagine vedere il documento) coinvolgono sia gruppi di paesi geograficamente ed economicamente “vicini” (nel 1998, Russia, Ucraina e Moldova e Pa-kistan), ma anche “lontani” (Russia e Brasile).
Cosa insegnano le esperienze passate di contagio? Direi due cose. La prima è che la diffusione “per contatto” economico, spesso, non è la cosa più preoccupante. Certamente la diffusione dei prodotti strutturati emessi dalle banche americane nei bilanci delle banche di tutto il mondo hanno esportato e amplificato la crisi dei sub-prime, creando recessione internazionale, hanno prodotto o acuito i fallimenti bancari (in Spagna, Irlanda) e aggravato i problemi di bilancio pubblico (soprattutto in Grecia, Italia, Spagna). Oggi però questo canale di contagio dalla Grecia non appare molto importante: le perdite delle banche dei paesi periferici, complessivamente esposte verso la Grecia per circa 465 miliardi, si sono già realizzate dopo la ristrutturazione del debito greco (e comunque queste banche andranno ricapitalizzate, con o senza Grecia). Un nuovo default sarebbe pagato soprattutto dalle istituzioni internazionali (Ue, Efsf, Fmi) che oggi detengono circa due terzi del debito greco, e dunque dai contribuenti. L’altro canale “diretto”, la svalutazione, avrebbe un impatto limitato sulla Zona Euro, perché la quota delle esportazioni greche sul totale della zona è inferiore all’uno per cento.
La seconda lezione è che gli effetti “psicologici” consistono soprattutto in questo: i mercati finanziari ricevono una “wake-up call”: scoprono d’improvviso, magari dopo averle trascurate colpevolmente, le vulnerabilità strutturali delle economie a rischio (si veda 2011). Scoprono ad esempio che Spagna, Portogallo e Grecia hanno ridotto la propria competitività rispetto alla Germania del 30-40 per cento tra il 2000 e il 2008, che il debito greco è insostenibile, che lo scoppio della bolla finan-ziaria ha falcidiato i bilanci delle casse rurali spagnole, che anni di mancate riforme strutturali in Italia (e Portogallo), unite a politiche di scarso rigore hanno riportato il nostro rapporto debito Pil al livello del 1996, quanto agli oneri di interessi, essi arrivavano al 10 per cento del Pil (oggi è il 5%).
Dunque i mercati non impazziscono ma riscoprono, magari con un temporaneo overshooting, l’importanza dei fondamentali . Sia che la Grecia resti o che esca dall’euro, il contagio greco si può evitare: basta che i paesi in difficoltà mettano in atto le politiche di aggiustamento necessarie senza però uccidere le possibilità di ripresa, e che la Germania abbandoni l’ossessione del rigore, per ritornare a essere la locomotiva d’Europa.