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LOGISTICA

Nuove rotte globali da conquistare

Angela Stefania Bergantino
08 aprile 2022

Il conflitto tra Russia e Ucraina è ufficialmente in corso dall’alba del 24 febbraio ma ha radici molto più profonde, anche precedenti all’annessione, nel 2014, della Crimea da parte della Federazione Russa e alla guerra a bassa intensità nella regione ucraina del Donbass. Gli effetti del conflitto sull’economia mondiale non hanno tardato a manifestarsi: il blocco degli spazi aerei con l’interdizione dei voli russi da gran parte dell’Occidente e viceversa, il crollo del rublo conseguente all’esclusione della Russia dallo SWIFT, l’aumento dei prezzi del carburante, il calo del 56% per il settore import russo e del 28% per il settore retail e l’incremento del 20% dei tempi di viaggio delle merci sono solo le prime conseguenze del conflitto destinato ad avere effetti almeno di medio periodo.

 

Impatto sulle catene logistiche ed i trasporti

Uno dei settori particolarmente colpiti dal conflitto è quello logistico, che si ritrova nuovamente nel caos, dopo due anni di resilienza al forte stress causato dalla pandemia da Covid-19, in un momento in cui le economie dei Paesi maggiormente colpiti tentavano la risalita. Molte sono, infatti, le imprese europee delocalizzate tra Russia e Ucraina ed ingenti sono gli scambi commerciali che questi Paesi hanno con il resto del mondo. L’Ucraina è tra i Paesi con maggiori riserve minerarie (uranio, titanio, ferro, mercurio, ecc.) e il principale esportatore mondiale di olio di girasole, mais, patate e altri prodotti agricoli di prima necessità.

La Russia, come ampiamente noto, è leader nelle esportazioni di petrolio greggio e raffinato (prima del conflitto circa 185 miliardi di dollari di export), gas (26 miliardi di dollari) e grano (8,14 miliardi) e importa, prevalentemente da Cina, Germania, USA e Italia auto, velivoli spaziali, aerei, packaging, e cementi. Con riferimento all’Italia, in particolare, la Russia è un mercato importante per l’export in generale ma soprattutto per il segmento del lusso. A conferma di questa difficile situazione, il report del Centro Studi Assolombarda relativo alle tensioni su logistica e materie prime causate dal conflitto evidenzia significativi rincari dei prezzi delle materie prime (Figura 1).

 

Figura 1 - Aumenti dei prezzi delle materie prime

 

 

Il trasporto marittimo è messo a dura prova dal conflitto in atto. Il blocco dei porti ucraini di Odessa e Mariupol, resi ormai praticamente inutilizzabili dai bombardamenti e dalle mine, sta avendo pesanti ripercussioni nel traffico soprattutto con i porti adriatici italiani di Monfalcone, Porto Nogaro e Ravenna. Uno dei settori più gravemente colpiti dal blocco di Mariupol è quello del trasporto siderurgico italiano, a causa dell’interruzione dell’approvvigionamento di materiali dalle acciaierie ucraine, che nel 2021 hanno fornito all’Italia 5,2 milioni di tonnellate di semilavorati, ai quali vanno aggiunte le 3,4 milioni di tonnellate provenienti dalla Russia, anch’esse a rischio.

L’Autorità di Sistema Portuale di Ravenna ha dichiarato che nel 2021 delle 3.000 navi attraccate 500 provenivano dal Mar Nero, di cui 160 dalla Russia e 200 dall’Ucraina, rotte attualmente bloccate. In aggiunta a ciò, le principali compagnie di navigazione, MSC, Maersk, Hapag-Lloyd e Alleanza One, hanno tutte cancellato gli scali nei 67 porti russi, eccezion fatta per il trasporto di cibo, cure mediche e umanitarie.

Il trasporto marittimo è anche influenzato dall’aumento significativo dei premi assicurativi per navigare nel Mar Nero, che si ritrovano a dover coprire anche il rischio di guerra e navigazione in zone pericolose. Gli effetti del conflitto sui costi di spedizione delle merci sono significativi soprattutto per le zone limitrofe ai territori del conflitto e riguardano i noli per le petroliere di piccola taglia tra il Mar Nero e il Mar Mediterraneo, i cui prezzi nella settimana 21-28 marzo 2022 risultavano aumentati del 96% rispetto ai valori pre-Covid (Figura 2), ed i noli delle navi cargo di grano e cereali con rotte regionali che transitano per il Mar Nero, aumentati di oltre il 100% rispetto ai valori pre-Covid (Figura 3). 

 

Figura 2 - Noli delle principali rotte del Mar Nero di petroliere di piccola taglia

Fonte: Centro Studi Assolombarda

 

Figura 3 - Costo dei noli per cargo grano  e cereali

Fonte: Centro Studi Assolombarda

 

Con riferimento all’autotrasporto, al 16 marzo 2022 l’International Road Transport Union (IRU) ha annunciato il blocco di 12.000 autisti in Ucraina e nelle zone limitrofe a causa del conflitto. Come è noto, anche questo settore è stato duramente colpito dalla guerra in atto, soprattutto a causa del forte rincaro dei prezzi del carburante che ha portato a un record storico: per la prima volta il prezzo del gasolio, carburante con cui si alimentano principalmente proprio i mezzi per l’autotrasporto di merci, ha superato quello della benzina.

Il già menzionato blocco aereo messo in atto da gran parte dell’Occidente nei confronti della Russia ha invece forti ripercussioni sui noli del trasporto aereo, colpendo in particolare i traffici tra Asia ed Europa di AirBridgeCargo, uno dei leader del settore appartenente al gruppo russo Volga-Dnepr. Inoltre, il blocco posto in atto dalla Russia in risposta costringe deviazioni significative del traffico aereo, che non può più sorvolare il Paese ed è costretto a viaggi più lunghi e, conseguentemente, meno sostenibili. 

 

Riorientamento delle rotte e nuovi collegamenti

L’influenza che il conflitto sta avendo sulle rotte commerciali è rilevante anche per la Cina, per la quale l’Ucraina assume un ruolo rilevante nell’ambito della Belt and Road Initiative (BRI). Quest’ultima, coinvolge 140 Paesi e attribuisce a Russia, Ucraina, Polonia e Bielorussia un ruolo di “ponte” per garantire un collegamento Europa-Asia su rotaia (Figura 4). Il conflitto, tuttavia, ha messo in grossa difficoltà la realizzazione del progetto cinese, bloccato dalla distruzione delle infrastrutture.

 

Figura 4 - Via della Seta su rotaia

Fonte: Cosetex.it

 

La Cina, pertanto, dovrà cercare di aggirare i territori coinvolti nel conflitto e le zone limitrofe. Potrebbero quindi guadagnare maggiore importanza corridoi alternativi quali, ad esempio, quello che transita per Uzbekistan-Iran-Turchia. In quest’ottica, la collaborazione ventennale tra Cina e Iran e il conseguente accordo nucleare iraniano, diventano cruciali. Infatti, anche prendendo in considerazione un ulteriore corridoio, quello Cina-Pakistan, che consente il collegamento con l’Oceano Indiano, l’Iran assume un ruolo cardine grazie ai collegamenti stradali e ferroviari con Turchia e Pakistan, tra cui il principale è costituito dalla rete ferroviaria Islamabad-Teheran-Istanbul (Fonte: ilsussidiario.net).

Un’alternativa alle nuove rotte su rotaie rimane il trasporto marittimo, che oggi rappresenta circa l’80% del commercio globale.  Secondo ContainerxChange, il prolungarsi del conflitto porterà a un aumento della domanda di trasporto marittimo sui collegamenti Asia-Europa. La previsione di un ulteriore aumento del traffico marittimo è dettata dal fatto che si rileva la tendenza di molti operatori a evitare i transiti, stradali o su rotaia attraverso la Russia anche laddove possibili, seppure sanzionati. L’impennata dei noli a partire dalla crisi pandemica è stata ulteriormente fomentata dalla guerra sia per gli elevati costi del bunkeraggio sia per i costi assicurativi. Il Mar Nero e il Mare di Azov sono praticamente inaccessibili.

 

Corsa della Russia sulla rotta artica

Per comprendere a fondo come il conflitto in Ucraina stia modificando l’assetto geopolitico globale, è necessario non limitare lo sguardo ai territori colpiti concretamente dal conflitto e osservare l’Artico, dove sembra che l’equilibrio trentennale derivante dalla dichiarazione di Ottawa stia vacillando.

L’Artico, con la sua estensione di circa 8 milioni di chilometri quadrati, costituisce una delle aree più ricche di risorse, e non solo minerarie. La sovranità territoriale (Figura 5) è divisa tra Russia, Canada, USA, Svezia, Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia, che costituiscono il Consiglio Artico, al momento presieduto dalla Russia fino al 2023.

 

Figura 5 - Suddivisione territoriale dell'Artico

 

Il territorio presenta una ricchezza mineraria non ancora sfruttata che comprende oro, argento, ferro, nichel, diamanti ecc., a cui si aggiungono enormi volumi stimati di giacimenti di combustibili fossili. Secondo l’Istituto Geologico Americano, infatti, sui fondali artici sono presenti circa 90 miliardi di barili di petrolio, pari a circa il 13% della quantità mondiale, 47.000 miliardi di metri cubi di gas naturale, circa il 30% della quantità mondiale, e 44 miliardi di barili di gas naturale liquido.

Nonostante le ricchezze naturali dell’Artico siano note da tempo, lo scioglimento dei ghiacciai verificatosi negli ultimi trent’anni ha reso accessibili zone in cui prima risultava impossibile l’attività estrattiva o anche solo il trasporto di quanto estratto. Secondo le previsioni, inoltre, entro il 2040 il ghiaccio del Mar Glaciale Artico sarà completamente sciolto nei mesi estivi, aprendo alla possibilità di nuove rotte commerciali, che interessano molto alla Cina, nell’ambito dell’individuazione di una nuova Via della Seta. Alla Repubblica Popolare di Xi Jinping, assieme a Germania, Italia e Francia, è stato conferito lo status di “osservatore”. Il 3 marzo 2022, a seguito degli eventi relativi al conflitto Ucraina-Russia, i sette Stati membri del Consiglio Artico si sono autosospesi sino a quando non cesserà il conflitto in Ucraina. Attualmente, pertanto, l’unico membro attivo rimane la Russia.

Dal 2007 la Russia ha iniziato un processo di militarizzazione del territorio artico che non sembra rallentare, caratterizzato dalla riapertura di basi militari nuove o risalenti alla Guerra Fredda, dalla costruzione di porti e aeroporti, al reclutamento di due brigate artiche a cui è seguita la dichiarazione di indipendenza della Flotta Artica, costituita da 240 mezzi tra navi e sottomarini nucleari. L’interesse della Russia nei confronti del territorio artico riguarda tanto gli sviluppi futuri del territorio quanto la situazione presente: circa il 90% della sua produzione di gas e il 60% della produzione di greggio avviene qui e su questo territorio si trova anche il 60% delle riserve russe di idrocarburi. Aggiungendo alla situazione attuale la possibilità di egemonizzare le eventuali rotte artiche del commercio internazionale, la corsa della Russia sulla rotta artica sembra probabile e rischiosa per gli equilibri mondiali, già molto precari.

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