I risultati del vertice di Bruxelles di lunedì 30 gennaio sono rilevanti per l’Italia, che li ha non poco influenzati. La posizione del nostro paese è stata fra quelle determinanti nell’evitare che il “fiscal compact” che è stato varato contenesse clausole inutilmente severe e rigide. Gli obblighi di equilibrio del bilancio pubblico e le clausole di correzione semi-automatiche degli squilibri sono formulati in modo da tener conto della fase ciclica, e quindi del rallentamento del gettito fiscale causato da quello del Pil, anche in seguito a politiche restrittive. È inoltre ammessa una flessibilità connessa a “circostanze eccezionali” e i riequilibri richiesti considereranno anche i “fattori rilevanti”, dove la relativa robustezza di alcuni connotati del settore privato e del sistema creditizio italiano possono facilitare la nostra posizione. Come già previsto dalla legislazione comunitaria varata alla fine dello scorso anno, dovremo ridurre piuttosto rapidamente il rapporto debito/Pil: ma ciò, non va dimenticato, risulterà automaticamente dal mantenimento del pareggio di bilancio che è ora previsto nel 2013, purché nel medio-lungo periodo il tasso di crescita del Pil non sia significativamente inferiore al 2% e il rendimento reale del debito pubblico non insista sui livelli esagerati di questi ultimi mesi.
È stato un successo italiano anche l’accento che il vertice ha voluto mettere sul tema del rilancio della crescita. Sulla questione occorre andare più a fondo e deliberare più concretamente: a questo ci si prepara per il Consiglio di marzo ed è auspicabile che il nuovo prestigio che il governo ci ha guadagnato in Europa consenta a Mario Monti di insistere fruttuosamente sul tema del completamento del mercato unico, un progetto al quale ha contribuito fin nei dettagli prima di divenire premier. Per l’Italia l’attenzione europea per la crescita e l’occupazione, cui il vertice di Bruxelles ha dedicato un’apposita dichiarazione, sono cruciali: la struttura produttiva del nostro paese è fra quelle che più possono approfittare di un mercato europeo grande, libero e integrato, per facilitare una trasformazione, una modernizzazione, un irrobustimento, che esalti i nostri vantaggi competitivi, sia quelli già manifesti sia quelli che proprio l’ampiezza del mercato europeo può sviluppare e valorizzare. Inoltre, ogni passo dell’Europa verso mercati più liberi e ampi aiuta la causa di un governo come quello italiano che, nella politica economica nazionale, vuole muoversi verso regole che rafforzino gli stimoli della concorrenza e la difendano dalle protezioni e dai blocchi degli interessi corporativi e settoriali.
Il vertice ha anche fatto avanzare il progetto del meccanismo europeo di stabilità, il cosiddetto fondo salva-stati permanente. In materia c’è ancora molto da decidere, compresa l’effettiva disponibilità di risorse che avrà il fondo. Ma per l’Italia potrebbe trattarsi di un dispositivo decisivo per allontanare la speculazione di rimbalzo, quella che può colpire il nostro paese quando ci sono tensioni di liquidità e di solvibilità in altri comparti del mercato europeo, solo per un meccanismo di contagio. La disponibilità di un meccanismo di intervento atto a isolarci da atteggiamenti destabilizzanti dei mercati può indurre questi ultimi a considerare con maggiore obiettività la sostenibilità e la virtuosità degli indirizzi di politica economica che stiamo adottando. Se così avverrà, non occorrerà che le risorse del fondo vengano effettivamente mobilizzate a nostro favore: basterà la loro presenza a disincentivare speculazioni che, data l’ampiezza del nostro debito pubblico, potrebbero ingiustamente complicare il cammino che abbiamo intrapreso verso un riequilibrio duraturo della nostra finanza pubblica.